L’epidemia e la rinascita dei paesi

di Rossano Pazzagli

Un commento alla conversazione tra il ministro e il poeta

Sabato 2 maggio per poco più di un’ora, è andata on line su Facebook una diretta che ha messo a confronto Giuseppe Provenzano, Ministro per il Sud e la coesione territoriale, con Franco Arminio, poeta e “paesologo”, che da anni si batte per la tutela e la valorizzazione delle aree interne del nostro Mezzogiorno. Ne è scaturito un dibattito ricco e articolato centrale per la prospettiva del Molise e dei suoi 136 comuni; abbiamo chiesto di commentarlo a Rossano Pazzagli, docente della nostra università e membro della società dei Territorialisti

Paesi dei morti o paesi vivi? È cominciato così il confronto a distanza tra Franco Arminio e Giuseppe Provenzano andato in onda il 2 maggio sul canale facebook del poeta-paesologo. La contrappozizione tra la vita e la morte, ancorata alla fase epidemica che stiamo vivendo, è una potente metafora per descrivere la situazione delle aree interne italiane, dei paesi e delle campagne ingiustamente marginalizzate dal processo di sviluppo contemporaneo e che oggi, proprio in virtù della crisi, vedono una possibilità per tornare al centro dell’attenzione.

Esse hanno dimostrato, infatti, di essere luoghi più sani, a differenza delle grandi aree urbane e delle zone economicamente più forti. Anche se hanno subito lo spopolamento, i paesi non sono contenitori vuoti, ma un deposito di patrimonio territoriale, di stili di vita e di servizi ecosistemici, e anche di virtù civiche che nell’insieme possono rivelarsi utili non solo per loro stessi, ma anche per sperimentare un diverso modello di sviluppo. Dopo il coronavirus potrannno finalmente riacquistare la voce perduta ed essere i punti di una rinascita su altre basi, a condizione che se ne prenda coscienza da subito a livello sociale, economico e soprattutto politico.

Una affermazione mi ha colpito tra le risposte che il Ministro per il Sud e la coesione territoriale ha dato ad Arminio: “se c’è una cosa che fa emergere l’epidemia, questa è l’importanza del territorio”, ha detto Provenzano. Può sembrare elementare, ma è un’affermazione rilevante che rovescia la prospettiva fino ad oggi dominante, cioè quella dei centri ordinatori (poche aree forti a grande concentrazione) e di una vasta periferia costretta a subire processi economici e sociali di abbandono e di marginalizzazione. Le aree forti si sono rivelate fragili di fronte al virus, per cui la ripresa dovrà cambiare strada, possibilmente da subito.

Che cosa fare già questa estate? Ha incalzato Arminio. Si può rovesciare l’ottica e sperimentare nei paesi nuove forme di vita, di economia, di cultura? Bisogna creare o recuperare l’eros che c’è in questi luoghi – ha ripetuto con un’espressione che usa spesso. Voleva alludere anche alla scuola, alla cultura, alla musica, agli artisti. I paesi non sono più un argomento da addetti ai lavori, da professionisti delle aree interne spuntati come funghi negli ultimi tempi, ma terreno d’azione delle comunità locali, degli abitanti, quasi un teatro della rinascita. Qui c’è spazio, dunque è più facile, quasi spontaneo, il distanziamento sociale.

Ma servono misure differenziate, che riaprano alla vita proprio a partire dalle aree interne, rurali o rururbane, dai sistemi territoriali locali. E affinché ciò possa avvenire bisogna ripartire dai servizi e dal lavoro: dall’agricoltura, dall’allevamento, dal turismo, dal commercio di prossimità, dai trasporti, dalla sanità e dalla scuola… che discendono tutti dai fondamentali principi costituzionali: il lavoro, la salute, la scuola, la mobilità. L’agricoltura produce cibi sani, i servizi ecosistemici di cui sono naturalmente depositarie le aree interne consentono stili di vita più aderenti ad un equilibrato rapporto tra uomo e natura. Un rapporto da ricostruire, come ci sta insegnando la diffusione di questo moderno contagio.

Ripartire dai luoghi, dunque, con politiche placed-based, senza interferenze burocratiche, più snelle per i piccoli comuni, che riprendano il solido impianto originario della SNAI (Strategia nazionale per le aree interne) ma si liberino dei troppi passaggi, che mettano direttamente in comunicazione l’approccio bottom-up con quello top-down, rivedendo ad esempio il ruolo intermedio delle regioni che spesso, anche a detta del Ministro, si è rivelato un elemento di complicazione e di mediazione burocratica; ma anche il ruolo e il coordinamento dei Ministeri – aggiungo io – che in diversi casi hanno allungato in modo insopportabile le procedure per arrivare alla partenza delle strategie d’area.

Altri temi sono emersi nella conversazione amichevole e libera tra il ministro e il poeta, entrambi uomini delle aree interne, come quello della rigenerazione edilizia dei paesi legata allo stop al consumo di suolo con un’altra frase significativa di Provenzano: non costruire più, finché non si è recuperato il patrimonio edilizio esistente. Un invito al Parlamento affinché approvi la legge per contrastare il consumo di suolo. Recuperare i paesi, i loro centri storici, i fabbricati rurali… sarebbe un grande investimento nazionale, creatore di lavoro, di qualità, di bellezza.

Ma per vivere nei paesi delle aree interne servono soprattutto servizi, servizi essenziali, altrimenti nessuno tornerà. Non basteranno gli appelli di due archistar. Bisogna riconoscere valore alle comunità locali, premiare il coraggio di chi è rimasto e l’affetto di chi se ne è andato. Nell’ottica di un riposizionamento delle aree interne italiane, considerate come ambiente salubre e laboratorio di nuovi stili di vita, regioni come il Molise possono ritrovare una nuova centralità in vari settori, a partire da quello della sanità, cioè della necessità di ricostruire un sistema territoriale di servizi alla salute.

La pandemia ha infatti evidenziato la strettoia della rete ospedaliera, l’inadeguatezza delle politiche in questo campo e la necessità di rilanciare un sistema sanitario che riconosca una primaria importanza ai servizi socio-assistenziali sul territorio e alla loro integrazione con la sanità ospedaliera. Le strategie Snai già approvate prevedono una serie di azioni che vanno in questa direzione, quali infermieri di comunità, ostetriche di comunità, farmacie rurali come punti di servizio, reti di soccorso e altri servizi di prossimità, compreso un ripensamento del modello RSA per assistere gli anziani, valorizzando strutture e modalità diffuse in modo che i paesi diventino anche borghi della salute.

Nell’orizzonte della crisi epidemica, espressione della vulnerabilità del modello di sviluppo capitalistico e urbanocentrico, il raffronto tra la condizione delle aree cosiddette forti (urbanizzate, industrializzate, finanziarizzate, inquinate) e le aree interne del Paese (abbandonate, isolate, spopolate) ci dice che è tempo di cambiare rotta e di uscire finalmente dalla infelice dicotomia tra sviluppo sbagliato e sviluppo mancato, rimettendo al centro il territorio e i paesi con le loro comunità. Paesi vivi, dunque e non più soltanto patrie lontane ove tornare a visitare i propri morti o a coltivare ricordi.

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