A monte Miletto, sul tetto del Molise
di Francesco Manfredi-Selvaggi
È la cima più alta della nostra regione che oggi misura m. 2050 e che nel 1824 misurava m. 2056. Non è che si sia abbassata, ma è solo una questione di criteri di misurazione adottati (occorre precisarlo, non è un problema di accuratezza).
Monte Miletto è il tetto del Molise perché ricade qui, precisamente nel comune di Roccamandolfi (il territorio comunale di S. Massimo si ferma un po’ prima). Di lì, cioè dalla cima, a poco si entra in Campania, realtà regionale separata dalla nostra proprio dal Matese che fa da spartiacque: dunque il Miletto, in qualche modo, è condiviso sentimentalmente, dalle due regioni confinanti. Anche per quella campana il cui perimetro, si è detto, la sfiora tale montagna rappresenta la sommità più alta, il traguardo visivo da diversi angoli di tale terra.
Il m. Miletto è la maggiore vetta del pezzo dell’Italia peninsulare che va da Dolcedorme nel massiccio del Pollino ai monti della Meta nel gruppo delle Mainarde, dunque in un lungo tratto dell’Appennino, posizionato in una fascia intermedia dello stesso a cavallo tra la catena appenninica centrale e quella meridionale. È il rilievo montuoso tra quelli citati il più vicino a Napoli. Detto tutto ciò è difficile capire perché non sia diventato una bandiera per i molisani, un simbolo, tanto che non ci sono cartoline in cui la cima sia stata fotografata.
Non esistono neanche dépliant pubblicitari con foto, viceversa, delle vedute che si hanno da qua sù del Tirreno perché sembra di dominare dall’alto le acque del Mediterraneo; del resto sul Matese ponendosi sul crinale sommitale e spostandosi minimamente, quasi con il medesimo sguardo si abbracciano le due opposte distese marine, cioè pure l’Adriatico. Ciò è ancora di più affascinante se si pensa che in lontane ere geologiche, quando il pianeta era una sfera prevalentemente acquosa, il Miletto doveva essere una specie di isolotto che spuntava dall’oceano.
Il rapporto con l’acqua è tuttora forte ed è ben emblematizzato nell’immagine riflessa dei monti sulla superficie del Lago del Matese, il quale viene da essi usato alla stregua di uno specchio. Niente di tutto questo si ritrova nella propaganda turistica. Una scusante è che per vedere il golfo di Napoli è necessario essere in vetta all’alba di una giornata con l’aria tersa, altrimenti ci si accontenta, cosa, comunque, non da poco, di ammirare dalla cima di m. Miletto il quale sta giusto nel mezzo l’insieme del complesso montano matesino che egli sovrasta, sempre che non ci sia nebbia.
Ad accrescere l’interesse per la groppa terminale del Matese vi sono anche le leggende che sono nate intorno ad esse, quale quella, ispirata dal profilo della cresta che assomiglierebbe ad una persona supina, del gigante addormentato del quale si teme il risveglio; in passato le zone in altitudine erano poco frequentate per cui erano misteriose, tanto da suscitare racconti fiabeschi. È un mondo, quello delle quote più alte che non è terrestre e neppure ultraterreno, popolato da esseri sovrannaturali (si pensi alla ninfa di S. Egidio).
Il suo nome, monte Miletto, etimologicamente significherebbe monte dei militi, per qualche battaglia qui combattuta, magari dai Sanniti contro i Romani: è, invece, semplice parto della fantasia popolare (si segnala, ma non vi sono analogie di significato con il toponimo matesino, che vi è un paese nell’avellinese che si chiama Montemiletto). Non è stato sempre così, in passato vi era un assoluta riverenza verso il Miletto. L’“impresa” di Beniamino Caso, personaggio illustre a quel tempo, alla fine del XIX secolo, di Piedimonte d’Alife, testimonia quanto fosse, almeno nella classe borghese, forte il mito di questo monte.
L’ascensione al culmine di tale rilievo montano in periodo invernale era legata al gusto che si andava affermando della difficoltà e del rischio: di certo non si trattava di una scalata alpinistica quella da compiere per salire fin lassù e, però, la neve specie ghiacciata, rende il terreno scivoloso e il cammino, di conseguenza, faticoso. Quindi, se è vero che pastori e cacciatori vanno ovunque, ma non nella stagione invernale, effettuare la salita nel mese di gennaio fu un autentico primato; tra le motivazioni dei partecipanti a questa “avventura” vi doveva essere pure, la curiosità naturalistica come si rileva dalla presenza nel gruppo del professore di botanica Terracciano, la quale, vedi lo statuto del Club Alpino Italiano una cui sezione era stata fondata anche a Campobasso poco prima, informa le attività di tale associazione.
Sulla vetta, qualche anno dopo, venne eretta una croce in ferro, in seguito rinforzata con tiranti di acciaio per permetterle di resistere al vento, che significò una sua sacralizzazione. Un ulteriore crocifisso metallico è stato, successivamente, piantato su cima, appunto, Croce, scelta perché più visibile dell’altra dal basso, una duplicazione, dunque, indispensabile. Le sommità vengono consacrate in quanto più vicine a Dio per cui valeva la pena lo sforzo per trasportare le travi fatte di materiale così pesante, operazione che oggi è molto meno gravosa essendoci l’elicottero.
Le due cime stanno su un unico crinale e per questa ragione cima Croce è considerata una “non vetta” nell’elenco dei “quota 2000” dell’Appennino (sono complessivamente 261) che vengono collezionate da coloro che intendono, conteggiando le cime raggiunte, partecipare a questa particolare classifica (il calcolo di quanti 2.000 si è toccati) la quale fa il paio con quella dei 4.000 alpini. Attualmente sono tantissimi a poter dire di essere stati sul colmo di m. Miletto perché c’è la seggiovia che smonta un centinaio di metri (di altezza) al di sotto, utilizzata dagli sciatori e, in estate, dagli amanti del paesaggio.
La desacralizzazione del vertice del monte, in effetti, era già compiuta per via dell’installazione di ripetitori, costituendo esso un luogo ideale a tale scopo poiché privo di ostacoli alla trasmissione delle onde radiotelevisive. I turisti che vengono portati su dall’impianto a fune, va, inoltre, considerato, e che proseguono a piedi fino alla vetta non lo fanno tanto per l’orgoglio di poter raccontare di essere stati sulla montagna più elevata dell’Appennino molisano-campano e sentirsi per un giorno alpinisti quanto piuttosto perché essa è a portata di mano, conquistabile senza fatica da adulti, meno adulti e bambini.
Non c’è stata da parte dei frequentatori della sommità del Miletto, il più delle volte, una scelta tra tale montagna e quelle vicine, mettiamo la Gallinola, altrettanto bella e che tocca quasi i duemila: a determinare la decisione di raggiungere la cima di monte Miletto, anche se, lo si ammette, è la più prestigiosa e non un’altra, è l’opportunità rappresentata dal trasporto funiviario che riduce l’impegno fisico e la circostanza, non secondaria, di poter sfruttare quale campo-base Campitello.
Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
1 Comment
Alberto Coppi
29 Agosto 2020 at 23:47Il monte Miletto non è la cima più alta del Molise. La parte più elevata del molise si trova sul monte Meta, montagna condivisa con Lazio e Abruzzo. Forse per questo non è diventata simbolo del Molise.