La piazza anche quando è vuota non è un vuoto
di Francesco Manfredi-Selvaggi
È uno spazio urbano lasciato appositamente libero dall’ingombro di costruzioni per permettere lo svolgimento di manifestazioni, di eventi politici e, in generale, per favorire la vita di relazione. Allora è più propriamente un pieno, un luogo in cui la comunità trova la sua massima espressione. Il caso di S. Massimo.
Se è vero che la componente della struttura urbana che resiste maggiormente al cambiamento è costituita dagli spazi pubblici, vedi la rete viaria, che le aree collettive rappresentano in qualche modo lo zoccolo duro dell’abitato, mentre le costruzioni edilizie sono soggette a modificazioni, sostituzioni, ecc. nel tempo, ciò non è più vero quando si verifica un terremoto.
Ogni ricostruzione successiva ad un sisma oltre che della riparazione dei danni ai fabbricati si è occupata della revisione dell’impianto urbanistico a cominciare da quello del 1456 quando a Campobasso il Conte Cola colse l’occasione per radere al suolo il quartiere che sorgeva ai piedi del suo maniero allo scopo di arroccarsi, per finire con quello di S. Giuliano dove si è avuta la realizzazione del Parco della Memoria.
A S. Massimo a seguito dell’evento tellurico del 26 luglio 1805 si procedette a demolire un intero caseggiato per fare una piazza; in “tempo di pace” gli insediamenti evolvono molto lentamente mentre in “tempo di guerra”, quello della calamità, le trasformazioni avvengono in modo rapido (in verità neanche tanto se ci vollero 70 anni per varare il piano dell’ng. Mazzarotta contenente il nuovo disegno dell’agglomerato abitativo).
Bisogna ricordare che è nella seconda metà del XIX secolo, lo stesso periodo del rifacimento dell’assetto insediativo di questo comune, che si mettono in moto grandi azioni di rinnovamento degli aggregati residenziali i quali, sostanzialmente, consistono in sventramenti all’interno della massa edificata e quali esempi illustri si citano, a livello nazionale, il Rettifilo di Napoli e, a quello europeo, i viali del Barone Hausmann a Parigi.
Tali eventi erano finalizzati al “risanamento” (così si chiamava la società partenopea preposta all’operazione) della situazione igienica creando vuoti per dare luce e aria alle abitazioni, cosa che, ovviamente, non è il fondamento dell’iniziativa sanmassimese perché non erano avvertiti in centri minori come il nostro simili problemi. In comune, comunque, in tutte queste realtà, grandi e piccole, vi è la volontà di migliorare l’aspetto estetico dei nuclei urbani, conformandolo alle tendenze artistiche del neoclassicismo.
Nel centro matesino le esigenze che hanno spinto alla formazione di questo luogo privo di costruzioni sono, in primo luogo, quello di liberarsi delle macerie piuttosto che consolidare i resti delle case e, in secondo luogo, di ordine monumentale e funzionale. Per quanto riguarda quest’ultimo c’è da dire che le piazze vere e proprie sono rarissime nei paesi molisani, in particolare quelle che sono frutto di un’apposita progettazione, mancando, per citare solamente entità urbane confinanti con quella in questione, a Boiano in cui piazza Roma è una sorta di villa comunale, mentre piazza Duomo è poco più che il sagrato della cattedrale, a Cantalupo e a Roccamandolfi dove, in entrambe la chiesa parrocchiale offre un lato, che è un muro cieco, allo spazio libero destinato a piazza.
Nell’Italia dei Comuni, invece, le piazze sono state sentite come autentiche attrezzature civiche in quanto punti di aggregazione che favoriscono le relazioni sociali se non la partecipazione alla politica. Tali funzioni sembra siano state assolte dalla piazza di S. Massimo perché qui si è sempre montata la cosiddetta cassa armonica su cui suona l’orchestra in occasione della maggiore festività cittadina, la festa della Madonna, si accende il tradizionale falò nella notte di Natale e ogni altro evento che coinvolge la comunità che, così, viene a riconoscersi in essa, assurgendo al ruolo di fulcro dell’insediamento.
Nella piazza si tengono i comizi elettorali e, quindi, è il posto che favorisce la democrazia, a tale proposito, va evidenziato che la piazza nasce in concomitanza con la nascita dei primi partiti popolari (si rammenta che il regime borbonico era di tipo assolutista); ciò è, di certo, positivo se nonché, occorre sottolinearlo, le donne erano escluse in quell’epoca dalle votazioni. Il potere del feudatario, figura che scompare nel 1805, passa alla cittadinanza e la sua sede, il municipio, si colloca nella piazza (il castello colpito dalle scosse sismiche, che sta decentrato con la piazzetta annessa, il Colle di Corte, non viene restaurato e non ci sarebbe stato, per quanto detto, il motivo).
Rimane forte l’autorità ecclesiastica e, del resto, la popolazione locale è stata sempre molto religiosa; c’è un risvolto fisico di questo grande peso della Chiesa nel sistema sociale ed è la posizione rialzata della chiesa principale rispetto alla quota della piazza sulla quale anch’essa prospetta, ricostruita dalle fondamenta dopo quel terribile terremoto (da 3 navate diventa ad unica navata). C’è un ulteriore attore con una parte decisiva sulla scena pubblica che è rappresentato dal ceto dei “galantuomini”.
Esso ha una notevole influenza sulla società sia perché composto da professionisti, notaio, medico, avvocato, ai quali, prima o poi, ogni persona deve rivolgersi sia perché sono i maggiori proprietari terrieri e l’economia in borghi rurali come S. Massimo girava tutta sull’agricoltura. Appellati con il titolo di ‘don’ costituiscono il notabilato che vuole manifestare lo status raggiunto anche attraverso la magnificenza delle proprie residenze. Una delle famiglie emerse all’indomani della fine del feudalesimo è quella dei Tortorelli il cui palazzo va ad occupare una porzione consistente di uno dei lati lunghi della piazza.
Se intendiamo quest’ultima come un palcoscenico teatrale in cui si rappresenta la vita del borgo, la “commedia umana”, la «casa palaziata», secondo il modo di dire di allora, dei Tortorelli per l’estensione della sua facciata ne forma uno dei fondali. Essi avevano lasciato l’avita dimora nel nucleo medioevale sottoposto, non solo figurativamente, al maniero feudale e si erano spostati a valle dove stanno edificando le residenze, sempre pretenziose, altre unità famigliari (Gioia, Maselli, Selvaggi, ecc,) appartenenti all’emergente classe borghese.
Sono fabbriche grosse che si contrappongono, non solo fisicamente, all’edilizia minuta della zona più antica del centro. La piazza funge da baricentro tra queste due distinte parti urbane, a servizio di entrambe, e, nello stesso tempo ha una sua autonomia, ha caratteri stilistici definiti che rimandano all’architettura colta (monumentali li abbiamo chiamati prima) per la sua pianta regolare, quasi rettangolare, la presenza di masse di simmetria che la attraversa partendo dal municipio e raggiungendo l’ingresso della chiesa-madre e poi c’è l’antico portale rivestito da buone appiattite in pietra e sormontato dallo stemma gentilizio dei Tortorelli tra gli elementi che partecipano a questo grande spazio comune.
Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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