Il neo-qualunquismo della sinistra radicale che attacca le Sardine (di Marco Revelli)
di Marco Ravelli
A criticare il movimento nato per contrastare la Lega non è solo la destra salviniana: c’è anche un “fuoco amico” proveniente da una sinistra in preda a un disordine mentale culturale-politico. Una reazione che ci dice quanto quel processo che ha divelto la geografia politica di fine-secolo per introdurci nell’epoca dei populismi abbia conquistato anche una (sia pur piccola) parte di corpo (ex) militante. Scenario, verrebbe da dire, vagamente weimariano
Che la destra salviniana veda come il fumo negli occhi le sardine ci sta, eccome (sono nate per contrastarla!). Che avrebbe sparato ad alzo zero contro quelle piazze piene di energia, senza trascurare nessuno degli strumenti propri delle sue macchine del fango, era ampiamente prevedibile.
E infatti eccoli puntuali, come un sol uomo, i bodyguard del Capitano: “Le sardine devono friggere”, twitta Vittorio Feltri. “C’è mortadella dietro le sardine”, titola a tutta pagina il giornale di Belpietro. “Le sardine infilatevele nel c***”, pubblica su Facebook il direttore dell’Azienda lombarda case residenziali (ALER) di Brescia, oltre alla solita sequela di “zecche rosse” (sergion49), “sardine marce e maleodoranti di putrido metodo stalinista” (Piero Venesian), “servi di Soros delle banche e dell’Nwo” (Alessandro Meluzzi)… Materiale trash tutto sommato scontato.
Meno prevedibile, invece, il “fuoco amico”: un volume consistente di osservazioni critiche provenienti “da sinistra” o meglio dalle tante sinistre, soprattutto quelle (ex) radicali, ognuna con i suoi fallimenti, le sue colpe nell’averli coltivati, i suoi atti mancati e le sue afasie, tutte sicuramente incapaci di opporre all’onda scura populista-sovranista la benché minima barriera, ma attivissime nel puntare indici accusatori (o in qualche caso medi offensivi) e loquacissime nel dispensare consigli e/o scomuniche.
Verrebbe voglia di ricordar loro il Fabrizio De André di Bocca di rosa quando cantava “Si sa che la gente dà buoni consigli/ se non può più dare cattivo esempio”, tanto più che le dichiarazioni di “insufficienza” politica di quel “Movimento” (bisognoso, si direbbe, di un qualche commissariamento da chi si presume abbia la “coscienza rivoluzionaria”) o addirittura il volume di fuoco contro quelle piazze piene sono tanto più virulenti e aggressivi quanto più marginali e anacronistici sono gli spezzoni da cui provengono.
“Arma di distrazione di massa”, le ha definite Marco Rizzo, segretario generale (sic) del Partito comunista, ai microfoni di Radio Radio: “L’Europa sta per stritolarci col MES e noi parliamo solo di ittica”. Rizzo, da quando, dal gennaio del 2014, ha fondato il suo Partito (comunista) non è mai andato oltre l’1% (candidato a sindaco di Torino alle amministrative del 2016 prese lo 0,86%, alle politiche del 2018 nel collegio uninominale di Firenze-Scandicci lo 0,9%, alle ultime europee lo 0,88%). Eppure parla di masse e di distrazione…
“Offensiva mediatica guidata dal Pd e da personaggi in cerca d’autore che gli sono contigui”, le giudica per parte sua l’associazione Marx XI sul suo sito, tramite la penna di Jean De Mille. In sostanza un movimento di winners della globalizzazione e del neoliberismo, fatto per “l’uomo medio, mediamente collocato lungo la scala della gerarchia sociale e mediamente soddisfatto. Mediamente scolarizzato e mediamente cólto. E più che mediamente immune rispetto alla crisi e alle dinamiche di precarizzazione e di marginalizzazione”.
Una sorta di neo-qualunquismo per gente dalla pancia piena e dalla mente occupata da luoghi comuni: “È precisamente a questo uomo qualunque, spoliticizzato fino al midollo dalla cultura del buon sentimento e della superiorità morale, cresciuto a colpi di Fazio e di Jovanotti, di Tommasi e di Gramellini – conclude il lungo J’accuse -, che si rivolge il manifesto: per lanciare un’autentica OPA (offerta pubblica di acquisto) su una parte molto consistente del Movimento 5 Stelle, il vero bersaglio di questa offensiva mediatica guidata dal Pd e da personaggi in cerca d’autore che gli sono contigui”.
Sembrano trasmigrare qui, quasi con le stesse parole, le identiche rappresentazioni dei giornali di Belpietro, di Feltri, di Senaldi, o l’accusa di “nullismo” (nel senso di “dentro il Manifesto NULLA”) mossa a nastro continuo da Francesco Borgonovo per due serate consecutive nel salotto di Lilli Gruber (nella seconda fieramente contrastato da Luca Telese).
Insieme ai topoi martellanti sul nonsense di fare “opposizione all’opposizione”, sull’ossessività per Salvini quando i problemi sono “ben altri”, sul “moralismo” e, sinergica, l’apoliticità delle piazze… li si ritrovano, questi cattivi umori, questo retrogusto acidulo di chi ha maldigerito, spigolando tra le pieghe della rete, sulle pagine Facebook di “militanti provati” di sinistre dure e pure, quasi, come dire?, indignati per essersi visti sfilare di sotto gli occhi quelle piazze che non riuscivano più a sfiorare e che ora una nuova generazione di sbarbatelli si prende.
“Le Sardine censurano i dibattiti, le sardine non sono inclusive, le sardine sono fuffa mediatica inventata per autocelebrarsi in un rito collettivo di lavaggio delle coscienze, non hanno identità non hanno idee non sanno argomentare sono solo contro… ma non hanno minimamente idea di come combattere salvini, basta che si dichiarino contro… poi se qualcuno gli chiede ‘si, ma che volete fare? quali proposte avete? come la pensate su vari problemi?’ arrivano insulti e poi ti bannano… ma senza odio però eh.. perché loro sono contro l’odio… loro non odiano… riempiono le piazze non sono ne di destra ne di sinistra… ma sono di sinistra… cantano bella ciao ma poi votano calenda o renzi… se gli parli di venezuela o di ilva non ti rispondono, sono antipopulisti ed antisovranisti… senza saperne una cippa di cosa significhi populismo o sovranismo, vabbé so’ sardine… che vuoi fare”. Tutto in un solo post, di uno che si dice antifascista da sempre, iscritto all’ANPI, notav, notap, antirazzista e antiliberista. Ma non è certo l’unico.
Sono decine e decine, riemergenti come relitti di un naufragio tra le acque spesso inquinate dei social, segnati da forme sorde di rancore che spesso riesumano materiali eterogenei, fosse anche il “Trattato del ribelle” del vecchio Ernst Junger, antica bandiera della destra radicale volker (per dimostrare che questi non sono ribelli) o gli scritti di Leo Longanesi ripresi da un sito di destra esplicita come “l’intellettuale dissidente” di Sebastiano Caputo, in cui si mettono insieme in un’unica bad company sardine, Friday for Future e Carola Rackete (“Studenti universitari sovra-mediatizzati che manifestano contro un partito all’opposizione, mai affacciati al mondo del lavoro, per definizione ‘improduttivi e parassitari’, con rivendicazioni intellettuali (contro l’odio e in difesa della creatività! Sic!) lontane anni luce dagli interessi delle classi popolari. Aveva ragione Leo Longanesi. ‘Ci salveranno le vecchie zie’”.
Sono il segno di un disordine mentale politico-culturale spesso prodotto da una lunga attraversata del deserto, da residui di organizzazioni novecentesche un tempo “di massa” o quantomeno capaci di un qualche protagonismo, e poi andate “fuori corso” nel passaggio di secolo. Anni e anni chiusi nell’involucro coriaceo e impermeabile del “Partito”, del micro-gruppo, a conservare accesa la fiamma e maledire la Storia che non ci dà ragione, e talvolta anche la “gente” (non più “classe”) che va altrove.
Giuseppe Berta, nel suo recente bellissimo libro su Detroit, in tutt’altro contesto – la motor company per eccellenza andata out of work – ha ricuperato un termine di derivazione scientifica: half life o “emivita”. È l’espressione usata per quei materiali radioattivi che, anche dopo essere stati rottamati e smaltiti, continuano a emettere radiazioni per cicli temporali lunghissimi.
Berta si riferiva alla cultura industrialista novecentesca dissolta dal capitalismo delle reti e dalla conseguente deindustrializzazione, che tuttavia “continua a irradiare effetti”, ma lo stesso concetto può essere applicato alle culture politiche, e alla loro natura di “passato che non trapassa”. E che in questo resistere al tempo, offusca lo sguardo, genera passioni tristi, risentimento e rifiuto, un po’ come accade, simmetricamente, a quegli strati ampi di popolazione – le classi lavoratrici di ieri, la base del socialismo progressista e del comunismo rivoluzionario fino all’altro ieri, quando incarnavano la promessa dell’avvento di un “tempo nuovo” e oggi messe al margine e declassate – che con una virata di centottanta gradi rispetto alla loro precedente parabola seguono oggi il canto delle sirene leghiste-populiste. Covando in sé quello spirito di vendetta che Nietzsche definì come “l’avversione della volontà contro il tempo e il suo così fu”.
Ecco, la reazione di questa pseudo-sinistra radicale alla “felicità pubblica” messa in atto dalle piazze di novembre ci dice quanto quel processo che ha divelto la geografia politica di fine-secolo per introdurci nell’epoca dei populismi dal sottostante sociale sia risalito fino alla superficie politica, conquistando anche una (sia pur piccola) parte di corpo (ex) militante. Scenario, verrebbe da dire, vagamente weimariano.
Sono, appunto, minoranze. E poi ci sono gli altri. Quelli politicamente “più corretti”. Una sinistra che pur senza cessare di essere radicale, e pur apprezzando le piazze piene (e come potrebbe fare altrimenti), tuttavia non si esime dal fargli le pulci. Dispensarne consigli. Candidarsi a esserne il custode interno.
È il caso di quelli del PCL (Partito comunista dei lavoratori) che da buoni trotzkisti predicano l’”entrismo” e scrivono: “Come PCL, sappiamo che, spesso, la coscienza politica nei movimenti è molto arretrata, specialmente in Italia, ma questa non è una ragione per lasciare da soli quei movimenti. Perciò non solo siamo dentro il movimento, ma lavoriamo per sviluppare al suo interno una prospettiva rivoluzionaria ed anticapitalista, l’unica in grado di battere davvero Salvini. Tanto più che l’epoca è instabile e il PD oggi alla testa, con una propaganda audace e sistematica, può trovarsi presto alla coda per ruzzolare definitivamente nella polvere, liberando così la coscienza delle migliaia di “sardine” che oggi riempiono la piazza, facendo fare un passo avanti gigantesco alle lotte di classe di questo Paese. È questo l’obbiettivo per cui bisogna lavorare”.
Altri si ripropongono di essere “i pesci rossi che nuotano nel branco delle sardine”. Ma sono tanti, anche tra amici carissimi, che dopo l’omaggio di rito alla mobilitazione di popolo che sottrae il monopolio del “popolo” al capitano, ne sollecitano la maturazione, ammoniscono sulle responsabilità e sul necessario superamento dei limiti, perché senza organizzazione non si dura, perché Salvini non è che il sintomo mentre la malattia è nella società e nelle sue diseguaglianze, perché il programma è ancora troppo generico e in parte monco (dove stanno le Banche? E il dissesto idrogeologico? E l’Europa? E le diseguaglianze, base materiale, è ben vero della sindrome sovranista-populista, ecc. ecc.). A tutti credo che abbia risposto, come meglio non si poteva, Giulio Gambino, direttore di TPI, con un’affermazione che è anche un titolo: “Smettetela di vedere nelle Sardine la salvezza dal vuoto politico a cui ci avete abituati”.
Fonte: Tpi
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