I paesaggi del potere
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Sono quelli in cui dominano la visione le opere fortificate, dai castelli alle cinte murarie alle torri. Esse furono erette sia a protezione degli abitanti sia, soprattutto, per il loro controllo.
I problemi di scarsa attrattività dei nostri borghi derivano, in ultima analisi, dai castelli, almeno quelli legati all’isolamento. Infatti, gli abitati si sono posizionati, generalmente, su alture al seguito dei manieri che sono collocati sulla sommità delle stesse; la popolazione in quei tempi così insicuri per l’assenza di un’autorità centrale capace di garantire l’ordine tendeva ad aggregarsi presso la residenza del barone nella ricerca di protezione. La struttura castellana costituisce con il suo immediato intorno, in definitiva, il primo nucleo dell’insediamento.
Se l’ubicazione sui rilievi era vantaggiosa per i centri in epoca medioevale in riguardo alla sicurezza essa oggi si rivela penalizzante perché costringe a percorsi difficoltosi per raggiungerli. Il sito dei castelli, pertanto, avendo condizionato lo sviluppo insediativo si rivela oggi uno dei fattori che sono l’origine del processo di svuotamento dei paesi molisani, e pure, in molti casi del degrado degli stessi castelli, specie quelli collocati al di fuori del perimetro cittadino, come succede a Roccamandolfi e Longano, ormai ridotti a rudere.
I manufatti castellani che sono tuttora in piedi, seppure ampiamente trasformati rispetto alla configurazione iniziale avendo perso i connotati di opere militari, sono quelli presenti nel contorno urbano dove sono diventati palazzi signorili (Monteroduni, Cercepiccola, ecc.). Il legame tra castelli e agglomerato abitativo è strettissimo poiché se c’è l’uno ci deve essere per forza l’altro. È quanto decisero i Normanni allorché conquistarono l’Italia meridionale e ciò fu seguito anche dai loro successori, gli Svevi ai quali ultimi si deve l’edificazione del bellissimo castello di Termoli, appunto «svevo».
Fu stabilito che ogni aggregato urbano avesse un feudatario, emanazione del potere regio, e che costui risiedesse in un castello. L’incastellamento è il fenomeno che diede una nuova immagine al territorio ed esso costituisce l’imprinting decisivo dell’assetto insediativo che permane anche oggi. Se tutti i feudi dovevano avere un castello, nel medesimo tempo non era ammesso che vi fosse un presidio fortificato indipendente da un insieme abitativo potendosi consentire solo che da sola vi potesse essere una torre, vedi quella di Caselvatico a Cercemaggiore. Pure per questa e, in generale, per qualsiasi attività fortificatoria, va precisato, era necessaria un’autorizzazione da parte del Re.
I castelli dominano, sorti come sono sulla cima dei colli, il paesaggio e ne rappresentano addirittura in tanti ambiti della regione il carattere decisivo. Il paesaggio, di conseguenza, rimane connotato dai segni del potere i quali ricomprendono oltre ai manieri, i quali sono i manufatti più visibili, le costantemente turrite mura urbiche e le torri a sé stanti (anche se frequentemente ricomprese in sistemi, quali quello delle torri costiere e quello leggibile lungo il Biferno che include la magnifica Rocca di Oratino).
A rispondere alla domanda di protezione vi dovevano essere inoltre una serie di elementi minuti i quali sono costituzionalmente, per così dire, più labili che vanno dagli sbarramenti e dalle “motte” in terra (se ne individua una in agro di Vastogirardi, ma anche a Colletorto) alle barriere e torricelle in legno, materiale deperibile. È probabile vi fossero delle trincee scavate lungo linee strategiche, alla stregua, in piccolo, del Vallo di Adriano, qualcosa di maggior impegno realizzativo dei fossati che altrove, in zone pianeggianti e non perciò qui da noi, circondano rocche e murazioni urbane (le eccezioni sono i castelli di Campobasso, Ferrazzano e Pescolanciano con i loro ponti levatoi che servono a superarli).
Una specificità del Molise sono i castelli-recinto dell’alto Medioevo nei quali era possibile rifugiarsi nei momenti di pericolo, una specie di ridotto fortificato con una funzione analoga a quella delle cinte sannite le quali anch’esse non erano abitate in modo stabile. Quest’ultima segnalazione è per far osservare quanto variegate fossero, le strutture e, con esse, le concezioni difensive le quali si differenziavano pure a livello nazionale.
Rientrano all’interno di tale ampio mondo anche le costruzioni destinate a salvaguardare le persone con le derrate agricole, disposte in campagna; per limitarci alla piana di Boiano e ad alcuni esemplari si citano la masseria a corte con torrione in località Pitti e il casino Tommasi, un fabbricato chiuso su tre lati, anch’esso turrito, a Centomani. Privo di torri, ma con pareti esterne prive di aperture, è il Verlasce a Venafro, anfiteatro romano trasformato in una serie di depositi delle produzioni della florida agricoltura di quella pianura che affacciano in uno spazio comune centrale, l’antica cavea.
È il tempo per smentire l’affermazione da cui si è partiti e cioè che ogni comune ha un proprio castello, mancando, infatti, opere di tale tipo nelle formazioni urbane di proprietà ecclesiastica, ad esempio S. Polo. In tali centri non erano assenti, però, le cinture murarie, vedi Fornelli e Scapoli che appartenevano al monastero di S. Vincenzo al Volturno a proposito del quale si rileva che, nonostante fosse un insediamento abitativo anch’esso (erano 800 i monaci trucidati dai Saraceni), non vi sono tracce visibili di mura perimetrali.
In ultimo vale la pena chiarire che le fortificazioni che si andavano appontando erano finalizzate tanto alla sicurezza della gente quanto al suo controllo da parte del signore il quale era il rappresentante governativo per cui è legittimo parlare per le opere fortificatorie e la loro incidenza sull’assetto territoriale di paesaggio del potere come si è fatto in precedenza. Si pensi alle porte cittadine le quali una volta serrate facevano diventare il borgo una sorta di prigione.
L’ambiguità del ruolo degli apparati di difesa se di protezione o di dominio si coglie pienamente ad Altilia dove data la linearità della rete viaria costituita, peraltro, da soli due grandi assi è permesso alla sentinella di guardia sulla torre che affianca la porta Boiano (è lo stesso dalle altre 3 porte) di controllare i movimenti tanto degli eventuali invasori quanto degli abitanti, sul modello del «panottico» applicato nel carcere i Campobasso. La popolazione, dunque, avverte una sudditanza psicologica dal castello.
Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
0 Comments