Vie di fuga, non scorciatoie per la prevenzione sismica

di Francesco Manfredi-Selvaggi

L’impegno per limitare i danni di un terremoto deve essere profuso in più campi, da quello degli incentivi all’adeguamento strutturale dei fabbricati a quello della redazione dei piani di protezione civile i quali prevedono le vie di fuga e le aree di attesa alle aree di ammassamento dei soccorritori con i loro mezzi di soccorso.

Di terremoti nel Molise ve ne sono stati tanti. Sicuramente anche nell’antichità, ma il più remoto cui è rimasto traccia nelle fonti è quello dell’848 d.C. il quale dovette colpire tanto duramente Isernia che il condottiero arabo risalendo la Penisola, in procinto di conquistarla si rifiutò di attaccarla pensando: se Dio non aveva voluto raderla al suolo totalmente non sarebbe potuto essere lui a distruggere quanto rimaneva in piedi, essendo stata risparmiata dalla volontà divina. La serie di sismi dei tempi recenti più disastrosi iniziò con quello del 1908 e con esso inizia anche l’emanazione delle norme antisismiche.

Ne seguirono altri che portarono ad includere nella classificazione volta per volta i Comuni che erano stati danneggiati dalla scossa tellurica del momento. Bisogna attendere gli anni 70 del secolo per avere una classificazione “preventiva” del territorio e non successiva come era stato in precedenza. Aumenta sempre più il numero dei Comuni classificati sismici, ora non solo a seguito del terremoto subito, ma sulla base dei nuovi studi sulla sismicità.

In altri termini l’elenco dei Comuni sismici viene a ricomprendere anche centri che in epoca moderna non erano mai stati oggetto di sollecitazioni telluriche. L’ultima lista, almeno per quanto riguarda il Molise, è del 2003 nella quale sono presenti adesso anche tanti Comuni inseriti in Zona 3; il rischio sismico, infatti, già da diversi decenni era stato graduato in Zone delle quali la maggiormente pericolosa è la Zona 1 che comprende qui da noi tutta la fascia preappenninica.

La normativa per le costruzioni si, alla stessa maniera, aggiorna costantemente. Il processo, però, non è continuo perché vi sono pure cambi di rotta tra i quali vi è l’eliminazione della Zonizzazione che suddivide il territorio in ambiti di una qualche dimensione ed essa viene sostituita da valori puntuali, punto per punto, e non più areali, dell’intensità sismica.

Come si può vedere sono stati fatti grandi sforzi per contrastare gli effetti conseguenti agli eventi sismici e tutti imperniati sul binomio disposizioni tecniche-individuazione dettagliata, cioè per ogni specifico luogo, dell’intensità sismica; ciò ha indubbiamente comportato un significativo esborso di risorse pubbliche per cui non si può proprio dire solo perché non si traducono in opere che si tratta di attività a costo zero.

Esse sono una componente decisiva delle politiche di prevenzione cui vanno, comunque, accompagnati finanziamenti, per i quali la spesa richiesta è, di certo, molto più cospicua, sul fronte della riduzione della vulnerabilità sismica del costruito. In effetti, qualcosa si muove in tale direzione nella forma non di contributi economici per l’adeguamento statico dei fabbricati, in genere interventi assai onerosi, bensì di incentivi fiscali per l’analisi del grado di sicurezza di fronte ad uno scuotimento del suolo su cui poggia la costruzione che vanno sotto il nome di Sismobonus.

C’è un ulteriore (il terzo che assomiglia ai primi due in quanto non si prevede la realizzazione di alcunché di fisico) versante di azione per mettere in salvo la popolazione durante un accadimento sismico che è quello del piano comunale di protezione civile. In esso vanno individuate le “vie di fuga”, operazione non proprio facile se si pensa, in particolare, alla complessa conformazione urbanistica degli agglomerati storici.

Queste che sono anche “di soccorso” devono servire, oltre che a permettere l’evacuazione degli abitanti, a consentire ai soccorritori, appunto, di raggiungere rapidamente e porre in salvo coloro che rimangono intrappolati nelle macerie. Si pensi alla monumentale scalinata di via S. Nicola a Trivento che se è abbastanza larga da permettere a quanti si radunano nella sua fascia centrale di essere fuori dal raggio di ribaltamento delle pareti delle schiere edilizie che fiancheggiano la strada è, però, troppo lunga e con un unico sbocco viario intermedio per assicurare il rapido arrivo di coloro che devono portare aiuto.

Casi più gravi sono quelli in cui il percorso gradinato è molto stretto; va detto che la gran parte dei nostri borghi è in pendenza e che, spesso, per superare i salti di quota si sono realizzate vie o vicoli scalettati. Ancora in riferimento al tema della messa in sicurezza degli abitanti e ancora in relazione alla questione dell’accesso dei mezzi della Protezione Civile un problema costante, ricorrente in diversi paesi, è quello delle porte urbiche.

È evidente, che siano in numero limitato in quanto il punto più debole delle murazioni e tale limitazione comporta che la viabilità interna al nucleo medioevale converga nel tratto finale, su queste sorta di colli di bottiglia; la velocità di uscita e, di conseguenza, di entrata al borgo è condizionata dalla quantità di varchi di ingresso. Agnone che nel 1800 era la seconda città del Molise aveva, unicamente, porta S. Nicola, la porta “semiurna” (cioè volta a mezzogiorno) e ce ne doveva essere sicuramente una, la principale, al termine del corso Vittorio Emanuele.

È positivo, beninteso, esclusivamente per questo aspetto, che sia in atto il fenomeno dello spopolamento delle zone antiche degli abitati molisani. La situazione diventa più complicata quando oltre ai residenti nel centro storico sono ospitate funzioni direzionali ed è il caso di Isernia ed è l’unico nella nostra regione perché altrove, Venafro e Larino, il municipio ha sede ai suoi margini , mentre a Campobasso e Termoli esso è da sempre collocato fuori dal suo perimetro.

Nel capoluogo pentro gli uffici comunali stanno, invece, nel bel mezzo dell’insediamento originario, lungo il decumano del quale l’inizio, piazza S. Pietro Celestino, e la fine che nel tratto che ci interessa è l’Arco di S. Pietro (ora Apostolo) sono distanti, senza possibilità di fuoriuscita attraverso vie di percorrenza intermedie. Per mettersi al sicuro, in alternativa allo scappare via, vi è la soluzione di trovare riparo dai crolli in uno spazio aperto.

Nel panorama regionale sono rare le piazze vere e proprie e quelle che così vengono chiamate sono slarghi, poiché qui non si è vissuta la fase della storia nazionale conosciuta come l’Italia dei Comuni, i quali avevano necessità di piazze, pure grandi, in quanto vi si svolgevano le assemblee cittadine. È emblematico che a S. Massimo, all’indomani del terremoto del 1805, si decise di non ricostruire una parte dei caseggiati danneggiati i quali furono demoliti per far posto all’odierna piazza Marconi, allo scopo di ammodernare l’immagine cittadina, una scelta per motivi di prestigio.

Si discute molto sul problema dell’accessibilità degli aggregati urbani nati nel medioevo, che la nuova amministrazione comunale di Campobasso propone di risolvere mediante impianti di risalita meccanici, soluzione analoga a quella adottata a Civitanova del Sannio dove è stato installato un ascensore che, però, non è in servizio, inidonei per fuggire durante la crisi sismica.

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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