Sardine (e anti-sardine) alla molisana
di Paolo Di Lella
Non c’è niente da fare, la modalità attraverso cui “il Molise esiste” è la differita.
Come abbiamo già scritto in altre occasioni, le tendenze che si verificano in Italia, arrivano in Molise, quando tutto va bene, soltanto dopo mesi, se non addirittura anni.
Non per niente, Stefano Marinucci, uno degli organizzatori del flash mob con il quale le sardine hanno esordito sabato sera a Campobasso, ha iniziato il suo intervento mettendo subito le mani avanti: “Qualcuno diceva che il Molise arriva sempre in ritardo rispetto ai cambiamenti, qualcuno dice che gli abitanti di questa terra sono avvolti da una strana forma di apatia”.
Poi Marinucci ha continuato dicendo che la partecipazione spontanea che si era realizzata stava a dimostrare “che anche nel nostro piccolo Molise c’è la voglia di reagire a ciò che ci accade intorno”.
Il problema è che mentre scriveva il suo discorso non poteva immaginare quante persone sarebbero scese in piazza.
Di gente ce ne era poca, in effetti. E ciò stava a dimostrare, in realtà, che il Molise è davvero in ritardo rispetto ai processi nazionali.
Qui l’ondata leghista non è mai arrivata. La contrapposizione populisti/globalisti è materia di speculazione filosofica.
Il vero problema del Molise è ancora e sempre la Democrazia Cristiana. È la difesa strenua del diritto a non-saper-far-niente e ad essere accuditi. È, in definitiva, la cultura conservatrice e sospettosa prodotta da decenni di “sottosviluppo assistito” a cui la classe politica locale, negli anni del cosiddetto boom economico, ci ha condannati.
Sotto questa luce si possono leggere anche la maggior parte delle critiche che mentre scriviamo stanno piovendo addosso alle neonate sardine molisane.
È interessante vedere come molti esponenti della (dis)informazione mainstrem si siano messi a strepitare con la bava alla bocca, prima contro i 5 stelle e ora contro le sardine. Con i soliti argomenti da squadristi di provincia attaccano chiunque indossi un “maglione moscio” o che abbia un’ “aria vagamente intellettuale”, riproponendo lo stile dei raid fascisti contro le “zecche rosse”.
Capiamoci, non c’è niente di cui entusiasmarsi nella mobilitazione – per quanto impressionante nei numeri – che le sardine sono state capaci di suscitare in moltissime piazze italiane. Si tratta più che altro di ceto medio non impoverito che aborrisce (e giustamente) lo stile comunicativo della destra e che talvolta guarda con un certo disgusto (e qui sta l’errore) il popolo sporco, brutto e cattivo, sia che sfondi le vetrine, sia che voti la lega, senza distinzioni.
C’è sicuramente del qualunquismo tra chi canta Bella Ciao e subito dopo intona Fratelli d’Italia, c’è sicuramente tanta banalità e astrattezza nelle parole d’ordine che sono emerse nelle piazze, così come c’è anche dell’opportunismo nella scelta di porsi genericamente al di fuori dei partiti. E del resto molte altre contraddizioni si manifesteranno man mano che il processo organizzativo andrà avanti.
Dobbiamo smettere di credere ai miracoli e di buttarci nelle scorciatoie.
Costruire un nuovo blocco sociale che punti ad un nuovo modello produttivo è un’impresa che comporta tempo e impegno, sicuramente molto più di quanto ne occorre per organizzare un flash mob.
In ogni caso bisognerà prima liberarsi delle narrazioni false e, soprattutto, della nostra cattiva coscienza.
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