Tutelare l’ambiente per tutelare l’archeologia

di Francesco Manfredi-Selvaggi

I beni archeologici soffrono dei problemi ambientali: nel piano, le città romane, le inondazioni, nei pendii, i santuari italici, delle frane, in montagna, dove ci sono i boschi, gli incendi minacciano le fortificazioni sannite. Ci sono poi i cambiamenti climatici che, forse, in un remoto passato possono aver provocato il subbissamento della favolosa Buca.

Il patrimonio archeologico molisano e l’ambiente, un rapporto difficile, sia che si tratti di quello sannita sia di quello romano. Quella di Roma, partiamo da questa, è una civiltà di pianura e alcuni centri di tale epoca sorti in aree pianeggianti, una volta terminata l’età imperiale, hanno subito una fase di decadenza, Saepiunum addirittura scompare, a causa delle divagazioni dei corsi d’acqua, si sa che l’alluvionamento è tipico delle piane, non più regimentati.

Se ciò è stata la causa della morte, nel senso di città morte, prive di abitanti, di questi centri esso ha però, in qualche modo, pure permesso la conservazione delle antiche strutture. Nel secondo dopoguerra il Soprintendente Cianfarani fu impegnato in una grande opera di sterro del foro e della basilica di Altilia, mentre è di appena 20 anni fa la messa in luce del decumano di Bojano prossimo all’alveo del Calderari sepolto da una spessa coltre di depositi alluvionali; a Venafro il rio S. Bartolomeo non è stato capace, in quanto opera troppo consistente in elevazione, a nascondere con i detriti da esso trasportati il Verlasce, l’anfiteatro costruito probabilmente durante il regno di Augusto, il quale si è preservato adattandosi ad ospitare un insieme di magazzini agricoli.

Facciamo ora un passo indietro e andiamo nel Sannio pre-romano dove si prediligono le alture nelle scelte insediative in cui il problema, com’è noto, non sono le inondazioni, bensì i fenomeni franosi. In verità, gli scoscendimenti interessano i versanti e non la sommità dei rilievi e dunque i santuari e non i recinti fortificati, le due tipologie di interventi costruttivi caratteristici di questa popolazione italica (dell’altra, che poi è quello che oggi chiameremo il quartiere residenziale, i vici, non sono rimaste tracce in quanto le case dovevano essere fatte di materie povere, alla stregua delle capanne).

Nel complesso teatro-templio di località Calcatello a Pietrabbondante gli archeologi hanno accertato la presenza di movimenti del suolo che nell’antichità dovettero portare all’esecuzione di muri di rinforzo. A Schiavi d’Abruzzo si dovette staccare parte del costone che sovrasta l’area templare che così fu seppellita. Le cinte difensive, invece, poste come sono sulla cima delle emergenze montuose, stanno in luoghi stabili, prendi quella su monte Saraceno a Cercemaggiore oppure quella sulla montagna di Gildone; il pericolo, trattandosi di zone montane, sarebbe potuto essere quello dell’incendio dei boschi circostanti, non, va precisato, nell’ambito interno alla murazione la quale doveva essere libera per ospitare la popolazione che qui si rifugiava nei momenti di pericolo.

Va fatta, a questo proposito, un’ulteriore precisazione rilevando la numerosità di questi presidi murati nel nostro territorio rivelatrice della bellicosità di questi antenati impegnati in continue guerre, ben tre contro Roma. Dal punto di vista della conservazione il fuoco preoccupa poco poiché non ci sono rivestimenti musivi, statue, decorazioni che rischiano di essere compromesse dalle fiamme, ma solo grandi blocchi lapidei accostati a secco, cioè senza calce la quale è sensibile al calore.

In verità, vi è un’eccezione rappresentata da Montevairano il cui perimetro murario assai lungo lascia intendere che esso è nato non per raccogliervi dentro saltuariamente le persone minacciate da forze ostili, quanto piuttosto per proteggere un autentico insediamento urbano come confermano le tracce emerse in diverse campagne di scavo; la sua datazione che è il IV secolo a.C. è successiva a quella dell’incontro, con la conquista di Capua, con la Magnagrecia dalla quale si è appresa l’idea di polis, antitetica al sistema vicano che aveva informato fino ad allora l’organizzazione territoriale dei sanniti.

Non vanno omessi fra le cause che hanno determinato la scomparsa di tante testimonianze di questa popolazione (insieme agli accadimenti militari che hanno visto trionfare i romani ed appunto, ben 25 furono i “trionfi” che vennero esibiti da Silla nel foro della capitale della potenza nemica) gli eventi tellurici, frequenti in questa terra altamente sismica. Il terremoto rappresenta una minaccia per l’integrità di quello che resta, dalle colonne della basilica di Altilia ai brandelli di muratura autentici “mozziconi” alti diversi metri dell’anfiteatro di Larino, elementi verticali rimasti, poiché senza collegamenti con altre strutture, isolati, particolarmente, perciò, vulnerabili alle oscillazioni del terremoto.

Vi è, infine, un fattore ambientale, tornato ai primi posti oggi dell’attenzione della collettività, che è quello dei cambiamenti climatici il quale è capace di incidere, significativamente, pure sul patrimonio culturale. Esso può aver giocato un ruolo nella scomparsa dei probabili nuclei abitativi che Roma doveva aver fondato sulla costa, che essendo una fascia pianeggiante era un ambito da essa prediletto, lo si è detto all’inizio, per la costruzione di proprie colonie in cui, magari, trasferire, per controllarle, le tribù frentane.

Il mito di Buca, un municipio romano ricoperto dalle acque dell’Adriatico ha pertanto qualche credibilità: il livello del mare, a seguito del riscaldamento del clima al termine di una delle fasi di glaciazione del pianeta, l’ultima delle quali è la “piccola glaciazione” del XV-XVI secolo, è possibile si sia innalzato sommergendo un tratto della linea costiera. Nel discutere sulla preservazione dei beni archeologici bisogna pensare poi che esiste una sostanziale differenza tra gli stessi: vi sono oggetti naturalmente deperibili, ad esempio quelli in legno, destinati alla vita quotidiana e gli attrezzi da lavoro, e manufatti, anche edilizi, creati per i posteri, quali i monumenti celebrativi, i templi, ecc…

I messaggi che si voleva fossero tramandati alle generazioni future, o testi di tipo votivo, erano affidati a materiali perenni come il bronzo, la Tavola Osca, o alle epigrafi trascritte e interpretate per primo, nella seconda metà del XIX secolo dal Mommsen, quando si avviano gli scavi di principali siti archeologici che congiuntamente alle poche pagine di autori latini tra cui Livio, per la volatilità insita nel supporto per la scrittura utilizzato, la pelle di pecora con cui sono fatte le pergamene, giunte a noi ci hanno permesso di conoscere il popolo sannita. Di qui una storia consegnataci dalla classe dominante e anche il contenuto, quasi obbligato, delle collezioni museali, il Sannitico a Campobasso e specialmente l’antiquarium del capoluogo pentro, composto da reperti di pregio o opere artistiche e non da documentazioni sulle famiglie e sul lavoro come avverrà in seguito (non perché umile).

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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