La materia prima dei borghi antichi

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Si direbbe la pietra locale ma ciò non è del tutto esatto perché se è vero che negli edifici è utilizzato materiale lapideo del posto nelle pavimentazioni stradali prevale l’impiego di rocce provenienti anche da molto lontano come il porfido e il basalto.

Di pavimentazioni urbane davvero antiche nei nostri paesi è rimasta solo qualche traccia. Sorprendentemente sono pervenute a noi quelle di epoca romana (il decumano di Altilia e quello riemerso durante la sistemazione al Calderari a Boiano) e non del periodo successivo.

È da dire che nei centri minori le strade dovevano essere, in prevalenza, semplicemente sterrate e quando nel secolo scorso si è proceduto a pavimentarle si sono ricoperti con nuovi materiali anche quei tratti della rete viaria che erano selciati: nel rifacimento del manto stradale, magari a seguito dei lavori sulle condotte idriche o fognarie, sono emersi spezzoni di ciottolati in diversi comuni tra i quali Castropignano.

Spesso si è fatto ricorso al bitume lì dove i percorsi cittadini sono destinati al transito delle automobili e per queste ultime si sono sacrificate pure le caratteristiche scalinate dei nostri borghi (penalizzando, nel medesimo tempo, i pedoni che preferiscono i gradini in presenza di innevamento). Asfalto, ma per rendere carrabili le vie cittadine vanno bene, anzi meglio, il porfido o il basalto.

Il porfido è una roccia vulcanica che si è andata formando quasi 300 milioni di anni fa e proviene dalla catena alpina; l’evocazione di un’era geologica tanto remota e il rimando emotivo alle Alpi ne fanno un elemento assai affascinante, ma se tali connotati sono apprezzabili non è questa, di certo, la ragione che ha portato all’impiego tanto esteso di questa pietra di colore viola scuro con riflessi quarziferi la quale utilizzata in cubetti, disposti spesso a “coda di rondine”, si rivela resistente sia all’attrito delle auto sia alle intemperie.

Meno usato adesso rispetto al passato è il basalto (viene anch’esso dal vulcano) nella pavimentazione viaria, sia in forma di sanpietrini alla stessa maniera del porfido, lo si vede in certi vicoli a Roccamandolfi, sia in forma di basole (ad esempio in piazza Prefettura a Campobasso).

Non sono, comunque, solo questi elementi lapidei adoperati nelle percorrenze stradali degli insediamenti storici molisani (è di questi che ci stiamo occupando, vale la pena precisarlo) essendocene pure altri, dalla “pietra di Apricena” (a Spinete) al “verdello” (a Duronia e Ferrazzano) al “serpentino” (corso Marcelli a Isernia) e così via. Uno dei rari casi in cui la pietra è locale è quello dell’arenaria di Agnone con cui non molto tempo fa è stata rifatta la piazza Plebiscito del capoluogo altomolisano.

Va pure detto che molto diffuse sono le betonelle in cemento con le quali risulta pavimentato il corso Fedele Cardarelli di Civitanova del Sannio, la scelta delle quali per la loro colorazione grigia permette di mettere in risalto i fronti edilizi al contorno, non imponendosi alla vista la superficie viaria, una sorta di tinta neutra.

Se i fondi dei percorsi sono così variegati lo sono meno i prospetti delle case, almeno quelli non intonacati che sono di solito tinteggiati in modo differente l’uno dall’altro, fatti come sono prevalentemente della pietra del posto. Un inciso doveroso è che la roccia da cui si estrae il materiale da costruzione è diversa nei vari comuni per cui in alcuni si trova il flysh numidico, in altri la breccia, in altri ancora l’arenaria, ciascuna con una propria tonalità coloristica.

Le tecniche costruttive pure sono differenziate potendosi incontrare paramenti dove la cortina lapidea è interrotta a cadenza regolare da filari di mattoni, una intercalazione presente già nelle domus dei Romani, il cui esemplare migliore però non è in centro storico bensì in località Casino del Duca di Cantalupo. Se non vi sono differenze cromatiche ve ne sono tra il trattamento delle pietre, cioè grezze, sbozzate o se sono conci regolari, il quale conferisce una qualche varietà alle facciate.

Per i prospetti costituiti da pietre lavorate non è ammissibile il ricoprimento con intonaco che, invece, va consentito per quelli fatti con pietrame rozzamente lavorato per i quali prima si procedeva ad eseguire all’esterno una semplice scialbatura con latte di calce. Si tende allorché si effettua l’intonacatura a lasciare a vista i cantonali costantemente blocchi lapidei di grandi dimensioni squadrati se non lo zoccolo basamentale, quando di buona fattura.

Il laterizio è presente in copertura con i coppi e nelle cornici delle aperture mentre è inconsueto nelle pavimentazioni urbane (pure dove il mattone era stato adottato verso la fine del secolo scorso quale materiale di pavimentazione, vedi il centro storico di Campodipietra, si va procedendo alla sua rimozione).

Pietra, argilla che è la componente del laterizio, e il legno delle travi e degli infissi costituiscono la materia prima disponibile e permettono l’integrazione della costruzione con l’ambiente fisico circostante, perché da qui sono stati prelevati. Nel momento che stiamo vivendo vi è la comparsa di tantissimi nuovi materiali che porta a significative trasformazioni del’immagine dei fabbricati.

Le persiane tradizionali in legname sono state sostituite dalle tapparelle, le tegole in argilla sono state eliminate e al loro posti si sono messe, fin quando è stato consentito, lastre di eternit e pure nei parapetti dei balconi sono comparsi pannelli in amianto. All’estradosso delle pareti perimetrali, da poco tempo, è stata giustapposta la “facciata ventilata” che è un rivestimento opportunamente distanziato da tali pareti fatta di piastrelle di klinker.

Al di sopra delle finestre sono apparse le tende avvolgibili. Le modifiche si sono avute non solo nelle tecnologie, ma anche nel linguaggio architettonico con la realizzazione delle strisce marcapiano e la tecnica dell’intonaco graffiato. Le correnti dell’architettura moderna hanno influenzato oltre che le opere dei maestri pure la produzione edilizia ordinaria: il cemento a faccia vista informa tanto la chiesa di S. Giuseppe Artigiano a Campobasso di Mandolesi quanto abitazioni normali applicato alle quali produce un effetto grottesco.

Il brutalismo, così si chiama questo stile, stempera la sua carica eversiva riducendosi ad un’ennesima moda (come è avvenuto per il liberty, il razionalismo e come si verificherà con il post-modern). È la sorte che ha in comune con il cemento armato il quale secondo i “pionieri” dell’Architettura Moderna avrebbe dovuto portare alla smaterializzazione dell’involucro, alla “pianta libera”, non più condizionata dalla maglia dei setti murari, e che, invece, se modifica il sistema strutturale, ha scarsa influenza, riferendosi all’edilizia corrente, nella concezione del progetto della casa la quale presenterà ancora una planimetria bloccata. Qualche innovazione nell’impostazione progettuale c’è, in effetti, stata ed è la parete vetrata che tanta fortuna ha avuto nei fabbricati per uffici; non si può, però, parlare di rivoluzione dovuta solo al cemento armato.

Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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