Camminare sul tratturo con il passo napoletano
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Secondo l’antica misura della Scala Napoletana il tracciato tratturale era largo 60 Passi. Anche la lunghezza veniva calcolata in base alla capacità degli esseri viventi, tra i quali vi sono, evidentemente, anche le pecore, di percorrenza e quindi in numero di giornate di cammino. Un cammino, peraltro, diritto perché i tratturi sono per lo più rettilinei.
Nel misurare quanto sia lungo un tratturo prima si usava la “scala napoletana”, il modo applicato fin dall’origine, cioè quando Alfonso d’Aragona nel 1456 diede una formalizzazione compiuta alla transumanza la quale si svolgeva da epoche remote in maniera, per così dire, spontaneistica. Solo in seguito, con le Reintegre resesi necessarie per evitare l’occupazione dl suolo tratturale all’indomani della fine di questa antichissima tradizione sancita nel 1805, venne adoperato nelle misurazioni il sistema metrico decimale.
La differenza è rilevante in termini puramente numerici tanto che la sezione trasversale del tratturo diventa da 60 (passi napoletani) 111 metri, cioè raddoppia. Un passo equivale a 2 metri per cui lo si può intendere un multiplo del metro. Impiegando quest’ultimo e non il passo napoletano la definizione della larghezza del tracciato tratturale è, evidentemente, più precisa. C’è pure da dire che i passi hanno, di necessità, una estensione aleatoria in quanto equivalgono alla falcata (in verità molto grande) di un uomo e gli uomini non hanno tutti le stesse gambe.
Il sistema metrico è, inoltre, più accurato perché accanto alle unità prevede le decine (è appunto decimale) e così via (le centinaia, le migliaia, ecc.) consentendo una scansione migliore dello spazio. Che in passato per determinare le distanze si facesse riferimento a criteri umani, antropometrici, come sono i passi e non asetticamente scientifici, la geometria, è confermato anche dal fatto che per stabilire la lunghezza, finora abbiamo parlato della larghezza, del tratturo, o meglio di un suo tratto, ci si serviva della giornata di cammino, superando anche il metodo di calcolo di passi; si aveva, in definitiva, una equivalenza della dimensione spaziale con quella temporale, anticipando così il concetto di spazio-tempo caro alla scienza moderna.
Anche nei documenti ufficiali era presente, per identificare quanto fosse esteso un percorso, il numero di giorni necessari per compierlo. Ritorniamo, però, all’ampiezza, da lato a lato, del tratturo la quale non può essere sempre identica lungo il suo svolgimento che è lunghissimo, ma può subire variazioni in presenza di una rupe adiacente ad esso, un corso d’acqua che lo costeggia o qualche altro fattore morfologico. Data l’imprevedibilità dell’incontro di ostacoli che “erodono” in certi punti i bordi del tratturo è preferibile la scala napoletana che è un po’ più grossolana, ma ha maggiore tollerabilità rispetto al sistema metrico che non ammette margini di scarto nelle misure (la taglia dei vestiti e quelli di sartoria, su misura).
Non è una questione di tipo topografico quella che abbiamo affrontato fino ad adesso magari finalizzata a fissare i confini del suolo tratturale e quindi della proprietà demaniale, bensì si ritiene fondamentale per capire l’essenza stessa del tratturo. Esso non è solo una pista per raggiungere i pascoli alternativamente di pianura e di montagna perché è di per sé una superficie pascoliva. Le greggi impiegano circa 1 mese nell’andata dall’Abruzzo alla Puglia e viceversa e durante tale periodo, è scontato, hanno bisogno di mangiare, di brucare l’erba la quale non è presente in modo uniforme lungo il tragitto.
Dove l’erbaggio è limitato gli animali non si fermano e ciò avviene in ispecie quando il terreno è ripido con il cotico superficiale che si è assottigliato a causa del ruscellamento delle acque piovane che porta via le particelle di terra dello strato pedologico, qui il tratturo può essere stretto fungendo da mero corridoio di transito. Succede così anche nel momento che attraversa un bosco (vedi Morgia Campanaro a Trivento). Al contrario è opportuno che il tratturo occupi per intero la striscia catastale ad esso assegnata nelle mappe della Dogana della Mena delle Pecore, evitando che gli venga sottratto, usurpato, un pezzo, allorché la pastura è abbondante.
Da quanto si è esposto si deduce pure che il disegno della pista tratturale non è in funzione solamente del trasferimento degli armenti da un luogo, i monti abruzzesi, all’altro, le piane pugliesi, nella minore quantità di giorni, poiché conta anche la qualità degli ambiti che attraversa, se erbosi o meno, lo si ripete per l’alimentazione degli animali. Riflessioni analoghe vanno fatte anche per le fonti di approvvigionamento idrico, scarse sul Tavoliere che è arido.
Di ragionamento in ragionamento, lo si ricorda siamo partiti da come si misura l’area tratturale, siamo giunti al tema, avendo lasciato definitivamente quello della dimensione più corta del tratturo quella intercorrente tra i lati opposti del suo sviluppo longitudinale. Rispetto alla vocazione intrinseca della rettilineità dei tratturi, ora si aggiunge che tale esigenza deve essere mediata oltre che della presenza di prati sufficienti per la nutrizione delle bestie, pure da quella di evitare punti critici, dal ciglio di un burrone allo scavalco di un torrente con l’alveo profondo ad una zona in frana.
Esprimendosi diversamente, il tratturo, tendenzialmente dritto, è costretto ad adattarsi alla morfologia del territorio. Il nastro tratturale nello srotolarsi dall’alto, i massicci montuosi del Gran Sasso e della Maiella in particolare, verso il basso, il Tavoliere, cerca di seguire una linea retta sia per minimizzare i chilometri da percorrere sia per far presto, cose che, ad ogni modo, non vanno costantemente a braccetto. Infatti, è possibile che in quella direttrice ci si imbatta in versanti assai acclivi che rallentano l’incedere delle pecore e che, perciò, vanno bypassati con allungamento del chilometraggio sì, ma diminuzione del tempo complessivo.
Non è che, comunque, i tratturi abbiano molti margini di scostamento dalla rotta prefissata nello schema generale della rete tratturale, dovendo toccare un angolo determinato della Capitanata al confine con il Molise; è un’immagine suggestiva, perciò la si propone, quella della maglia dei tratturi che innerva la nostra regione, che viene a formare un ventaglio avente quale perno il ponte della Zittola e che si ribalta, pressoché specularmente, in territorio pugliese convergendo tutti i tratturi verso Foggia.
I tratturi sono nati secondo la volontà di Alfonso il Magnanimo per ridurre la pastorizia vagante e favorire, in tale modo, l’affermazione delle enclosure, cioè la chiusura dei campi coltivati, la quale era cominciata ad apparire nelle campagne inglesi già due secoli prima e che favorirà lo sviluppo dell’economia capitalistica che si basa sulla proprietà privata, nemica del possesso indiviso delle terre nelle quali si pratica il pascolo.
Francesco Manfredi Selvaggi633 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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