Arte moderna in borgo antico, Casacalenda
di Francesco Manfredi-Selvaggi
In questo centro vi è la Galleria Civica di arte contemporanea dedicata al grande artista originario del luogo, Franco Libertucci, e il MAACK che, invece, è una esposizione all’aperto di manufatti artistici. Nasce tutto da un progetto di arredo urbano che si è trasformato in una grande iniziativa di disseminazione nel territorio di espressioni figurative di qualità.
Non c’è un museo di arte contemporanea uguale all’altro. Sarà perché è una categoria museale estremamente recente non è ancora arrivata ad una definizione compiuta della sua organizzazione spaziale. Siamo ancora nella fase di sperimentazione delle soluzioni architettoniche, ognuna diversa dall’altra. È in corso un processo che si immagina che sarà simile a quello che ha, a cavallo tra XIX e XX secolo, portato alla fissazione delle tipologie architettoniche delle nuove attrezzature urbane, dal carcere alla stazione ferroviaria, al mercato.
Il percorso è composto dalla messa a punto di modelli, in un certo numero, i quali sono rappresentati dalle realizzazioni concrete o ideazioni rimaste sulla carta a cui è seguito un vaglio critico consistito nella verifica dell’appropriatezza di ciò che si è costruito o progettato rispetto allo specifico tema, lo si ripete, tanto un’opera igienica quanto una culturale, pronta per essere replicata, magari con alcuni adattamenti, connessi a situazioni contingenti, all’infinito. Vale la pena aggiungere che alla base di tale operato vi è il pensiero di teorici settecenteschi che propugnavano il legame tra “forma” e “funzione”.
Esso è necessariamente biunivoco per cui ad una particolare esigenza funzionale, mettiamo l’esposizione di creazioni di arte contemporanea, deve corrispondere una precisa architettura e viceversa. Tutto questo, nel campo di cui ci stiano occupando, non è a tutt’oggi avvenuto come detto all’inizio, sarà perché tanti progettisti, a cominciare dalle archistar, concepiscono il museo piuttosto che un contenitore efficiente di espressioni artistiche, un’espressione artistica esso stesso.
Del resto è questo che chiedono loro gli stessi committenti ritenendo che il miglior veicolo pubblicitario di una raccolta di opere d’arte sia proprio la sua veste formale, l’involucro che la contiene, la cui immagine, perciò, deve essere accattivante. Le considerazioni espresse non valgono per ogni museo, specie per quelli che sono dedicati all’arte classica, la cui aura, in qualche modo, solenne striderebbe, a meno che non si tratti dei lavori dei Futuristi, con, di nuovo in qualche modo, l’aggressività della struttura edilizia (Pei nel Louvre, il tempio della classicità, è innovativo per via dei materiali utilizzati, l’acciaio e il vetro, ma la sua piramide è un solido geometrico che rimanda all’antico).
Le collezioni museali di opere dell’antichità, di età medioevale, di arte rinascimentale o neoclassica ben si prestano ad essere ospitate in palazzi, come si usa dire, d’epoca, mentre qualche perplessità la suscita la loro destinazione a musei d’arte contemporanea. A Casacalenda succede propriamente così perché la Galleria Civica d’Arte Contemporanea ha sede nel palazzo municipale che è del primo ‘900. Comunque, la collocazione delle opere è al secondo piano del Municipio (il terzo livello se si conta da via Roma e il secondo se, invece, lo si fa da via De Gennaro che è, poi, il vero ingresso della Galleria) il quale è il preesistente sottotetto recuperato nel restauro dell’edificio eseguito alla fine degli anni 80.
È da osservare che un soffitto è un luogo nella fantasia popolare carico di mistero essendo inabitato, destinato a conservare gli oggetti, non più utilizzati, di un tempo, qualcosa di non lontano dai prodotti artistici, almeno per il fatto che anche questi ultimi sono manufatti di alcuna utilità (corrente) e la finiamo qui su tale raffronto. Le mansarde sono efficienti specie quando hanno il solaio a vista che fa molto di rusticità o di archeologia industriale alla stregua di un’officina o di un deposito, se le dimensioni dei locali sono ampie, come si ha a Casacalenda.
La Galleria è ripartita in 3 vani i quali, è una caratteristica dei sottotetti, non hanno finestre (neanche a filo di falda, peraltro) e dunque per l’assenza di illuminazione diretta non avrebbero potuto avere destinazioni d’uso ordinario e ciò deve essere stata una delle ragioni che spinse l’amministrazione comunale a renderli disponibili per mostre, oltre che, ovviamente, la sensibilità culturale. L’assenza di aperture nelle pareti ha permesso di “appendervi” i quadri. I dipinti costituiscono, non certo per tale motivo, la maggioranza delle espressioni d’arte qui presenti, ma non mancano installazioni d’artisti, si noti non sculture, la cui presenza è consentita dalla larga superficie vuota disponibile negli ambienti, aspetto molto apprezzato nell’arte contemporanea.
La pittura, però, lo si rimarca, rimane la branca figurativa privilegiata, la più rappresentata. La generosità dello spazio in queste grandi sale non produce un effetto dispersivo e, anche per l’assenza di vedute verso l’esterno, è garantita la concentrazione di chi osserva pure in presenza di affollamento (negli eventi di richiamo). Si ritiene di dover evidenziare, per completezza, che in prossimità dell’entrata di monte, quella di via De Gennaro, vi è una corte coperta con copertura amovibile che si presterebbe, accanto all’usuale impiego per convegni, lezioni e conferenze (non per spettacoli perché la cittadina è dotata di un prezioso teatro comunale), all’effettuazione di happening tenuti da performer nei quali il pubblico è chiamato a partecipare all’azione dell’artista, basta liberare in tali occasioni questo ex cortile dalle sedie.
Il museo non è solo conservazione di oggetti. In definitiva, l’area assegnata alla Galleria è abbastanza informale e di conseguenza non riesce a intimidire le persone, al contrario dei musei “ufficiali” siti in immobili di livello (in verità pure questo lo sarebbe se non fosse che la raccolta occupa il terzo “livello”, il soffitto), che diventano un’aulica casa delle muse.
Riprendiamo ora la questione, per arrivare a delle conclusioni, con la quale siamo partiti, quella della ricerca tipologica che meno si è spesa, è bene sottolinearlo, nello studio dell’adattabilità di fabbricati esistenti all’uso quale sede museale; l’esperienza di Casacalenda sembra dimostrare che ciò è fattibile anche perché, in effetti, un museo, ridotto all’osso (quindi senza bookshop, caffetteria o non so che), è, dal punto di vista distributivo nel senso di espositivo nella versione minimale, un problema progettuale facile da risolvere, non essendovi speciali vincoli funzionali da rispettare.
La visita al museo è, in effetti, un percorso da compiere: l’allineamento delle stanze della nostra Galleria o un corridoio, specialmente quando si tratta di una quadreria (ad es. il Corridoio Vasariano), sono il cosiddetto minimo sindacale. Percorso che prosegue a Casacalenda al di fuori del palazzo civico per vedere opere che sia perché site specific sia per la loro grandezza non possono essere contenute dentro; un’autentica teoria di opere, 20, si sviluppa nel centro abitato e financo in campagna per merito di quella ormai trentennale iniziativa di contaminazioni urbane di Kalenarte la quale si associa all’istituzione del Museo all’Aperto di Arte Contemporanea (MAACK).
Francesco Manfredi Selvaggi633 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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