Pregevole castello a rudere, figuriamoci intero!
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Le strutture castellane hanno, seppure ne rimangono solo dei resti, sempre un notevole valore simbolico. Pertanto esse vanno salvaguardate sia se di proprietà pubblica che privata. Lo stesso vale per le torri isolate le quali arricchiscono il contesto paesaggistico in cui ricadono.
Se di proprietà pubblica o privata lo stato di conservazione varia. Sono quelli in mano alle famiglie, in prevalenza, in condizioni migliori dal punto di vista della funzionalità del manufatto essendo, a volte, le opere castellane in possesso di enti, pervenute a noi già a rudere. Bisogna, poi, tener conto che sono del demanio i manieri collocati sulle alture distaccate dal paese, i quali, anche perché magari arroccati su emergenze rocciose, con una accessibilità difficoltosa, erano poco appetibili per i singoli cittadini che non avrebbero potuto trasformarli nella propria residenza, ad esempio si citano i casi di Roccamandolfi e Longano.
In verità le eccezioni sono due: in una situazione la rocca con i medesimi problemi evidenziati prima è in possesso di un discendente del casato feudale, ciò succede a Roccapipirozzi dove è in piedi solo la grande torre sommitale e nell’altra, il castello di Colledanchise il quale rappresenta una doppia eccezione perché pur di proprietà privata e pur trovandosi alle porte del centro abitato, comodamente raggiungibile in auto è ormai ridotto in brandelli (murari).
Tra le torri, qui ci riferiamo a quelle isolate, l’unica ancora utilizzata è quella di Casalvatico nell’omonima contrada di Cercemaggiore i cui proprietari sono persone del posto e ciò lo si rimarca per evidenziare che esso avrebbe la potenzialità in termini dimensionali per diventare una dimora turistica, è, infatti, una autentica casa-torre che non nasconde la sua origine militare denunciata dal muro a scarpa, dalle feritoie, dal redondone. Ha dovuto, comunque, subire qualche adattamento per diventare un’abitazione come l’apertura di finestre.
Torrioni di analoga grandezza ve ne sono pure in mano pubblica e non hanno avuto bisogno di trasformazioni d’uso per rimanere in vita, bensì di interventi di restauro quali quelli effettuati sulla Torre di Montebello vicino al Trigno in agro di Montenero di Bisaccia e la Rocca di Oratino, in località, appunto, La Rocca di questo comune. Per quanto riguarda le torri costiere, appartenenti allo Stato quando la costa era considerata confine della nazione, ne sono rimaste di alcune solo uno sperone, mentre ce n’è una ristrutturata per farne un ristorante, alla foce del Sinarca.
Nella campagna di S. Croce di Magliano ci sono i resti di una torre, in una contrada detta Magliano. È privata la torretta di Baranello che fungeva da punto di vigilanza sul Biferno. Tutte quelle citate finora sono di forma, in pianta, quadrangolare, ma ve ne sono anche di circolari che, però, non sono a sé stanti poiché fanno parte di complessi fortificati. Oltre alla rotondità hanno il requisito comune di essere bellissime e, per quello di cui qui si sta discutendo, che appartengono ad amministrazioni comunali. Il fatto di essere belle non è secondario ai fini della loro salvaguardia perché ciò deve aver stimolato le comunità a mantenerle integre.
Quando i rivoluzionari nel 1799 distrussero la fortificazione a Riccia in quanto simbolo del feudalesimo non toccarono la torre che ne è al centro. Non sono oggetti piccoli né in altezza né planimetricamente e se si aggiunge che sono cilindriche, stereometricamente pure in quanto non c’è il basamento a scarpa, si riconosce la loro unicità nel panorama urbano fatto, specialmente a Campochiaro e Colletorto, di un’aggregazione di edifici minuti, salvo le chiese. L’appellativo che si adopera per loro è di torri angioine il che, per certi versi, ne aumenta la grazia.
Alle due categorie con le quali ci si è confrontati in precedenza, pubblico e privato, dobbiamo aggiungerne una ulteriore che è quella religiosa. È strano che un castello che è uno strumento bellico possa avere quale regime proprietario quello ecclesiastico eppure la chiesa ha alcuni castelli, probabilmente per donazioni. La parrocchia di Lupara ha ceduto il castello al Comune, il quale ha in corso un progetto di ripristino architettonico, mentre per quello di Castelmauro, un palazzo baronale, l’autorità religiosa ne ha promosso il recupero, per destinarlo a centro sociale, ed, infine, a Montefalcone del Sannio la congregazione di suore che lo detiene vi gestisce una casa di riposo.
Dunque, c’è stato un certo attivismo nel clero il quale ha cercato di mettere in valore questo patrimonio. Per quanto riguarda le architetture castellane pubbliche cioè della Soprintendenza ai Beni Culturali esse se è vero che sono poche, è pur vero che sono tra le maggiori. Abbiamo, così, il castello di Gambatesa con le sue sale splendidamente affrescate nel XVI secolo, il castello di Venafro, anch’esso impreziosito all’interno con la serie dei dipinti raffiguranti i cavalli, in scala reale, amati da un esponente dei conti Pandone, il palazzo Sanfelice incastonato nella morgia di Bagnoli.
L’organo periferico del Ministero per i Beni Culturali ha speso tantissimo sia per l’acquisizione sia per restaurarli e sia per mantenerli; ha promosso la loro valorizzazione destinando in parte, quello venafrano, che insieme a quello di Gambatesa è sempre aperto, a pinacoteca, organizza visite guidate e assicura l’apertura di quello di Bagnoli in vari giorni dell’anno, specie festivi e nel periodo estivo pure feriali. La restante porzione della quota pubblica è dei Comuni che hanno sfruttato tali edifici, in genere aventi una consistente superficie utile, “sfruttabile”, per ospitare i propri uffici, quale sede municipale a S. Giuliano del Sannio, a Molise, ricostruendo pezzi ormai demoliti, e a Larino nel prestigioso Palazzo Ducale con la sua ampia corte rinascimentale.
In aggiunta comunali sono il castello Monforte di Campobasso, sacrario militare e stazione meteorologica dell’aeronautica, la fortezza longobarda di Tufara in cima alla quale, invece, della salvaguardia dei resti antichi, come in seguito finalmente si è fatto, era in progetto la costruzione del Municipio, un fabbricato ex-novo, Civita Superiore verso la quale è stato adottato un atteggiamento estremamente conservativo, senza azioni invasive bensì con tecnica archeologica e altri ancora. Si segnala tra i castelli privati quello di Torella che per merito del padrone di casa, per così dire, è diventato un polo espositivo (i quadri della pittrice Elena Ciamarra) svolgendo una funzione che è tipicamente di una struttura pubblica.
Francesco Manfredi Selvaggi633 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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