L’orizzonte umanitario del 25 Aprile

di Fiora Luzzatto

Carissimi tutti, per la prima volta dopo decenni, il 25 aprile di quest’anno, non saremmo riuniti sulla tomba di Giaime Pintor per ricordare le sue lotte per la libertà, e per ridare luce e vigore alle “nostre” lotte per la libertà.

Non ci saranno i bambini, che hanno sempre allietato il nostro 25 aprile dando l’immagine gioiosa di un messaggio che si trasmette di generazione in generazione. Quanto abbiamo lottato per dare a quei bambini un asilo nido e una scuola materna. E come ci accorgiamo, in questi giorni, quanto ciò improvvisamente ci manchi. E in questi giorni tocchiamo con mano quanto siano state valide quelle lotte.

In questa data che per noi è tanto significativa, ci interroghiamo in che cosa ed in che modo ci sia un filo di collegamento tra ciò che era il mondo di ieri e ciò che – a seguito dell’imprevista sciagura che ci tiene isolati – diventerà il mondo di domani. Ebbene, è l’ideale della giustizia che accomuna la fase di ieri e la fase di domani. L’odierna vicenda ci fa toccare con mano che il mondo è uno solo e appartiene a tutti i sette miliardi di persone che lo popolano.

La violenza con cui il virus ha colpito il mondo intero non è colpa nostra. Ma sarà colpa nostra se non tutti riceveranno uguale protezione. Non è giusto dire che siamo tutti nella stessa barca: c’è qualcuno che è in una barca, e c’è qualcuno che una barca non ce l’ha.

In mezzo a noi vivono anche le persone a cui è stata rifiutata perfino l’iscrizione in anagrafe. Tante cose giuste sono state fatte dal nostro governo; ma si tratta ora di aggiungere un presupposto di civiltà: fare emergere gli ignoti, coloro che per colpa di una vergognosa direttiva (non ancora cancellata) non siamo nemmeno in grado di conoscere nome, cognome e recapito di chi abita in mezzo a noi: seminascoste ci sono persone giunte da altre parti del mondo; erano in cerca di una vita migliore, si sono trovati coinvolti in un rischio micidiale che non tiene conto dei permessi di soggiorno. Adesso non siamo più noi che abbiamo paura di loro; adesso sono loro che hanno paura di noi.

Come fanno a restare “a casa” quelli che una casa non ce l’hanno? Dove sono spariti quei giovani africani che da anni, ordinatamente, con turni bene organizzati non si sa da chi, chiedevano l’elemosina all’uscita dei supermercati? Chi si occupa di loro? Di che campano? Chi li sfama? Possibile che di loro non si parli più, perché c’è ben altro a cui pensare? E quelli che tra pochi giorni raccoglieranno i pomodori, staranno a … distanza di un metro l’uno dall’altro??!!

Carissimi amici, quest’anno sulla tomba di Giaime non ci potremo abbracciare, ma dalle nostre case potremo unire i nostri cuori e il nostro impegno. Nei prossimi giorni dalle nostre finestre tre volte dovrà sventolare la bandiera tricolore unita alla bandiera d’Europa:

  • Il venticinque aprile: per ripensare al coraggio con cui, ottanta anni fa, si è ricostruita l’Italia
  • Il 1° maggio per lottare per il lavoro: poiché dopo la catastrofe sanitaria verrà la catastrofe della disoccupazione
  • il 2 giugno per non dimenticare mai che la Repubblica non si accontenta di delegare le opere buone a chi meritoriamente e liberamente le fa, ma si impegna, come Stato, a tutelare la salute di tutti, e il lavoro di tutti.

Queste sono le sfide che ci attendono. Nessuno avrebbe potuto prevedere un evento di così mondiale estensione. Ma negli ideali che ispirano la nostra storia c’era già scritto che “Nostra patria è il mondo intero”. Il virus non conosce confini: e proprio per questo – come mai prima d’ora – c’è una così intensa collaborazione tra gli scienziati dei tutto il mondo. Ma non basta che siano gli scienziati “uniti nella lotta”: devono unirsi i popoli, ed i loro governi. Se non ora, quando?

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