Molise a pezzi

Queste sono le porzioni del territorio a confine con altre realtà regionali che nell’ipotesi che la nostra regione dovesse essere smembrata potrebbero essere riaccorpate in quelle vicine. La forma rettangolare verso cui tende la configurazione del Molise, è una verità geometrica, a parità di superficie, ha uno sviluppo superiore del perimetro rispetto ad uno quadrangolare o circolare, determinando una maggiore estensione delle linee di contatto con ciò che c’è intorno.

I confini della nostra terra non dappertutto coincidono con elementi morfologici capaci di separarla fisicamente dai territori circostanti, quasi di costituire una barriera superabile con difficoltà. Tra questi vi sono le montagne le più grandi delle quali sono posizionate proprio su alcuni tratti del perimetro della regione. I gruppi montuosi che, poi, sono pezzi della catena appenninica per cui sono i rilievi più elevati risultano posizionati sul lato corto della superficie regionale che pertanto va considerata delimitata con sicurezza da questa parte, verso ovest; la medesima cosa si riconosce avvenire dal lato opposto per via della presenza del mare.

I monti che chiudono il Molise ad occidente si distinguono fra loro rispetto al tema della suddivisione delle aree dei versanti contrapposti, pur avendo altezze equiparabili, almeno dal punto di vista storico: il crinale del Matese non è stato una linea di divisione nell’epoca dell’antico Sannio i cui principali centri erano disposti a corona ai suoi piedi, Boiano e Isernia di qua e Telese ed Alife di là, cosa che non si verifica nel comprensorio delle Mainarde. Per questo popolo italico tale complesso montano rappresentava, addirittura, un fattore di unificazione.

Un modo di sentire che si è perpetrato, per certi versi, nelle età successive essendo i pascoli di altitudine del massiccio matesino, i quali sono distese su per giù continue, frequentati sia dai pastori molisani sia da quelli campani. Un utilizzo compiuto da parte di più comunità degli altopiani per l’allevamento animale accade anche nelle Mainarde. Amministrativamente, comunque, in entrambe queste emergenze montuose, lo spazio si trova suddiviso in fette che vanno dal piano alla sommità, proprietà dei vari comuni dell’ambito per permettere alla popolazione di sfruttare in maniera integrata le risorse di monte e quelle di valle.

Ciò avviene puntualmente pure alle spalle del fronte molisano di queste montagne, procurando l’effetto di una cesura coincidente con lo spartiacque tra le due facce del monte. L’identità matesina (non esiste quella “mainardina”) per i paesi matesini è forte nei paesi pedemontani della provincia di Caserta e di quelle nostrane di Isernia e di Campobasso: per quanto riguarda gli abitati posti in quest’ultima essa si sovrappone a quella sannita che ha, invece, in comune con la provincia di Benevento.

Il Sannio è una delle regioni storiche che intersecano al suo contorno la regione. Le altre sono la Terra di Lavoro che inizia subito dopo Venafro e la Capitanata che in passato inglobava un pezzo del Basso Molise fiancheggiante la Puglia. Forse è per l’orgoglio per la potenza della nazione sannita la quale osò sfidare Roma che nuclei urbani rientranti in quello che un tempo era il Sannio, in verità solamente alcuni, hanno scelto di fregiarsi nella loro denominazione dell’appellativo “sannita” o “sannitico”.

Una qualche legittimità ad avere pretese sul territorio molisano hanno la Terra di Lavoro e la Capitanata, partizioni amministrative del Regno di Napoli perché inglobavano porzioni della regione attuale non coincidenti con il Contado di Molise, ad esse appartenute, mentre al contrario, il Sannio è un termine, paradossalmente, da un lato più remoto e dall’altro più recente, ripreso per identificare una zona tolta dalla giurisdizione provinciale di Campobasso per assegnarla a quella di Benevento costituita solamente nel XIX secolo.

Tutte e tre fanno capolino in quei tratti della regione che è priva di difese naturali. Sarà probabilmente perché avamposto nel territorio campano (subito dopo vi è Sesto, appunto, Campano) che a Venafro si respira l’aria di un luogo di frontiera, fatto che la ha portata a rafforzare la sua “molisanità” come rivelano le tante manifestazioni culturali di spirito regionalista che vi si svolgono. In verità, rimane in bilico tra Terra di Lavoro e Molise e per ovviare a tale incertezza identitaria si è dovuta creare un profilo autonomo e c’è riuscita.

È quella in cui ricade, la porzione di superficie del Molise conosciuta come il “venafrano”, una modalità identificativa di un comprensorio che non è impiegata in nessun altro angolo della regione, neanche più per il circondario di Larino che prima veniva chiamato il Larinate, termine abbastanza aulico che è in auge ancora nei testi letterari. L’appartenenza alla Capitanata è ricordata nel predicato del nome del Comune di S. Giuliano di Puglia che sta in un fascia regionale sguarnita di confinazioni né “idro”, il Fortore uscito dalla diga di Occhito si è ormai allontanato dal Molise, né “morfologiche”, mettiamo, una sequenza di alture.

L’idromorfologia traccia a lungo il limite della nostra regione sul suo secondo lato lungo (il primo, parallelo a questo, è quello che è a contatto con il territorio pugliese) che si svolge a settentrione; è la vallata morfologica del Trigno (idrologia) a porsi tra Abruzzo e Molise. Se in riguardo agli aspetti di tipo socio-economico, salvo che in un passato prossimo per l’estrazione di ghiaia dal suo letto, il fiume non rappresenta un “bene comune” per la gente che vive sulle rive, a destra e a sinistra, e, perciò, non funge da fattore aggregante di interessi, nello stesso tempo esso è avvertito quale presenza caratterizzante dell’ambito territoriale che il corso d’acqua viene ad attraversare e lo dimostra la circostanza che ai residenti dei borghi della valle piace farsi chiamare trignini.

I Comuni, così come abbiamo visto succedere nelle nostre montagne, hanno areali di pertinenza di forma allungata una striscia che va da cima a fondo in quanto ciascuno di esse vuole essere rivierasco, toccare l’alveo fluviale; non esiste, detto in termini immaginifici nessuno (salvo S. Biase e Salcito) che voglia stare in “loggione”, tutti, pur distanti alcuni chilometri dal fondovalle specie in Abruzzo vedi Schiavi che ha un dislivello rispetto al fondovalle idrico di 700 metri, desiderano godersi lo spettacolo di questo meraviglioso fiume dalla prima fila, senza che non ci sia davanti (e, in coerenza con quanto detto, non ce ne possono essere dietro) alcuno, è una questione squisitamente culturale.

Non è a dire, controbbattendo, che le piane erano appetibili un tempo poiché erano soggette a frequenti inondazioni. Arrivati sulla costa la terra si appiattisce, i pendii che fiancheggiano l’asta fluviale spianano e quindi scompare la causa morfologica a tenere disgiunte le due regioni; rimane, comunque, quella idrografica pur se la foce nei secoli si è leggermente spostata non più rappresentando, per poco, il termine geografico del Molise.

All’altro capo del territorio molisano, quindi a sud, il Rio Salso che è un semplice rivo non è molto di più che un segno topografico che marca il passaggio nella Puglia. Nel bacino del Sangro che investe una quota ridottissima della superficie regionale e per il resto è abruzzese, c’è un paese che si sdoppia, Pescopennataro sul monte e S. Angelo del Pesco sul fiume; qui prevale il modo orografico, i monti dell’Altissimo Molise, sul sistema di valle.

Il collante della struttura insediativa, detto diversamente è la montagna e non il fiume, senza dunque che vi siano interazioni con l’oltresangro.

Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

1 Comment

  • Shmooze Reply

    18 Aprile 2020 at 20:44

    Ipotesi che il Molise venga smembrato? Ma perchè ci vogliamo così male!? La valle d’Aosta con 100.000 abitanti chiede di essere smembrata, o ci sono ipotesi di smembramento!? Abbiamo dimenticato che uno dei periodi di massima emigrazione e povertà fu quando eravamo uniti con l’Abruzzo!? Per quale motivo pensato che uno da Pescara, o Caserta possa venire a risolvere i nostri problemi. Abbiamo indipendenza e capacità di spesa, difendiamoia e restiamo orgogliosi della terra che il Creatore ci ha dato.

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