Un Parco per bancomat
di Antonietta Caccia*
A trent’anni compiuti dall’ampliamento del Parco nazionale d’Abruzzo al versante molisano delle Mainarde – il decreto di ampliamento porta la data del 10 gennaio 1990 – uno spettro torna ad aggirarsi nei cieli di Castel San Vincenzo, Filignano, Pizzone, Rocchetta al Volturno e Scapoli, i cinque comuni i cui territori entrarono a fare parte (parzialmente) della più vasta e antica area protetta italiana che oggi risponde al nome di Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise (PNALM). E’ lo spettro del referendum d’uscita, uno strumento già agitato da qualcuno anche nel passato ma di fatto mai utilizzato se non come minaccia, al tempo stesso come arma di distrazione di massa per le popolazioni interessate e come mezzo di pressione nei rapporti con l’ente di tutela.
Si apprende di questa rinverdita ipotesi di soluzione in stile democrazia diretta a problemi un po’ più complessi di come li si vuole presentare, da un comunicato del consigliere regionale Antonio Tedeschi (chi scrive ne ha letto su IS news e su Primo Piano Molise) in cui il ricorso alla minaccia referendaria per l’uscita dei comuni molisani dal PNALM sarebbe la risposta ad una asserita “totale chiusura” da parte del Presidente del Parco nei confronti di “un’idea progettuale che restituisca dignità al versante molisano”.
Dignità a parte – che non mi pare una gran rivendicazione, per di più tardiva (ammesso che di lesione della dignità si tratti viene spontaneo chiedersi dove sono stati i Comuni negli ultimi 30 anni) oltre che fatta all’indirizzo sbagliato – in cosa consista questa idea progettuale dal comunicato non è dato saperlo. Né è dato sapere in che termini, con quali motivazioni, il presidente del parco, dott. Giovanni Cannata, ha manifestato la sua “totale chiusura” visto che nel comunicato si parla in modo generico di risposta “deludente”, addirittura di “scorrettezza istituzionale” “che il consigliere non si sarebbe mai aspettato”, ma nel merito sia della proposta che del suo rifiuto non si dice nulla.
In realtà, mettendo insieme qualche accenno fatto nel comunicato, il testo di un “Protocollo di Intesa per la sottoscrizione del Contratto di Parco Nazionale Abruzzo Lazio e Molise” approvato qualche mese fa da dai comuni interessati (pare non proprio tutti), le notizie riportate in merito dalla stampa locale (Molise.Tabloid del 22 gennaio 2020) e qualche indiscrezione raccolta qua e là, qualcosa si riesce a cogliere.
Si coglie, in buona sostanza, che i cinque comuni sopra menzionati, sotto la regia del consigliere Tedeschi, hanno concordato, tra di loro, di recuperare e valorizzare le strutture museali e le aree faunistiche presenti sul territorio, di formulare un’offerta turistica integrata e di realizzare azioni di marketing territoriale, prevedendo di reperire la dotazione finanziaria occorrente, stimata in E.500.000,00 per ogni annualità, nel bilancio dell’Ente Parco. Senza verificare preventivamente, o almeno così parrebbe, la fattibilità dell’operazione a spese di un soggetto terzo chiamato a svolgere una funzione di bancomat e, pare, tenuto estraneo all’elaborazione del progetto “nato dal confronto costante” e condiviso con entusiasmo – ça va sans dire – dai cinque sindaci dei comuni molisani facenti parte dell’area del Parco”.
Dalla risposta del Parco che, a naso e pur senza conoscerne i dettagli, non appare del tutto peregrina, mi pare di capire che siamo all’inizio di una nuova pantomima il cui risultato rischia di essere solo quello di rinviare ancora una volta sine die il tanto invocato rilancio dell’area molisana del PNALM e, soprattutto, di far perdere sempre di più ai cittadini dei comuni interessati e alla stessa comunità molisana più in generale la fiducia nella capacità delle istituzioni che le rappresentano di saper trovare delle strade realmente percorribili per tentare di contrastare lo spopolamento e l’inerzia che stanno desertificando, in termini di persone e di volontà di coloro che restano, i nostri piccoli borghi. A dispetto delle retoriche non più tollerabili sul se esistiamo o non esistiamo, sul come sono belli i nostri villaggi e come sono buoni i nostri caciocavalli.
Nel frattempo, i musei istituiti e gestiti da associazioni culturali anche sull’onda delle nuove opportunità che sembrarono aprirsi con l’entrata nel Parco (associazioni che non mi pare siano state in qualche modo coinvolte nell’elaborazione del progetto) nel loro complesso sono gli unici a continuare ad essere tenuti aperti a beneficio di visitatori che sempre più sparuti frequentano ormai queste contrade. Quelli a gestione pubblica, nati senza evidentemente preoccuparsi di come sarebbero stati poi gestiti (o rinnegando modalità che si erano preliminarmente individuate) sono invece chiusi o aprono su chiamata. Il tutto in attesa di salvifici interventi di un papa che deve sempre arrivare. Come dire, campa cavallo! Ne riparleremo in una prossima puntata.
*presidente dell’associazione culturale “Circolo della Zampogna di Scapoli, organismo attivo sul territorio dalla fine del 1990, dal 2012 accreditato presso il Comitato Intergovernativo della Convenzione UNESCO sulla Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale.
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