Alto, ma stretto, basso, ma lungo

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Non è un indovinello, sono alcuni manufatti apparsi nel paesaggio rurale molisano nel corso degli ultimi cento anni. Essi con le loro caratteristiche dimensionali sono in contrasto con l’edilizia tradizionale delle nostre campagne. Si tratta prevalentemente dei silos che sono verticali e dei capannoni che sono orizzontali.

In genere le chiese che sorgono nell’agro non hanno campanili, ma semplici velette in facciata che sostengono la campana e le uniche eccezioni sono quelle delle architetture religiose annesse ai pochi conventi presenti in regione, affiancate da campanili come si vede a Canneto, S. Vincenzo al Volturno, S. Brigida a Civitanova del Sannio. Salvo questi ultimi e le torri di vedetta di origine medioevale (la Rocca di Oratino, la torre di Caselvatico a Cercemaggiore, ecc.) nel nostro territorio rurale non sono presenti strutture verticali. Pertanto dovette suscitare impressione il veder sorgere agli albori dell’industrializzazione corpi di fabbrica che si sviluppano in altezza nelle nostre campagne.

Le ciminiere degli stabilimenti per la fabbricazione di laterizi sono i primi elementi ad apparire, ovviamente dopo le torri campanarie e quelle difensive di cui sopra, nel paesaggio molisano, prendi quelle particolarmente elevate alla Taverna di Cantalupo e ad Isernia vicino alla confluenza tra il Sordo e il Carpino, ma anche meno alte come quella di Petrella prossima al corso del Biferno. Manufatti slanciati che, però, non si spingono molto in su perché devono essere caricate della “materia prima”, le pietre calcaree, dal di sopra sono le fornaci per la produzione di calce dalla forma tronco-conica di cui un esemplare ben conservato è adiacente alla stazione ferroviaria di S. Agapito che, perciò, è ben visibile da chi percorre la tratta Campobasso – Roma.

È da evidenziare che mentre i manufatti verticali moderni sono di tipo cilindrico, rastremandosi man mano che raggiungono la sommità, quelli precedenti hanno pianta quadrangolare (del resto campanili fatti da un cilindro sono rari qui da noi, probabilmente solo a Campodipietra e a S. Polo dove, in verità, è semicilindrico, ambedue affiancati alla chiesa parrocchiale, e neanche vi sono torrette isolate aventi il perimetro di base tondo).

Sempre cilindrici, ma accoppiati fra loro e, a volte, racchiusi in un involucro parallelepipedo (vedi La Molisana), sono silos a servizio delle attività molitorie di nuova generazione i quali sono pure alti: nelle campagne costituiscono segni imponenti (dalla Bifernina si scorge un gruppo di silos unitario nel territorio rurale di S. Martino in Pensilis particolarmente vocato alla coltivazione cerealicola), mentre in area urbana essi sono equiparabili per elevazione ai palazzi residenziali multipiano tanto che attualmente non si percepisce che il fabbricato per appartamenti distribuiti su 8 livelli collocato all’incrocio tra via Mazzini e corso Umberto a Campobasso era un tempo un mulino, di proprietà della famiglia Martino.

In altri termini, i mulini in città si notano meno che nelle zone agricole perché qui le case sono basse. I silos, va spiegato, sono dei grandi contenitori ad alimentazione verticale nei quali si introducono, appunto dall’alto, i cereali da sottoporre a molitura.

Rimanendo nel centro abitato, riscontriamo che in pressoché ogni paese, salvo che non vi siano alture all’interno del perimetro insediativo (come a Campobasso e Pietracatella) il serbatoio dell’acqua è sorretto da una torre in modo che la quota da esso raggiunta e di conseguenza il livello piezometrico sia tale da garantire l’approvvigionamento idrico di tutte le abitazioni; la loro configurazione che è a fungo è formata da due cilindri sovrapposti, il primo lungo e stretto, il secondo basso e lungo appoggiato sul primo.

Le eccezioni sono, per quanto riguarda la configurazione, quello in seguito abbattuto, di Vastogirardi di stile neoromanico per ambientarsi al luogo in cui è collocato, il castello (richiama una torre e, però, nel Molise solo a Carpinone e Torella le strutture castellane hanno torri che svettano sulle mura) e, per ciò che concerne la localizzazione, quello di Torella che è distante dal nucleo insediativo.

Unicamente quest’ultimo rispetta il tema che ci si è proposto di trattare e cioè le opere connotate da verticalità presenti nelle zone extraurbane, lo si ammette, ma ciò nonostante si è ritenuto necessario effettuare una breve panoramica sui serbatoi costruiti dalla Cassa per il Mezzogiorno per illustrare le caratteristiche tipologiche essenziali di tali manufatti.

Per completezza si segnalano tra le strutture verticali le torri per le telecomunicazioni, ad esempio quella di Montagano. Contrastano con i modi architettonici dell’edilizia rurale, specialmente dal punto di vista dimensionale, tanto le costruzioni che si sviluppano verticalmente tanto quelle che lo fanno orizzontalmente, quindi i capannoni, sia per la zootecnia sia per le iniziative produttive. Per quanto riguarda le fabbriche occorre evidenziare che nella fase della proto-industria alcune lavorazioni tendevano a disporsi su più piani e nella nostra regione il caso esemplare è quello del lanificio Martino di Sepino.

Qui l’energia che si sfruttava era quella idraulica per azionare i vari macchinari (della cardatura, della filatura, della tessitura). Le acque del vicino torrente Tappone mettevano in funzione una turbina ed il vortice che si veniva a determinare trasformato in moto rotatorio era trasmesso ad un albero verticale il quale si estendeva per tutti e due i livelli del fabbricato. Da questo albero la rotazione passava ad un albero posto orizzontalmente o meglio a due alberi ruotanti in orizzontale, uno per piano; a tali assi di trasferimento in direzione orizzontale del movimento mediante cinghie erano collegate le diverse attrezzature meccaniche.

Vi era, dunque, una fonte centrale di energia e per far sì che i macchinari non fossero troppo distanti da tale fonte era necessario che l’albero da cui si diramano i secondari che per primo veniva mosso dalla forza idrica fosse unico; da ciò ne deriva che i meccanismi dovessero essere posizionati su livelli sovrapposti. Tutto quanto ciò per evitare dispersione energetica. Nel medesimo periodo della prima industrializzazione, che è quella dell’archeologia industriale, si registra la compresenza di un modello opposto di edificio produttivo, questa volta con sviluppo in piano che si afferma nel campo della fabbricazione dei laterizi.

Ciò è determinato dall’introduzione di una nuovissima tecnologia, quella del forno Hoffmann, che rivoluzionò il sistema di produzione: era il calore dei carboni ardenti trasportato da carrelli su rotaie in un tunnel che si spostava per “cuocere” le cataste di mattoni “crudi” poste lungo il suo percorso così evitando che il fuoco si spegnesse e non più queste ultime che venivano allontanate e sostituite da altre dopo la cottura con la temperatura della fiamma scemata, come avveniva nelle vecchie fornaci di laterizio alimentate con legna.

Dunque, il volume allungato di tali stabilimenti deriva dal cammino che deve compiere il fuoco la cui gradazione rimane costantemente elevata. A Cantalupo è stato di recente ricostruito pure il livello superiore dove venivano lasciati ad essiccare i mattoni. Successivamente, negli ultimi decenni, gli opifici assumono una sagoma orizzontale a seguito dell’avvento dell’energia elettrica che viene distribuita secondo linee di trasmissione che vanno in senso orizzontale.

È la nascita del capannone, diffuso ovunque, il quale è sempre un’opera prefabbricata, cioè, non costruito “in opera”, composta da più moduli che si aggregano fra loro a secondo dell’esigenza dell’azienda con l’illuminazione che proviene dall’alto tramite le aperture a shed sul tetto. Infine, si riscontra un ulteriore tipo di struttura verticale su base quadrata che è quella delle cabine di conversione del voltaggio dell’energia elettrica trasformando la tensione, le più belle delle quali sono quelle affiancate alle centrali idroelettriche che assomigliano a campanili accostati alle stesse centrali che sembrano chiese, vedi S. Massimo.

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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