Il vuoto (anche di conoscenze) delle grotte

Sant’Angelo in Grotte – Molise

Le cavità sono dei luoghi affascinanti perché misteriosi. Esse sono state sentite come antri abitati da divinità o, al contrario, come posti pericolosi. Ogni interpretazione è legittima, anche quella, più banale, di cantina, deposito agricolo, rimessa.

Le grotte sono diverse, assai diverse, l’una dall’altra e perciò non si può ricondurre il termine grotta ad un concetto unico. Esse variano per significato attribuito loro dall’uomo, da quello spirituale a quello magico a quello di luogo pericoloso; cambiano le caratteristiche delle cavità in relazione alla massima profondità raggiunta, allo sviluppo, se orizzontale o verticale, alla vastità dell’ambiente ipogeo, quindi alla larghezza e all’elevazione dei vani, uno o più, che le compongono.

Non vi è, in definitiva, nessun modello cui far riferimento quando si parla di grotta. Tale variabilità, peraltro, è ciò che distingue qualsiasi elemento naturale, sia esso un monte, un fiume o un albero semplicemente. Quindi, lo si dice in modo scherzoso, non è possibile applicare per le abitazioni dei cavernicoli le definizioni della terminologia urbanistica di indice di abitabilità, di altezza, di quello volumetrico, ecc. così come una descrizione in chiave tipologica alla stessa maniera dei fabbricati.

In altri termini, a rendere intrinsecamente diverse le grotte, qualora utilizzate per risiedervi e gli edifici abitativi (vale lo stesso per destinazioni non residenziali) non è l’essere le prime sottoterra e i secondi in superficie, oppure l’assenza di aperture, ad esclusione dell’ingresso, aeroilluminanti che è compatibile con l’uso per locali di servizio, bensì l’indeterminatezza degli spazi.

Bisogna precisare che le grotte in discussione sono quelle con la base piatta, calpestabile con facilità, e il dislivello di esse con il piano di campagna sia ridotto al minimo o superabile agevolmente, ovvero con pedate ed alzate comode, con scale fisse, i gradini delle quali siano scavati o meno nella roccia. Le grotte, poi, hanno un’altra caratteristica saliente che è l’essere immutabili, cioè non ampliabili come avviene per una casa.

Possono modificare la loro destinazione nel tempo, mettiamo da nascondiglio a deposito oppure a location di presepe vivente, è il caso di Montenero di Bisaccia, e, però, le dimensioni restano sempre le stesse: siamo noi che ci adattiamo a loro e non il viceversa. Nell’epoca attuale sta venendo meno l’interesse verso le grotte delle quali tantissime, prima “sfruttate” quali ricoveri per le bestie, magazzini e financo per tane di banditi (nella Morgia dei Briganti) oggi sono, se si può dire non trattandosi di opere antropiche, abbandonate.

Le grotte, figurativamente, si sono sempre rese disponibili, è l’uomo che oggi le rifiuta. Le funzioni che hanno svolto in passato non sono state, comunque, dimenticate e in certe situazioni, si pensa a Macchiavalfortore, esse sono oggetto di riscoperta se non addirittura di celebrazione inserendole in itinerari turistici. Le grotte hanno un valore antropologico in quanto testimonianza dei modi di vita di civiltà precedenti alla nostra.

Negli anni della spinta alla modernizzazione del Paese, Matera per i suoi «sassi» venne definita la “vergogna d’Italia” in quanto le grotte erano assunte a emblema della povertà. Esse possono avere talvolta un valore scientifico che è attribuibile alla cavità presente nel Bosco di Corundoli a Montecilfone dove vi è una colonia di chirotteri, specie animale che sta ormai diventando rara dalle nostre parti; i pipistrelli sono esseri misteriosi che si muovono con le tenebre, fatto che aggiunge loro fascino il quale condividono con l’antro che li ospita (la “bat-caverna”).

Le grotte, infine, ispirano sentimenti religiosi. Dobbiamo, nell’affrontare questo tema, partire da una considerazione basilare che è quella che il Molise, anche in questo campo, si conferma come una «terra di mezzo», una zona di transizione tra la cultura del Sud e quella del Centro Italia. Lo si riscontra in diverse parole dialettali, in alcune tradizioni popolari, in oggetti di artigianato e, come stiamo per vedere, nel rapporto con le cavità le quali erano sentite dagli antichi romani quali sedi delle divinità ctonie e anche nell’era cristiana continuano ad emanare una intensa carica di spiritualità.

Nella nostra regione convivono ambedue i modi di rapportarsi con le grotte, quello che si è affermato al Meridione e quello che è radicato in areali dell’Italia centrale, in specifico in Abruzzo; il primo è quello che fa delle grotte dei luoghi di culto, le cosiddette chiese rupestri, aggiungendo, per quanto riguarda la comparazione in corso, che tali grotte possono essere situate pure a quote collinari.

Gli esempi che si portano sono quello della chiesa di S. Michele a S. Angelo in Grotte e quello della cappella, attualmente sconsacrata, che si trova ai margini del centro storico di Busso; sono comuni, questi, per quel che qui interessa, entrambi collocati in collina. Queste due strutture, sostantivo improprio, in vero, per Busso, ecclesiastiche sono l’una parzialmente ricavata nella roccia, S. Angelo in Grotte, e l’altra per intero collocata all’interno dell’antro; a S. Angelo, in definitiva, per metà è costruita e per metà sfrutta la cavità naturale al contrario di Busso dove di artificiale c’è solo il portale d’ingresso, neanche una facciata completa come si riscontra nel materano in cui vi sono le testimonianze più celebri delle chiese rupestri.

L’esemplificazione che si offre della opposta tendenza riscontrabile nell’area abruzzese, in particolare sulla Maiella, è quella dell’eremo di S. Michele a Foce nel territorio comunale di Castel San Vincenzo che è in altitudine, sui fianchi del massiccio montuoso delle Mainarde; qui il grande antro ospita l’eremita insieme alle sue pecore e al suo interno vi è pure una chiesetta, la quale, comunque, ha una propria autonoma copertura.

È da sottolineare che i romitori costantemente sono affiancati da cappelle, succede pure sul Matese a S. Egidio di Bojano. Osservazione inevitabile è che il romita è un monaco isolato, mentre spostandosi nella parte meridionale della Penisola abbiamo comunità di monaci, ognuno abitante in una cavità distinta, ma siamo nel mondo bizantino.

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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