Una (con) fusione tra castelli e paesaggi
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Ci sono strutture castellane che si confondono con il contesto paesaggistico fatti come sono entrambi di pietra e ci sono fortificazioni che pur distinguendosi nelle vedute panoramiche ne vengono a costituire uno degli aspetti salienti.
Se il paesaggio è integro allora è più bello il castello. Non è solo una questione estetica quella della conservazione dell’intorno paesaggistico in quanto esso permette di comprendere meglio la struttura castellana la cui forma è condizionata dal contesto ambientale e insediativo nel quale è collocata. Aiuta a comprendere il raffronto tra le due torri, ambedue isolate, posizionate al di fuori di ambiti insediativi, l’una quella di S. Croce di Magliano e l’altra posta su monte S. Nicola a Pescopennataro; la prima è vicina ad una nuova arteria viaria dalla quale la si percepisce di sfuggita, la seconda è in uno dei siti naturali di maggior pregio del Molise.
La situazione più eclatante è quella dell’alto viadotto che sovrasta il castello di Cerro al Volturno mettendo a confronto, in modo immediato, un segno della modernità con un simbolo dell’età medioevale. Per quanto riguarda la permanenza dei caratteri urbanistici originari del luogo in cui sorge il castello, il quale è quasi sempre contiguo ad un abitato, si prende quale esempio limite Rocchetta al Volturno Alta dove la frana ha distrutto la metà del paese senza raggiungere, comunque, l’area circostante il maniero; privo, ormai, di abitanti non si sono avute trasformazioni dell’edificato il quale per la medesima ragione, cioè perché disabitato, versa in un profondo stato di degrado.
Questo, in effetti, è un caso eclatante, mentre nell’ordinario si sono verificati diversi episodi di alterazione dell’immagine dell’architettura castellana con l’affiancamento ad essa di manufatti contemporanei privi di qualità formali: a Ferrazzano, che si usa come esemplificazione, negli anni 60 del secolo scorso venne costruito al lato della residenza feudale un asilo il cui progetto prevede la tipologia consueta delle attrezzature per l’infanzia, non tenendo minimamente in conto la vicinanza con il castello Carafa. È molto triste che nei decenni successivi non si sia pensato di abbattere tale fabbricato!
Da quando sono stati varati i piani paesistici regionali cioè dalla fine del 1991, non è consentito modificare il sito circostante al bene culturale per una fascia di 50 metri (tale misura è assai inferiore a quella vigente in Francia dove la distanza dai monumenti entro cui non è possibile erigere alcunché, è di m. 500, ma la logica è ben differente ed è quella del loro “isolamento” che non appartiene alla nostra cultura per la quale, invece, occorre salvaguardare i rapporti instaurati storicamente tra “emergenza” e tessuto urbanistico in cui essa è inserita).
Il castello è protetto dalla legge sui beni storici oltre che sulle cosiddette “bellezze naturali”, normativa che contempla la facoltà di estendere il vincolo alle visuali che si aprono verso di esso, ma qui da noi non è stata mai utilizzata. A proposito dello spazio adiacente al castello verso la fine del millennio trascorso a Carpinone, abbastanza inopinatamente, venne realizzato un vero e proprio ampliamento del castello Caldora da un imprenditore con il medesimo cognome sulla base di una incerta documentazione storica che avrebbe dimostrata la presenza di un’ala nell’impianto originario, in seguito crollata, dunque da ricostruirsi.
La salvezza di una rocca viene, a volte, più che da un’azione vincolistica dalla sua posizione su un ammasso lapideo che rende i pendii molto scoscesi impedendo che, in passato, potesse essere espugnata e, oggi, che su di essi si possano realizzare case: il castello D’Evoli di Castropignano sorge sul “cantone (ovvero masso) della fata”.
Estremamente pittoresche sono le balze che sorreggono il castello di Bagnoli del Trigno il quale nel XVI-XVII secolo ha preso il nome di Palazzo Sanfelice avendo acquistato una funzione residenziale. Una situazione a parte è quella di Termoli dove il “Borgo Antico” è presidiato dal Castello Svevo e da una possente murazione la quale corre fino ai bordi del promontorio roccioso che lo ospita; in effetti, per circa tre quarti della sua estensione la cinta muraria apparirebbe superflua perché il mare in sé viene a costituire una barriera per chi voglia assaltare la città se non che nel 1566 delle navi turche la cannoneggiarono.
Tanta fu la paura che furono rafforzate dagli Aragonesi le mura urbiche e dotate di particolari torri non curvilinee bensì rettilinee sporgenti (neanche il castello ha curve) dal camminamento di ronda, chi di pianta quadrata chi rettangolare (evidentemente più grande dell’altra). Nessuno, è ovvio, può fondare fabbriche sulla distesa marina salvo i trabucchi che sono retti da palafitte per cui l’integrità della visione del muraglione, quale quella, soggetto ricorrente nelle cartoline illustrate, che si gode dalla spiaggia di S. Antonio, è assicurata.
L’“incendio del castello” è, in qualche modo, il rito fondativo del nostro insediamento rievocando il bombardamento dei Turchi che portò all’irrobustimento della cintura murata, la quale ha tanto di simbolico non solo perché confine tra terra e mare, ma soprattutto in quanto sono le mura, va bene anche il solco tracciato da Romolo, a dare avvio alla nascita di un nucleo insediativo.
Finora nel parlare di castello ci si è riferiti al suo modello classico di fortezza, ma il panorama delle opere castellane è variegato comprendendo pure, tra le altre, le sedi feudali che si sovrappongono alle porte cittadine le quali non sono affatto infrequenti, si pensi al Palazzo Ducale dei Di Sangro a Casacalenda, al Palazzo Battiloro di Scapoli, alla dimora della famiglia cardinalizia che possedeva il feudo di Vastogirardi, per limitarci a questi. Per essi le relazioni con il paesaggio si riconducono a quelle di mediazione tra il dentro, il borgo di cui sono l’entrata, e il fuori.
Dalle porte parte una strada che è di collegamento con il resto del territorio e lungo tale percorso viario si sviluppa la prima espansione urbanistica extramuraria, ragione per cui il castello, che continuiamo a chiamare così perché vi risiede il feudatario, è prospiciente a caseggiati e non all’agro rurale.
Quando il castello è collocato proprio nell’agglomerato abitativo e non ai suoi margini, magari su rilievi distanti dal paese (Roccamandolfi), come accade a Gambatesa, S. Martino in Pensilis, Portocannone, ecc. allora esso subisce la trasformazione in dimora signorile e viene a partecipare all’ambiente urbano e non alla campagna, in ultima analisi al paesaggio che non ne è più dominato.
Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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