Trivento, borgo nel borgo

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Così si chiama la principale piazza della cittadina le cui caratteristiche spaziali la rendono idonea per attività commerciali, campo di azione privilegiato della borghesia. È borghese pure il fatto di essere alberata condizione che invita al passeggio. Ci soffermiamo su questa piazza e quella della Cattedrale.

Possiamo considerare l’inizio della Trivento tradizionale la piazza della Santa Croce perché ciò che la precede provenendo dal capoluogo regionale, cioè i Casalotti, è una propaggine novecentesca. Siamo in un settore urbano chiamato il Borgo senza nessun’altra specificazione, denominazione che è usualmente attribuita ai quartieri di formazione moderna, di epoca post-feudale. In qualche modo questa parte dell’abitato si contrappone anche figurativamente a quella sviluppatasi vicino al palazzo baronale, differenziandosi fra loro i due, diciamo, quartieri per andamento del suolo e per la compattezza dell’aggregato edilizio, oltre che per datazione storica.

Il Borgo, in origine, era, non è un gioco di parole, un sobborgo in cui si svolgevano le fiere e i mercati, attività tipiche del nuovo ceto borghese. La grande piazza che vediamo oggi non deve essere stata sempre così grande: probabilmente essa venne ampliata su un lato rialzando la quota del terreno laterale interessato fino a portarlo al livello della piazza preesistente (lo si ipotizza per la presenza di un frantoio ricavato al di sotto della piazza). Si affrontano lavori costosi pur di incrementare il terreno piano. Si tratta di una piazza alberata come si conviene ad un luogo destinato al passeggio il quale diventò il principale svago della borghesia; è una piazza con alberi aventi sesto d’impianto tale da permettere alle persone di individuare delle corsie regolari lungo le quali camminare.

Se vi è uno spazio simile, è da segnalare, mancano, però, i viali, una componente essenziale di un quartiere che vuole apparire borghese. Il Borgo, dal punto di vita geomorfologico, occupa una sella stretta tra il colle, così ancora si chiama, dove c’è il nucleo antico e quello del Calvario il quale venne livellato negli anni 60 per allargare l’area pianeggiante, tanto è importante il suolo piatto. Fu necessario un ponte sull’odierna via Marconi, la strada che aggirava quest’ultimo rilievo, per collegare p. S. Croce e quindi l’intera Trivento alla direttrice viaria per Campobasso, la statale Garibaldi in modo agevole.

Quando si afferma che è un fenomeno naturale quello dello slittamento verso valle degli abitati dovrebbe riconoscersi che è anche un fenomeno storico perché legato alla venuta meno delle esigenze difensive che portavano ad insediarsi sulle alture. La chiesa della S. Croce si pone sul lato corto della piazza, quasi a fondale della stessa. Una comparazione utile è con la Cattedrale, situata all’altro capo della cittadina che sta sul lato corto: tenendo conto che la facciata della Cattedrale è più ampia così come la superficie della piazza su cui affaccia è più piccola si riconosce che tale seconda piazza per la sua interezza può essere letta, per certi versi, un po’ come il sagrato dell’edificio di culto, mentre quello della S. Croce si restringe ad un ambito circoscritto, ad essa immediatamente prossimo.

Non è che le architetture religiose necessitino di prospettare esclusivamente su una piazza o un sagrato perché ve n’è pure qualcuna che si limita a fiancheggiare un percorso cittadino come avviene per la chiesa di S. Nicola; in verità qui circa 70 anni fa si è voluto realizzare antistante al fronte del fabbricato un minuscolo giardinetto nel quale è collocata una bella statua della Madonna. Siamo circa a metà della lunghissima scalinata omonima la quale è uno dei segni culturali maggiori di questo centro; tra i monumenti non vi sono solo gli edifici, civili e religiosi di pregio, ma vi possono essere pure le strade e questa sicuramente, che è monumentale, rientra tra i beni di interesse artistico.

Si può includere in tale categoria anche un altro tipo di “vuoto” (in contrapposizione al “pieno” che sono le strutture architettoniche) presente nella composizione urbanistica che è la piazza. La piazza di cui ora si parla è la piazza della Cattedrale, una sorta di platea communis sulla quale affacciano ben tre chiese, il Purgatorio che in realtà è un po’ discosta, la Trinità e, appunto, la Cattedrale che si fronteggiano, ma non al medesimo livello in quanto la Trinità è su un terrazzo raggiungibile mediante pochi gradini; un’unica piazza formata da più sagrati.

Inoltre c’è l’ingresso del Vescovado. Nelle scienze ecologiche i soggetti che compartecipano del medesimo spazio si definiscono commensali, quindi non concorrenti né subordinati l’uno all’altro. In altri termini la piazza simile ad una mensa bandita, un lotto libero a disposizione di ciascuno, alla quale siedono più invitati. Non va trascurata la presenza del campanile il quale, pensando alla sua vicinanza con la sede vescovile, può essere letto, anche per l’ imponenza dell’opera muraria, come una torre di difesa, a protezione del Vescovo che nelle epoche passate aveva un ruolo, insieme a quello spirituale, politico.

È una delle principali autorità, la seconda è quella militare rappresentata dal feudatario che abita nel castello il quale sorge poco più in là e poco più in alto. Il maniero medioevale in seguito si trasforma in residenza nobiliare perdendo i caratteri di fortificazione. Riprendendo la scalinata, questa volta in discesa, e seguendola per tutti i suoi 365 gradini si raggiunge, pressappoco, il convento di S. Antonio da Padova. È significativo che si sia installato ai margini del nostro insediamento un ordine monastico, quello dei Francescani, che quale regola da osservare è quella di vivere di elemosine perché ciò attesta il grado di prosperità di un centro abitato tale da poter garantire con le offerte dei suoi abitanti la sopravvivenza dei monaci mendicanti.

La chiesa conventuale è a 2 navate e tale articolazione non la si coglie dal di fuori in quanto la facciata coincide semplicemente con la navata principale. Infine spostandoci in campagna, avremmo incontrato tanto tempo fa una diversa tipologia di frati, o meglio di «fraticelli», appartenenti alla congregazione dei Celestiniani i quali erano restii ad accettare il controllo vescovile e il toponimo Maiella della località in cui vivono ricorda le montagne dove si ritirò in eremitaggio Celestino V. Il loro romitorio è presso la suggestiva chiesa di S. Anna.

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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