Sua altezza (in senso proprio) il Matese
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Dal di fuori appare come un blocco imponente, una sorta di enorme monolite, mentre dal di dentro la vista ci rivela una pluralità di situazioni ambientali. Tra queste vi sono i pianori che, messi insieme, formano un esteso altopiano il quale è, forse, il paesaggio più apprezzato.
Il Matese visto dal basso non li dà a vedere, nascondendoli, forse per custodirli, all’interno della montagna, in verità, fin quando negli anni 60 del secolo scorso non nacque la stazione sciistica di Campitello la cui frequentazione ci ha portati a scoprirli. Stiamo parlando, lo si sarà capito, dei pianori, il più bello dei quali è indubbiamente quello ai cui margini sorge il centro di sport invernali. Dalla vallata dell’alto Biferno il paesaggio matesino appare tutto verticale ed è impossibile da qui rendersi conto che questo rilievo montuoso ha anche una dimensione orizzontale, altrettanto estesa di quella che si sviluppa in senso assai inclinato.
La fascia altitudinale compresa tra i 1200 e i 1500 metri di quota è quella in cui si trovano le superfici pianeggianti (o quasi come le Pianelle che è, tra l’altro, quella posta al limite inferiore di tale fascia). Abbiamo spazi piani ristretti e sono le doline, una è alle spalle del complesso residenziale Kandhar che sta, si intende, a Campitello. Piccola pure è Selva Piana all’ingresso della località turistica montana. L’altopiano vero e proprio è formato dalle conche di Campitello, di Capodacqua e di Campo dell’Orso, le prime due ai piedi di monte Miletto, l’altro della Gallinola.
Si tratta di piane tutte sui 1400 metri s.l.m. in qualche modo continue, separate da modeste alture le quali non impediscono di sentirle come fossero in sequenza. Vi sono poi, intorno ai circa 1300 metri d’altezza, pianure isolate, separate dal resto, prendi i Prati di Civita. I pianori adiacenti tra loro sono messi a formare una catena che segue l’andamento prevalente del massiccio montuoso il quale viene rispettato, lo si evidenzia per inciso, anche dalla sottostante piana di Boiano che è parallela anch’essa all’asse principale del monte (su per giù nord-sud e, d’altronde non potrebbe essere altrimenti perché porzione dell’Appennino che, appunto, va da settentrione a meridione).
I pianori sono depressioni carsiche, qualcosa di simile a sprofondamenti del suolo, e ciò fa sì, presentandosi concavi, che in primavera la neve depositata diventa acqua la quale vi ristagna fin quando non viene assorbita dagli inghiottitoi. Il caso limite, sull’altro versante, è quello del Lago del Matese.
Il carsismo il quale connota questa montagna carbonatica impedisce che vi sia una idrografia superficiale, salvo in pochi luoghi tra i quali Capodacqua, una cosiddetta falda sospesa: il rivo che scaturisce da questa sorgente il quale allagava il pianoro di Campitello in seguito è stato canalizzato prosciugando così tale piana che ora si impaluda unicamente a causa degli agenti atmosferici, con l’acqua che non trova, trattandosi di un bacino chiuso, uno sbocco verso valle, aperto un pochino in direzione del vallone S. Nicola. L’unica vera via di uscita sono gli inghiottitoi.
Questo che si è delineato è il contesto ambientale nel quale si svolge la pastorizia, una delle principali attività economiche in passato del Matese. Ciascuno dei Comuni posti nel fondovalle, con l’eccezione di Cantalupo che non confina con il nostro massiccio in quanto c’è in mezzo Roccamandolfi, possiedono boschi e pascoli essendo il loro perimetro stretto e lungo tanto da raggiungere la sommità della montagna.
È un disegno questo degli ambiti comunali funzionale a sfruttare le risorse delle aree montane, ad esclusione di quei tratti terminali del rilievo che hanno caratteri decisamente alpestri cioè quelli appena sotto la cima più elevata dove vi sono impresse chiare impronte glaciali, dall’”anfiteatro” ai Circhi dell’Aquilana, testimonianze delle ultime glaciazioni avvenute ben 120.000 anni addietro. Dunque, vi è sempre stato un legame strettissimo tra, per così dire, il sopra e il sotto che ai giorni nostri sembra stia deteriorandosi. L’economia locale è tradizionalmente basata sull’integrazione tra ciò che offrono le zone situate in altitudine e quelle pedemontane.
In questo comprensorio piuttosto che la pratica della transumanza (unicamente i pastori di Roccamandolfi la effettuavano) vi è stata, e continua ad esserci seppure in tono minore, quella della monticazione. Nei tempi attuali fra le 3 possibili tipologie di allevamento, quindi la transumanza, l’alpeggio (ambedue prevedono lo spostamento delle bestie) e la stabulazione fissa sicuramente prevale quest’ultima. Gli animali rimangono nella stalla tutto l’anno poiché per l’approvvigionamento dell’erba si fa ricorso alle colture intensive di foraggio.
I capi sia ovini sia vaccini che pascolano in quota d’estate sono progressivamente di meno e così, in modo figurato, la montagna si allontana dalla pianura rimanendo per tanti un semplice fondale dello spazio esistenziale. La pabulazione eccessiva come avveniva prima non va bene, ma non va neanche bene che non si valorizzi a pieno il patrimonio pascolivo, il quale è sul massiccio matesino notevolissimo. Certo, non c’è pericolo che al momento che viene abbandonato un prato si inselvatichi, al massimo vi possono attecchire specie erbacee che il bestiame non apprezza (il toponimo Campo delle Ortiche è rivelatore).
Ovunque sono in regresso i terreni pascolivi, mentre le praterie di alta quota non mostrano segni di contrazione seppure non più da tempo utilizzate. Nel vocabolario dell’ecologia queste si chiamano praterie primarie le quali seguono in una scala ascensionale le formazioni forestali. Esse coincidono con gli altopiani che si è descritto in precedenza sui quali, dunque, si appoggia la pastorizia. Sono le praterie primarie degli autentici ecosistemi il connotato peculiare dei quali è la stabilità ossia la capacità di perpetuarsi, valore fondamentale dell’ambiente la cui integrità è minacciata dalla degradazione delle strutture ecologiche che non sanno più rigenerarsi.
Gli altopiani, in definitiva, sono estremamente significativi sia dal punto di vista paesaggistico sia naturalistico sia turistico attraendo visitatori in vacanza a Campitello dopo che è avvenuto lo sfalcio dell’erba (lo si fa solo qui) e il pianoro si apre al pascolo, la vista delle mucche sul prato che sa tanto di paesaggio alpino e che invita alla degustazione degli apprezzati latticini, innanzitutto il caciocavallo.
Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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