Il Molise, secolare terra di parchi

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Fra 2 anni si celebreranno i 100 anni dalla nascita delle aree protette in Italia e noi potremmo dire, con una piccolissima inesattezza, «io c’ero» perché Pizzone è da sempre dentro il Parco Nazionale d’Abruzzo. Anche oggi, con quello del Matese, siamo in prima linea nel settore della conservazione della natura.

Forzando un po’ i fatti si può dire che la storia dei parchi italiani inizia coinvolgendo il Molise e termina con il Molise, o almeno il capitolo cui è giunta ora si conclude con il Molise. Infatti, il primo (abbiamo detto che avremmo fatto una forzatura perché, in effetti, il parco più antico è quello del Gran Paradiso il quale precede di un anno quello d’Abruzzo) parco è quello nato nel territorio abruzzese che comprende pure un comune molisano, Pizzone, mentre l’ultimo è quello del Matese che condividiamo con la Campania.

Dal 2020, la data odierna, al 1923 quando venne istituito il parco Nazionale d’Abruzzo è trascorso quasi un secolo. La nostra regione è, dunque, il punto di partenza e quello di arrivo e ciò farebbe pensare che siamo particolarmente attivi in tale campo sennonché dobbiamo ammettere che in questi circa cento anni che separano i due momenti qui da noi non è avvenuto niente.

A scusante possiamo addurre che pure nel resto d’Italia, specie nel Meridione, si è fatto poco dopo la prolifica fase pionieristica che ha riguardato, oltre il PNdA, l’arco alpino e bisognerà attendere i decenni a cavallo del millennio in corso per vedere lo sbocciare di una nuova generazione di parchi, molti dei quali sorti al Sud e al Centro che così recuperano il gap con il Nord.

Non si è trattato, in questo lunghissimo periodo che divide le due fasi, di inerzia e se la vogliamo definire così dobbiamo, però, aggiungere l’aggettivo giustificata. La nazione in tutto questo tempo è stata impegnata in vicende assai complesse quali la seconda guerra mondiale e la ricostruzione post-bellica fino all’esplosione del boom economico il quale ci ha permesso di raggiungere standard esistenziali più civili, di soddisfare bisogni essenziali tra cui quelli ambientali non erano avvertiti come primari.

È negli anni 80 che si comincia a porre in primo piano la questione dell’ambiente anche per porre un freno allo sviluppo incontrollato che aveva portato ad una forte crescita dell’urbanizzazione, con i conseguenti problemi di vivibilità dei grandi centri, alla motorizzazione di massa e gli scarichi nocivi da essa derivanti, all’industrializzazione delle aree forti del Paese la quale porta con sé l’inquinamento dell’aria e delle acque.

Incominciò allora a formarsi una coscienza ecologica sia a livello istituzionale con la nascita del Ministero dell’Ambiente nel 1986 sia nella componente giovanile della popolazione con la fioritura delle associazioni ambientalistiche pure in zone periferiche come la nostra dove si costituì nel 1985 il Circolo di Legambiente.

I temi ecologisti giungono così alla ribalta, prioritariamente quelli connessi alla integrità dei luoghi di vita e solo in seguito quelli della conservazione della natura anche se rispetto a questi si cominciano ad avvertire segnali di attenzione perché è del 1985 il convegno svoltosi a Vinchiaturo in cui viene lanciata, per la prima volta, l’idea di Parco del Matese, la stagione dei parchi registra una ripresa, ma adesso non si tratta dei Parchi Nazionali bensì di quelli Regionali.

Alla neonata Regione vengono riconosciute le competenze in materia di «aree protette» nel 1977 e molte di esse adottano apposite disposizioni legislative e tra queste, però, non è compresa, se non più tardi, la nostra. La Campania istituisce sulla base della propria normativa il Parco Regionale del Matese che sarebbe dovuto evolvere in Parco Interregionale per non rimanere un’operazione monca, ma la Regione Molise non fece altrettanto nel suo versante, nonostante la forte mobilitazione degli ambientalisti e del sindacato, la CISL, che promosse una riuscita “raccolta di firme” per la presentazione di una legge di iniziativa popolare in riguardo e nonostante le rigide misure di tutela da essa stessa imposte nel 1991 sul massiccio matesino con i piani paesistici i quali, nella versione nostrana, hanno anche un contenuto naturalistico.

Utilizzando l’immagine della rappresentazione teatrale vediamo che lo Stato è il protagonista della scena d’apertura, le Regioni di quella successiva, e nuovamente lo Stato del finale (che si spera provvisorio auspicando la formazione di ulteriori aree protette). In quest’ultimo atto è completamente diversa la sceneggiatura in quanto la scelta degli ambiti da trasformare in parchi non è più episodica, seguendo, invece, precisi criteri in un’ottica di programmazione.

La legge quadro, la 394, del 1991, parla di sistema di parchi a differenza del passato in cui i singoli parchi erano visti quali fatti isolati. Per quanto riguarda la fascia appenninica, è stato il progetto APE, Appennino Parco d’Europa, che è del 1996 a pianificare una rete di aree protette da costituire lungo questo insieme di gruppi montuosi che costituisce la spina dorsale della Penisola.

Il Parco del Matese viene proprio da lì ed esso rappresenta l’ultimo arrivato nella serie dei parchi che “coprono” l’Appennino. L’assenza di questo parco si notava, eccome, causando un’interruzione nella catena, per il resto ininterrotta, delle aree protette appenniniche, una sorta di “vuoto” che spezza la continuità, peraltro essenziale, dal punto di vista naturalistico, trattandosi di un ecosistema unitario, quello dell’Appennino.

Uno iato, in definitiva, che andava colmato, altrimenti si compromette la struttura ambientale che unisce da un capo all’altro, nel verso più lungo, il territorio nazionale. È opportuno aggiungere che per il Matese, dall’angolatura esposta, l’eventuale parco regionale o interregionale sarebbe stato uno strumento di tutela poco adeguato e che sarebbe dovuto essere, necessariamente, tramutato in Parco Nazionale.

In altri termini, è legittimo lamentarsi del ritardo e, contemporaneamente, non è giusto avere rimpianti per la mancata istituzione da parte dell’Amministrazione regionale di un parco per il comprensorio montano in questione.

Ci si è soffermati sulla valenza nazionale di tale parco più che locale, il quale si somma a quella di livello sovranazionale della parte di Appennino in cui ricade il Matese frequentata da specie animali particolarmente rare e perciò di interesse internazionale, l’orso marsicano il cui areale potrebbe estendersi anche alla montagna matesina e il lupo italico, una varietà di questa razza riconosciuta autoctona di questa formazione montuosa dal campobassano dott. Altobelli.

Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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