Necessario affrontare presente e passato, altrimenti anche in Molise non “andrà tutto bene”
Nell’ambito del dibattito su “Il Molise dopo il coronavirus” riceviamo e volentieri pubblichiamo il contributo di Paolo De Socio, Segretario generale della CGIL del Molise
Nel pieno dell’emergenza COVID – 19, partecipo volentieri all’interessante dibattito che si è aperto in una delle fucine intellettuali più attive e vivaci che si è consolidata, negli anni, all’interno della nostra regione: quella de “Il Bene Comune” e, per non far torto a nessuna delle autorevoli personalità che hanno proposto interventi precedenti, ringrazio per le diverse sollecitazioni Antonio Ruggieri con il quale, da qualche anno, abbiamo iniziato una feconda collaborazione e un confronto dialettico che non ci porta sempre alle stesse conclusioni. Questa si chiama democrazia e a noi piace esercitarla anche così.
Mi piace pensare, in questa sede, che con lui e con altri amici e compagni di questo particolare viaggio, si possa sicuramente continuare a condividere l’idea di UN ALTRO MOLISE POSSIBILE che presumerebbe, come Antonio spesso sollecita, la prima rivoluzione molisana fatta, possibilmente, in maniera pacifica, proposta e attuata da persone veramente perbene.
Una rivoluzione che presuppone la formazione di micro collettività partecipi e consapevoli delle proprie potenzialità che vadano ad alimentare una comunità competente più vasta che riesca a liberarsi dall’orpello di una tossica dipendenza politica fatta di ritorni e prebende che troppo spesso ha caratterizzato le scelte anche, ma non solo, nella nostra regione.
In tale ottica, questo coronavirus, per quanto devastante, potrebbe essere paradossalmente uno degli strumenti per alimentare la necessaria reazione per la sopravvivenza e per proporre la successiva azione per stimolare coscienze da troppo tempo quiescenti per abitudine all’ineluttabile o peggio ancora per atavica inerzia.
Per provare a declinare e anche a giustificare un intervento che vuole essere schietto fino in fondo, ho la necessità di specificare, in premessa, che sto scrivendo “dal fronte” trovandomi, in questa delicata fase, in trincea e in silenzio, alle prese con cose incomprensibili per la stragrande maggioranza degli umani: tentativi di accordi sindacali con amministratori e imprenditori, smistamento di esami congiunti, segnalazioni di incongruenze sui luoghi di lavoro, segnalazioni alle Prefetture, rilievi sacrosanti di lavoratori costretti a stare lunghe ore alla cassa dei supermercati anche le domeniche anche in questo periodo, oltre a tutta un’altra marea di impegni e adempimenti che, proiettandosi oltre la velocità dei nostri sogni, ci richiamano a una dura ma dovuta realtà di tedioso lavoro quotidiano per provare a far sbarcare il lunario e migliorare le già precarie condizioni di vita a una vastissima platea di lavoratrici e lavoratori piombati nel nuovo baratro di questa ennesima crisi.
Un altro pezzo dell’azione quotidiana è teso a cercare di tamponare la bramosia famelica degli avvoltoi che, anche in questi drammatici frangenti, allettati dal fiume di liquidità immediatamente disponibile, sono pronti ad accaparrarsi le più disparate risorse, anche a scapito di chi ne ha più bisogno.
Qualsiasi lettore comprenderà che, partendo da questo presupposto di analisi, la prospettiva non è quella rosea che tanti immaginano e entra in piena contraddizione, anche nella mente di chi scrive, una dicotomia mai accettata – ma questa volta necessariamente generazionale – che in questa situazione si ripropone prepotentemente.
Il messaggio di speranza semplificato e spontaneo che viene dai bambini e dai più giovani è: “ANDRA’ TUTTO BENE”. Tanti di noi più attempati, che per semplificare chiamerò convinti progressisti, abbracciano quel messaggio quasi per esorcizzare il momento. Tutti noi, allo stesso tempo, sappiamo che a questo segnale di speranza si accompagna la disarmante constatazione quotidiana che diventa consapevolezza nell’avere a che fare con troppi sciacalli, affaristi, troppi approfittatori e speculatori, troppi tuttologi superficiali, troppi sputasentenze, che difficilmente saranno fermati dalle nostre azioni se non saremo realmente determinati.
La pletora di vecchi e nuovi praticanti e aspiranti non sarà dissuasa, siamone certi, nemmeno dagli effetti di questo potente virus dal continuare la sua devastante opera.
Se da queste miserie emergeranno ancora una volta loro qualcosa forse cambierà, ma non ANDRA’ TUTTO BENE.
Vale, quindi, la considerazione che, per la NOSTRA proposta di rivoluzione gentile, dovremo fare i conti, purtroppo, anche e ancora una volta con loro.
Per proporre una citazione post bellica non dobbiamo illuderci che “dietro l’angolo ci sia una nuova Umanità”. Resto però convinto che quell’Umanità dobbiamo provare a scovarla e farla diventare preponderante.
Proprio mentre scrivo si stanno consumando – a onor del vero non solo in ambito regionale – le prime proposte di nuovi e improbabili cartelli elettorali formati a volte da politici navigati che, sfruttando le paure, aspettano il passaggio del cadavere, magari auspicando e sollecitando proposizioni di azioni legali di basso rango in questa drammatica circostanza, altre volte dai soliti o dai nuovi “abbaialuna” che, avendo amministrato poco più che casa propria e senza avere consultato mai nemmeno il manuale delle giovani marmotte, si ergono a esperti indifferentemente di pandemia, sanità e sistemi sociali ed economici, più o meno complessi.
Questo sarà un altro muro, un altro ostacolo da superare, anche nel nostro Molise.
Oggi, posti di fronte al baratro, siamo finalmente (quasi) tutti convinti che la sanità pubblica è l’unica in grado di dare risposta all’esigenza umana e solidale di diritto fondamentale alla salute.
Oggi siamo (quasi) tutti consapevoli che la sanità non può essere una merce.
Abbiamo la necessità di capitalizzare immediatamente questa convinzione per tradurla in azione politica concreta che guardi oltre l’emergenza. Si conferma la necessità di proporre un’offerta di medicina territoriale sostenibile che sia praticabile e utile al territorio oltre che funzionale alle esigenze di lavoratori e cittadini.
Oggi abbiamo la consapevolezza che l’ambiente è una risorsa indispensabile per il nostro Pianeta e un elemento indispensabile per lo sviluppo della nostra regione e sarebbe bello distaccarsi per un attimo dalle discussioni emergenziali di questi giorni per proporre, qui e ora, la vivace discussione che nei mesi scorsi ha caratterizzato la proposta di istituzione del Parco Nazionale del Matese.
Oggi scopriamo che i medici, gli operatori sanitari, i lavoratori dei servizi ai diversi livelli, i commercianti e gli artigiani soprattutto delle nostre aree interne sono, se non proprio degli eroi, persone fondamentali per il nostro sistema perché operano quotidianamente con spirito di abnegazione e spesso in condizioni infime e poco gratificanti.
Oggi tutti parliamo di smart working senza sapere, forse, che era uno strumento contrattuale che poteva essere applicato nei diversi luoghi di lavoro già dal 2017 – in tempi di “pace”- insieme al telelavoro per agevolare, per esempio, persone che hanno difficoltà a spostarsi per assistenza a familiari in difficoltà o per altre situazioni di indigenza conclamata.
Ma si preferiva, soprattutto nei settori pubblici che contenevano, bene ricordarlo, il cuore dello Stato (medici, infermieri, insegnanti, forze dell’ordine) propalare la teoria del fannullone che mangia a tradimento e della destrutturazione del sistema pubblico a vantaggio della presunta efficienza del privato.
Il sistema burocratico non va abolito, bensì snellito e riformato nel senso meritocratico del termine e anche nelle procedure di reclutamento. L’istruttoria e il controllo pubblico sulle diverse procedure deve essere, in tempi certi e ragionevoli, strumento essenziale per prevenire abusi e infiltrazioni del malaffare. Troppo spesso abbiamo assistito – e il rischio è alto anche con questa emergenza -, che le procedure affrettate favorissero pericolosi cali di democrazia nelle scelte e attribuzione diretta di risorse che non sempre hanno sortito gli effetti programmati.
L’antica diatriba pubblico/privato va riconsiderata e basterebbe proporre una piccola digressione pensando, proprio in queste ore, alle risposte tardive in periodo di emergenza COVID 19 date dalla sanità lombarda sbilanciata verso il sistema privato voluta dal forzista Formigoni e compagni successivi di merenda. Prima il profitto, poi l’emergenza e la salute pubblica.
Lo svuotamento delle cliniche private e dei posti letto a pagamento possibile solo dopo che la situazioni stanno per precipitare è una vergogna nazionale di cui il sistema lombardo porta indecorosamente la bandiera nera. Ci sarà tempo, anche in Molise, sperando che non ci sia un drammatico tracollo del sistema in questa cornice legata all’emergenza, per rivedere sciagurate scelte che hanno avvantaggiato la proliferazione della sanità privata a scapito del sistema pubblico.
Oggi molti (purtroppo non tutti) si accorgono che dietro le casse di un supermercato ci sono persone, madri e padri di famiglia che la domenica e nei giorni festivi sono costretti, spesso sottopagati, a turni esasperanti di lavoro.
Oggi, con i nostri studenti relegati dietro un monitor o un telefonino (quando va bene) ci rendiamo forse conto della valenza della scuola pubblica e dei sistemi di formazione e alta formazione come elementi indispensabili per costruire società democratiche nel rispetto dei nostri invidiati principi Costituzionali. Ma solo questo argomento meriterebbe un capitolo a parte per come è stato gestito in passato e per come viene proposto nel presente.
Sarebbero tanti ancora i punti da rimarcare per provare a disegnare un futuro in cui tutto andrà bene, ma uno degli impegni che voglio sicuramente condividere con gli attuali compagni di viaggio, a prescindere dall’incarico ricoperto pro tempore, è quello di mantenere vivo il ricordo di questo oggi per provare a costruire insieme un domani migliore.
Il nostro Molise, anche il nostro Molise ha bisogno di una perturbazione di sistema non solo emergenziale (vogliamo chiamarla una rivoluzione? Mi piace).
Lo abbiamo fatto in diversi periodi e in diversi contesti ma, nell’immediato, dobbiamo avere la capacità di leggere il presente per scrivere il futuro, per condividere e far vivere una piattaforma concreta che guardi a valori veri di solidarietà e dignità della vita e del lavoro.
I baluardi di questa rivoluzione non possono essere che quelli di sempre: passione, conoscenza e buone pratiche, accompagnate da quel pizzico di sogno che caratterizza le italiane genti e che permette di osare di più.
Dobbiamo avere la forza di contribuire a sconfiggere oggi il virus presente e i virus del passato e cercare la voglia di farci trovare pronti e reattivi per la costruzione della vera fase due che si chiama futuro.
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