Pregare sicuri (anche in chiese antiche)

di Francesco Manfredi-Selvaggi

La prevenzione sismica deve essere una delle principali finalità di un intervento di restauro. Non basta salvaguardare la struttura muraria perché occorre pure mettere in sicurezza le opere d’arte che stanno al suo interno.

È vero che al primo posto tra le preoccupazioni in occasione di terremoti c’è la salvaguardia delle vite umane, ma un posto rilevante lo ha anche la difesa del patrimonio culturale. È evidente, in tale campo, che ha priorità garantire la stabilità delle strutture architettoniche anche perché, specie gli edifici di culto, esse possono contenere persone proprio nel momento della scossa tellurica, i fedeli durante la messa, oppure, e questo vale per tutti i monumenti, se in quegli istanti vi sono turisti.

Per i manufatti di interesse artistico è da preoccuparsi pure delle macerie qualora l’evento sismico abbia provocato il crollo perché tra i detriti possono trovarsi frammenti di pitture parietali, capitelli, gli stessi pavimenti che a volte (ma non sempre perché con le donazioni degli emigrati a devozione del santo patrono del proprio paese nella prima metà del secolo scorso sono stati rinnovati) hanno valenze storiche e così via: è opportuno aggiungere che per i beni culturali danneggiati dal sisma l’atteggiamento da assumere è quello di metterli subito in sicurezza e procedere al restauro in un secondo momento, successivamente al recupero delle abitazioni avendo, di certo, priorità il problema della casa.

Di precisazione in precisazione, che per opere provvisionali non si intendono più le puntellature in legno le quali esposte alle intemperie sono destinate a marcire in poco tempo bensì nuove tecniche, dalle incatenature alle imperniature agli incollaggi, che costituiscono presidi definitivi. Tra i fabbricati per scopi religiosi, in verità parzialmente per scopi civili (segnando l’orologio che è in cima le ore), vi sono i campanili che per l’essere alti e stretti sono assai vulnerabili sismicamente per cui sono una delle principali cose su cui concentrare l’attenzione nei piani di prevenzione tenendo conto che la loro caduta al suolo rischierebbe di danneggiare il caseggiato sottostante.

La loro perdita, inoltre, rappresenterebbe, almeno fin quando non vengono riedificati, un’alterazione dell’immagine del borgo che si identifica inevitabilmente con la sua torre campanaria, alcune, peraltro, molto belle per la forma a cipolla rivestita di ceramiche della sua cuspide, vedi Boiano, Agnone, ecc.; quel prete che il 26 luglio del 1805 passava nella piana dell’alto Biferno non riusciva a riconoscere i centri abitati essendo andati a terra a seguito del terremoto i loro campanili.

Per quanto riguarda le chiese esse presentano una configurazione strutturale molto variegata per cui è difficile interpretare il loro comportamento in conseguenza di uno scuotimento tellurico: si pensi per esemplificare e schematizzando, che in quella a tre navate le due laterali oppure le cappelle ai lati di quelle a sala unica fungono, specie se fuoriuscenti dal perimetro come le absidi in qualche modo, da speroni di rinforzo così come i coronamenti orizzontali, a mò di timpani lineari e non triangolari, presenti numerosi in Molise (S. Bartolomeo a Campobasso, la cattedrale di Larino, per limitarci a due esempi) i quali sono delle paretine aggiunte in cima alla facciata per nascondere il tetto che sono elementi estremamente fragili, essendo sottili, dal punto di vista sismico.

Qui vogliamo toccare un tema che non è secondario il quale è quello del danneggiamento degli apparati interni delle architetture ecclesiastiche a causa del terremoto. Vengono coinvolti, infatti, nella distruzione o nel lieve o grande che sia il lesionamento delle mura di una chiesa le componenti decorative che in esse sono integrate e, cioè, gli affreschi, gli stucchi e i rivestimenti marmorei oltre che gli oggetti, quindi i dipinti (su tela o su tavola), le statue (di legno, di materiale lapideo, rarissime, di gesso, il quale si disfa rapidamente all’aria, di cartapesta o quelle cosiddette vestite, cioè con un telaio ligneo coperto dall’abito del personaggio sacro), gli arredi (le cantorie, i confessionali, gli altari, costantemente presenti), gli organi a canne e gli altari staccati dalle pareti e, infine, le suppellettili liturgiche che possono essere fatte con materie preziose quali l’oro e l’argento (a Trivento ne si custodiscono alcuni pezzi di pregio nel museo diocesano).

In definitiva, si è detto che conta proteggere la fabbrica e, insieme con essa, le ornamentazioni che vi si trovano dentro, le quali ultime costituiscono un pericolo potenziale per coloro che seguono il rito che vi si sta officiando perché l’onda sismica le può far precipitare giù; sono, pertanto, temi di protezione civile sia l’impianto costruttivo sia gli oggetti che adornano l’aula. Ad impreziosire i fronti, sicuramente quello principale, esterni vi sono bifore (vedi S. Erasmo a Boiano), rosoni (ad es. S. Emidio ad Agnone) di fattura romanica e portali (medioevali, S. Maria della Strada a Matrice, rinascimentali, il Beato Stefano a Riccia, barocchi, la parrocchiale di Campodipietra, per citarne uno per ciascuno stile) che il terremoto di una certa intensità può determinarne la rottura e che è difficile ricomporre una volta scomposti in più parti, maggiormente che ricostruire una muratura.

Le teorie scientifiche contemporanee con le disposizioni tecniche che ne conseguono in campo antisismico affidano il compito di far fronte ai terremoti non tanto alla resistenza della struttura, la quale si rivela, comunque, limitata di fronte ad eventi tellurici significativi, quanto alla sua capacità di riduzione della forza sismica che agisce su di essa. Per ottenere ciò vi sono due strade che sono, l’una quella della “dissipazione” dell’energia in entrata obbligandola a degradare fino a trasformarsi in energia termica (lo insegna la Termodinamica) e ciò richiede, però, che si accetti una qualche alterazione del manufatto e, l’altra, quella dell’”isolamento” degli elementi portanti rispetto alle scosse orizzontali (non è efficace, dunque, per i terremoti di natura sussultoria).

Per le architetture monumentali, seppure costosi, occorrerebbe puntare sugli isolatori che assicurano l’integrità del bene nel suo complesso, quello immobile, l’edificio, e quelli mobili, i quadri, le sculture, l’arredamento sacro, le cornici, in quanto gli interventi tesi a dissipare l’energia lasciano inevitabilmente un segno, non fosse altro che una catena metallica posta fra due setti. Siamo arrivati, come si vede, a parlare del restauro trascurando di fare un cenno alla manutenzione, stiamo rimediando ora, la quale è un’operazione essenziale se fatta con costanza per tutelare il fabbricato, la prima delle azioni di prevenzione sismica da mettere in campo per tramandare il patrimonio che abbiamo ereditato alle generazioni successive.

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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