Parco della memoria, condivisa
Sorge a S. Giuliano di Puglia, nel sedime della Scuola Iovine. È la sede della memoria collettiva del Molise. Il bianco che domina la composizione rimanda alla purezza. È, autenticamente, la sua visita un processo di purificazione. È un luogo sgombro da oggetti, appunto, ingombranti, ma nello stesso tempo non è un vuoto perché pullula di vita, i tanti steli luminosi che ondeggiano ad ogni stormir di vento, proprio come i nostri pensieri.
Ci sono 1.000 steli luminosi che richiamano figurativamente i giunchi solo che in testa hanno una piccola lampada a led. Queste aste che hanno forma tubolare hanno uno spessore minimo, appena un centimetro, e dunque sono davvero sottili assomigliando alle cannucce di un canneto, uno che sta ai piedi della diga di Occhito, non proprio quello.
Possono oscillare molto perché fatte di un materiale, il poliestere rinforzato, davvero elastico; proprio per la loro elevata elasticità esse si possono flettere molto senza subire deformazioni permanenti, tali cioè da non recuperare l’assetto iniziale pure dopo essere state piegate in maniera decisa, né rischiano di rompersi, magari a seguito di una fortissima raffica di vento.
Inoltre hanno la medesima altezza il che rende questa distesa di steli simile, pure, ad un campo di grano maturo, elemento dominante, insieme agli ulivi, nel paesaggio dell’area all’inizio dell’estate quando l’anno scolastico termina. I giunchi obbediscono al vento, si chinano al suo passaggio, non fanno niente per arrestarlo come, invece, tentano gli alberi che con le loro chiome cercano di catturarlo, imbrigliandolo tra le foglie.
La strategia dei giunchi sembra essere quella di abbassarsi al passaggio della folata, quasi schivandola, per poi prontamente rialzarsi e riprendere la postura che avevano prima. Essi quando sono battuti, o, l’immagine che si è suggerita, abbassati per evitarlo, dal vento, nella direzione in cui soffia, all’unisono, dunque in modo corale, allorché questa spinta si esaurisce, ognuno dei giunchi va, per così dire, per i fatti suoi, inflettendosi differentemente l’uno dall’altro, chi di qua chi di là.
Complessivamente il loro movimento assomiglia ad un’onda che, continuando la metafora marina, è più o meno alta a seconda dei nodi del vento. Quando l’aria è calma gli steli, ovviamente, rimangono immobili, mentre in presenza di ventosità lieve essi compiono delle leggere oscillazioni ed è questa, per la sua morbidezza, la visione che ci piace di più, ispirando melanconia al ricordo delle vittime del sisma. Lo scuotimento, invece, degli steli, da parte di venti impetuosi richiama alla mente e al cuore la drammaticità di quell’evento calamitoso.
Gli steli perché sono allo scoperto non hanno alcun riparo contro le forze della natura e, si potrebbe aggiungere, contro le barbarie delle civiltà contemporanee e ciò ne fa un po’ l’emblema della condizione umana sintetizzata da Kant con la frase «cielo stellato sopra di noi». Le lucine che come abbiamo detto al principio sono posizionate in cima agli steli sono accese pure di giorno, ma la loro performance è migliore nelle ore serali e notturne. L’ondulazione degli steli, con lo spostamento continuo del punto luce, le fa assomigliare a lucciole le quali si illuminano a intermittenza.
Di notte, in particolare, esse risaltano maggiormente, rendendosi assai visibili ed è questo il momento più suggestivo; si ha, in presenza di una brezza di vento, la visione di una massa unica in movimento pur nelle sue individualità, che ritma lo spazio creando un micropaesaggio distinto dal resto del paesaggio urbano. Si è parlato di giunchi che, però, qui sono elementi artificiali, quasi una versione futuristica delle piante che formano il giardino tradizionale. Negli interventi di sistemazione paesaggistica finora nel Molise non si era mai visto niente di simile.
Da questo giardino, salvo che in un piccolo lembo, la natura è stata completamente esclusa e ciò ne fa un memoriale per coloro che sono periti a causa del terremoto, piuttosto che un parco come pure viene indicato nella sua intitolazione. È simile ad un monumento che è caratterizzato da fissità evocando la perennità della memoria e, dunque, poco a che vedere con un giardino il quale, al contrario, è connotato da mutevolezza sia nel ciclo delle stagioni con le essenze vegetali, se non sempre verdi, vedi i cipressi nei cimiteri, altro luogo della memoria, che “cambiano pelle” sia nel corso degli anni in quanto in biologia le specie crescono, si riproducono (non nei giardini, nei vivai), decadono e infine muoiono e vanno sostituite.
Per completare l’allestimento di un giardino ci vuole tempo dovendo attendere che quello che si è impiantato o trapiantato si sviluppi, è la dinamica del mondo naturale. Il Parco della Memoria è stato realizzato (inaugurato nel 2011 dopo 9 anni dalla scossa tellurica) in un arco temporale ridotto, non ha dovuto rispettare le regole dell’ecologia essendo gli steli, i quali hanno sembianze biomorfiche perché simboleggiano i giunchi, costituiti da materiale sintetico. Non si sta mettendo a confronto, lo si sarà capito, natura e artificio quanto piuttosto l’effimero con il duraturo.
In effetti, la natura è la vita, si pensi solo agli uccelli che si posano sui rami degli alberi e che quando cantano allietano l’intorno, in contrapposizione al memoriale che non è frequentato dall’avifauna trattandosi di un ambiente artificiale. Manca nel Parco della Memoria la presenza dell’acqua, né trattenuta in pozzi, né fluente in fontane o canali o in cascatelle (le rampe con le terrazze che articolano la composizione del Parco lo potrebbero suggerire), componente classica dei giardini il cui scorrere, ma anche il rispecchiarsi delle nuvole sulla superficie degli stagni, conferirebbe vivacità alla scena oltre che a richiamare una componente fondamentale dell’ecosistema.
Si è scelto, sempre per la volontà di artificializzare il sito, di pavimentare il suolo e non di premettere la formazione di un manto erboso, viceversa, di stendere semplicemente uno strato di ghiaino. Le considerazioni espresse circa le differenze tra naturalità e artificialità non sottendono alcun giudizio di valore che stabilisca quale sia migliore tra l’uno e l’altro orientamento nella progettazione dello spazio, ma sono finalizzate, attraverso l’esame delle differenze, a far emergere le peculiarità, per quel che qui ci interessa, del Parco della Memoria.
Esso va assunto quale memoriale e, perciò, quale monumento la cui essenza peculiare è quella di essere oggetto di contemplazione. In altri termini, esso è nato per essere ammirato principalmente dall’esterno e tale lettura è avvalorata dall’assenza di barriere visive al contorno come si conviene ad un’opera celebrativa e, nel nostro caso, commemorativa. È consentito, anzi invogliato, nel contempo la frequentazione all’interno che, necessariamente, diventa un’esperienza individuale, non collettiva poiché lo spazio è compartimentalizzato in lunghi corridoi delimitati dai giardini, pardon steli.
È un posto di riflessione, per alcuni aspetti addirittura austero, che sollecita alla meditazione. Le persone che lo visitano spontaneamente parlano a voce bassa o stanno in silenzio, evitando gli assembramenti; nello stesso tempo si sente vibrare qualcosa, non il fruscio degli steli mossi dal vento, in quanto è dentro sé stessi che è la speranza di vita.
Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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