Funzioni ed uso del linguaggio
di Umberto Berardo
La manifestazione della personalità e del proprio modo di essere può avvenire in diversi modi.
Le forme più abituali sono quelle dei gesti, dei comportamenti e del linguaggio.
Non si tratta di sistemi alternativi ma molto spesso complementari che hanno regole convenzionali, forme riconoscibili, strutture condivise, funzioni relazionali e quindi un enorme valore sociale.
Ognuna di tali modalità espressive presenta un’utilità indiscutibile, ma l’atto comunicativo per eccellenza è sicuramente veicolato dal linguaggio che può servirci ad esternare sentimenti e stati d’animo, a persuadere, ad informare, a stabilire contatti, ma anche a creare scopi più elevati di uso come quello letterario o metalinguistico.
Parliamo di vere e proprie azioni linguistiche quando usiamo tale mezzo per fini performativi ovvero per raggiungere un obiettivo o rispondere a un’esigenza.
Per convincere, incidere, trasformare, avvisare, promettere o sostenere un’idea è chiaro che si ricerca una forma elegante e raffinata, un lessico ricco e una collocazione sintattica del messaggio in grado di raggiungere in maniera ottimale il fine da conseguire.
Secondo Noam Chomsky la capacità di elaborare e riferire il pensiero porta alla “generazione di una serie illimitata di espressioni gerarchicamente strutturate che corrispondono all’interfaccia concettuale-intenzionale”.
È la funzione del linguaggio che, per la teoria generativo-trasformazionale del linguista americano, ci permette di prendere coscienza della realtà, di dare un nome alle cose, di classificare gli elementi della nostra esperienza, di organizzare, memorizzare e trasmettere il sapere.
Tale codice espressivo può avere diverse forme e una variabilità relazionale a seconda dell’appartenenza di genere ma anche di quella sociale, economica o culturale.
È del tutto evidente come la sua efficacia sia proporzionale alla ricchezza di erudizione personale, lessicale, strutturale e funzionale.
Essendo uno degli elementi più importanti della vita relazionale tra gli esseri umani è chiaro che tale canale di comunicazione ha bisogno di essere regolato da norme condivise di carattere democratico per evitare che possa diventare mezzo di discriminazione e di soggezione.
A livello di genere o di classe sociale, soprattutto quando il lessico diventa elitario, escludente o subdolamente ideologizzante, tale forma espressiva può diventare strumento coercitivo d’imposizione concettuale conducendo allora molti all’omologazione piuttosto che alla libertà di pensiero.
In questo caso l’organizzazione del linguaggio si rivela assai pericolosa perché mira ad emarginare tantissimi soggetti e perfino ad impedire o escludere lo spirito critico.
Sono le modalità con cui si creano le elites, i circoli del potere, le aggregazioni delle cosiddette vestali della cultura o più semplicemente i giri degli azzeccagarbugli.
Occorre allora, come giustamente sostenevano Paulo Freire e don Lorenzo Milani, essere vigili e appropriarsi degli strumenti culturali che muovono le strutture e i paradigmi delle scienze, della tecnica, dell’economia e della politica.
Possedere il linguaggio significa dunque entrare con capacità di ricerca e operatività critica nelle sue strutture, nei suoi meccanismi e nelle sue regole evitando che qualcuno possa usarlo per distorcere la verità e la realtà ingannando gli altri per condizionarne subdolamente le scelte.
Sappiamo tutti i pericoli d’imbonimento presenti in tante fake news, nella pubblicità ma più in generale nei media e nel web.
Il linguaggio talora diventa volgare, offensivo, irrispettoso, umiliante, violento.
In questo caso le parole hanno una valenza fortemente negativa che evidentemente allontana dalla costruzione di una società libera, pacifica ed egalitaria.
Quando si comunica attraverso contrapposizioni istintive, fatte d’illazioni, di saccenteria e di toni irriguardosi davvero diventa difficile realizzare dialoghi e relazioni utili al bene comune.
Proprio in questi giorni stiamo assistendo ad una plateale distorsione del linguaggio.
“Siamo in guerra”, “stiamo conducendo una battaglia”, “abbiamo un nemico invisibile”, “dobbiamo pensare a BOT di guerra”, “non abbiamo armi per difenderci” sono espressioni ricorrenti sulla bocca di politici, di cosiddetti opinionisti, di giornalisti e perfino di scienziati.
Stiamo affrontando i problemi di una pandemia, ma usiamo un linguaggio militarizzato che non è né funzionale al momento e neppure educativo.
Per illustrare le situazioni che viviamo scegliamo strategie e mezzi per il superamento delle difficoltà cercandole impropriamente in un lessico e in figure retoriche del tutto inadatte che non aiutano di sicuro la costruzione di una società che voglia eliminare la violenza e costruire la pace.
Sui social network ma anche in televisione poi ci sono parole aggressive che trasudano odio, violenza, xenofobia, volgarità gratuita e che stanno diventando un serio pericolo per il rispetto della dignità delle persone e della convivenza soprattutto quando ci si chiude in un individualismo presuntuoso e intollerante.
In questi casi, usando una efficace immagine metaforica, si cerca in tutti i modi di “avvelenare i pozzi”.
Abbiamo la colpa grave di aver minimizzato e sottovalutato tale fenomeno di cui certamente dovremmo occuparci con più attenzione soprattutto nelle principali agenzie educative della società come la famiglia e la scuola.
Esiste anche un aspetto della comunicazione formale su cui occorrerà fare delle riflessioni profonde e che corrisponde alla destrutturazione linguistica determinata dalla messaggistica immediata utilizzata soprattutto con gli smartphon.
In generale i contatti sempre più virtuali di questi giorni in cui siamo chiusi in casa per la pandemia da Covid-19 ci confermano quanto sostiene Zygmunt Bauman e cioè che siamo sempre più internauti solitari, fragili, talora impotenti rispetto alle avversità e bisognosi di operare solidalmente insieme agli altri.
È verissimo!
Nonostante le relazioni attraverso il Personal Computer, il telefono o lo smartphon dovremmo comprendere che abbiamo bisogno di altro ovverossia di rapporti fisici e umani fatti anzitutto di umiltà, rispetto e amore.
Impareremo allora a coltivare legami autentici e relazioni diverse dando spazio a ciò che vale davvero per la nostra vita.
In questa direzione capiremo anche la funzione e l’uso positivo del linguaggio che ha bisogno certo di parole appropriate, di espressioni o periodi formulati secondo corrette regole fonologiche e sintattiche, ma anche di un tipo di comunicazione rispettoso della dignità e della libertà degli interlocutori e capace soprattutto di produrre in chi ascolta o legge immagini mentali, stati d’animo e sensazioni piacevoli e gratificanti.
In tale caso il linguaggio avrà certamente una valenza positiva.
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