Invasato, fiume sbarrato dalla diga
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Si tratta del Biferno le cui acque formano l’invaso del Liscione. Veramente, invasato sarebbe un fiume che ha perso il senno e dà in escandescenze, immagine efficace per descrivere una piena fluviale la quale portò nel 2003 a far fuoriuscire parte della massa idrica del bacino dallo sbarramento.
I fiumi, o meglio le loro vallate, favoriscono le comunicazioni, non perché navigabili e qui non lo sono, bensì in quanto permettono la penetrazione in territori con morfologie complicate, altrimenti non superabili, se non con percorsi tortuosi. È il caso del medio Molise dove non vi sono spazi pianeggianti ad eccezione del fondovalle formato dal Biferno.
In questo senso il corso d’acqua gioca un ruolo decisivo, al quale, però, se ne accompagna anche uno negativo che è quello di separare le aree che stanno ai suoi opposti lati. Quando poi il corpo idrico da fiume diventa lago le cose, è evidente, peggiorano, accrescendosi la distanza fra le sponde. I ponti non bastano più, quello di Ponte Liscione addirittura viene interrotto il suo sedime venendo assorbito dal manufatto della diga per cui non c’è più continuità nel collegamento tra Acquaviva C. e Larino.
Al posto del ponte per scavalcare la distesa acquea dell’invaso occorrono allora i viadotti; in effetti quello che c’è, ed è l’unico, posto sulla direttrice Guardialfiera – Casacalenda forse non sarebbe stato necessario poiché si trova all’inizio del bacino lacustre dove il livello dell’acqua è basso, tanto che conserva la sua funzionalità il ponte preesistente.
Il ponte della Reginella, non si può fare a meno di citarlo, era da tempo ridotto a rudere. Il viadotto, per l’altezza dei suoi piloni, costituisce un’immagine prepotente che comprende pure i bracci con i quali si innesta nella superstrada; e sì, i ponti erano destinati esclusivamente all’attraversamento dell’asta fluviale, mentre questi che sono degli svincoli sono impiegati oltre che per superare il corso d’acqua per allacciare la viabilità minore alla fondovalle.
Su viadotto, in verità 2 e molto lunghi, è anche la Bifernina nel tratto coincidente con l’invaso: all’epoca della loro costruzione, ma in effetti ancora oggi, dovettero apparire ai molisani opere estremamente ardite e meravigliose. Erano, un po’, il simbolo della modernizzazione che stava interessando anche la nostra regione. Questa arteria, proprio per i suoi viadotti, attualmente è sotto esame e si riaffacciano ipotesi alternative di tracciato che propongono di farla correre appoggiata a qualcuno dei versanti collinari che delimitano il lago.
Una conseguenza ipotizzabile di tale spostamento sarebbe potuta essere quella della costruzione ai suoi fianchi di strutture ristorative e ricettive come è avvenuto in altri pezzi del suo percorso. Qui più che altrove per la piacevolezza della sosta in prossimità dello specchio lacustre ed è plausibile pensare che sarebbero potuti sorgere, serviti dall’infrastruttura viaria, residence turistici con “vista lago”. Nonostante la bellezza di questa realtà lacuale è poco comprensibile il fatto che non vi siano case-vacanza, se non ville come nei maggiori laghi d’Italia, per godere di tale visione, della luminosità dell’aria per via della luce solare che si rispecchia sulla superficie acquea.
Non c’è un posto, salvo Occhito, nel Molise, in cui vi sia un fenomeno simile che rende i luoghi, per certi versi, fantastici. Una breve digressione per prefigurare un futuro che per lo stato delle finanze pubbliche non si realizzerà presto o, forse, mai in quanto la direttrice lineare che segue ora la Bifernina permette un risparmio di tempo. È da aggiungere rimanendo nel tema del richiamo turistico del lago che neanche a Guardialfiera o in qualche punto, una curva, delle strade che raggiungono Larino oppure Casacalenda, alla stregua dei point of view americani, si è pensato di predisporre dei belvedere quali attrezzature turistiche per apprezzare il panorama (dall’interno dell’abitato di Guardialfiera, comunque, se ne colgono degli scorci).
In altri termini si constata che finora non è attecchito il turismo lacustre. Vediamo adesso il manufatto fondamentale, quello che ha dato origine negli anni 70 del secolo scorso al nuovo assetto dell’area, un tempo una valle fluviale ordinaria, solo più grande delle altre perché ospitava il passaggio del maggiore corso d’acqua della regione. Stiamo parlando dello sbarramento che ha provocato l’invasamento del Biferno. Nonostante che abbia un ruolo decisivo la diga non è un’opera particolarmente appariscente. Infatti, l’essere una diga in terra, rivestita con un manto erboso la mimetizza quasi nel paesaggio al quale si assimila meglio di una costruita in cemento armato.
In calcestruzzo cementizio che ingloba l’armatura in ferro la quale ne costituisce l’anima, come si conviene alle strutture in c.a. è, invece, la torre piezometrica dalla forma assai particolare che emerge dal pelo della massa idrica invasata; e il punto in cui si trova è quello nel quale la colonna d’acqua è più alta e ciò si deve al fatto che qui il preesistente alveo del fiume ormai subacqueo, abbassandosi esso, ovviamente, man mano che procedeva verso la foce, era a quota meno elevata. Attraverso le manovre degli organi di scarico, anch’essi di notevole visibilità, si fa defluire l’acqua dal fondo del bacino, azionando lo sfioratore collocato nella sezione superiore del canale laterale al corpo della diga, unicamente in occasione delle piene.
Garantire lo scorrimento delle acque nel fiume che riprende a camminare ai piedi dello sbarramento è essenziale per assicurare il Minimo Deflusso Vitale che equivale a dire la vita acquatica; a fasi alterne vengono previsti per questo segmento finale del Biferno una vasca di laminazione da posizionarsi all’uscita dell’opera di svasamento dei quantitativi d’acqua in eccesso per limitare ulteriormente gli effetti dell’ondata di piena e la canalizzazione del fiume, adesso pluricorsuale che verrebbe costretto in un unico alveo delimitata da grossi argini.
Dai molteplici bracci fluviali, caratteristici di alcuni corpi idrici di pianura, si passerebbe ad un unico, annullando le differenze morfologiche tra i settori del fiume a monte quando si inserisce nella fascia, collinare e a valle della diga, giunto ormai nella piana del basso Molise, la quale diga fa da ripartizione tra questi due diversi ambienti. Ulteriori interventi antropici pensati per l’area sottostante lo sbarramento, accanto all’impianto di potabilizzazione, sono una centrale idroelettrica che sfrutti il salto che fanno le acque scaricate dall’invaso e la stazione di pompaggio per il travaso delle acque dal Liscione ad Occhito, una sorta di interconnessione.
Francesco Manfredi Selvaggi633 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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