Molise: quale futuro?

Riceviamo e pubblichiamo questo contributo di Nicolino Civitella

Il rischio di estinzione che incombe da tempo sulla Regione Molise, nell’ultimo decennio si è fatto sempre più consistente e concreto, e la recente pandemia lo ha ulteriormente accentuato.

Gli articoli e manifesti che, al riguardo, con sempre maggior frequenza appaiono su questo sito, sono una testimonianza eloquente di quanto si sia elevato il livello di allarme. Essi rappresentano una sorta di cahiers di denunce ed auspici dai quali è possibile individuare alcune comuni linee di fondo.

Innanzitutto una valutazione negativa del modello di sviluppo che ha connotato gli anni della modernizzazione. Ad esso si attribuisce la responsabilità di aver emarginato le risorse umane e produttive endogene (il riferimento è alla politica dei poli industriali e alla marginalizzazione del settore agricolo) e di aver favorito uno sviluppo patologico dei servizi pubblici, nonché un rapporto tra potere politico e realtà economico-sociale fortemente contaminato dal clientelismo.

La disillusione seguita alla crisi di quel modello, sollecita un radicale cambiamento di rotta che ripropone come cardine dell’economia regionale il settore agricolo, poiché ritenuto più consono alle potenzialità di sviluppo del territorio. In fondo la regione dall’unità nazionale e fino a metà Novecento è rimasta sempre ben salda ai primissimi posti per gli indici di ruralità.

Insomma un ritorno all’antico, in un contesto tuttavia rinnovato sia sotto il profilo tecnologico sia sotto quello produttivo.

In tale rinnovato contesto il settore può essere incoraggiato a riconversioni colturali, a far leva sul biologico, a potenziare le proprie filiere sia nel comparto dell’agroalimentare sia in quello del turismo, le quali, a loro volta, possono ricevere ulteriore impulso se combinate con i giacimenti culturali, archeologici e architettonici, presenti sul territorio regionale.

A tutto questo si accompagna l’auspicio di una scuola meglio strutturata sul territorio, di una sanità che privilegi la gestione pubblica e garantisca qualità nelle prestazioni, della realizzazione della banda larga, di un miglioramento della viabilità interna, di una università strettamente connessa alla realtà sociale e produttiva del territorio, di un rapporto tra potere politico e realtà economico-sociale all’insegna dell’interesse comune.

Non si fa fatica a rinvenire nel progetto che emerge da tali linee, la suggestione demasiana della città -regione.

Il soggetto politico chiamato a governarlo? Un soggetto progressista che sia espressione di un nuovo blocco sociale composto da forze produttive, culturali e sociali interessate al cambiamento auspicato. Indubbiamente il progetto ha una sua logica e trova conforto in motivazioni che hanno un loro fondamento. Tuttavia a me pare che abbia il limite di eludere alcuni nodi di fondo ai quali non si può sfuggire.

Il Molise ha un problema di decremento demografico drammatico: le proiezioni Istat danno per il 2065 una previsione mediana di 234.039 abitanti. Con una simile previsione il tema del decremento demografico diventa di assoluta priorità per la Regione e con esso le strategie occupazionali da mettere in campo per invertirne l’andamento.

La questione può essere affrontata secondo due percorsi alternativi. Il primo è quello di ipotizzare preventivamente un tetto demografico da raggiungere e poi mettere in campo le strategie utili a conseguire l’obiettivo; il secondo prescinde da ogni ipotesi preventiva di tetto per limitarsi a promuovere l’incremento occupazionale, raccogliendo l’incremento demografico che ne deriva.

Il primo percorso ha senso solo alla duplice condizione che si ritenga il tetto imprescindibile e che si voglia (e ad un tempo si possa) far ricorso ad insediamenti produttivi di origine esterna; diversamente ci si può limitare al secondo percorso. In entrambi i casi tuttavia si rendono necessari approfondimenti analitici dei comparti economici sui quali si intende operare, al fine di indagarne le capacità espansive sotto il profilo produttivo e occupazionale da cui poi consegue l’incremento demografico.

Nell’occasione sarebbe opportuno anche condurre un’approfondita riflessione sulle ragioni che hanno portato al fallimento delle filiere agricole introdotte negli anni dell’espansione economica: quella bieticolo-saccarifera, la conserviera, l’avicola, poiché potrebbe aiutare a comprendere più a fondo il nostro tradizionale mondo rurale e a cogliere con maggiore puntualità la dimensione delle potenzialità espansive che oggidì il settore agricolo e connesse filiere possono sviluppare.

Quanto al rapporto tra potere politico e realtà economico-sociale, ci sono almeno due osservazioni da fare. La prima è che una rappresentanza politica di tipo progressista non ne garantirebbe automaticamente l’auspicata trasparenza, poiché la ragione dell’inquinamento di tale rapporto risiede non nella volontà della rappresentanza, bensì nel generale contesto socio-economico e culturale il quale è connotato da una eccessiva polverizzazione demografica e da una marcata fragilità del tessuto economico- sociale. Condizioni queste le quali né consentono l’insorgere di una dialettica tra interessi economico-sociali contrapposti, né conseguentemente favoriscono lo sviluppo di un’autentica dialettica politica, col risultato che nel rapporto tra rappresentanza politica e realtà socio-economica, si tende a privilegiare non l’interesse collettivo bensì quello individuale, attraverso il ricorso a pratiche di tipo clientelare.

La seconda osservazione concerne la costituzione di un’adeguata rappresentanza di natura progressista. Per conseguire lo scopo si dovrebbe ipotizzare una formazione politica del tutto nuova, oppure bisognerebbe puntare sulle tradizionali forze politiche che si collocano in un orizzonte di progressismo nazionale? Questioni certamente non semplici, mi pare, e dunque non risolvibili in un quattro e quattr’otto.

Riguardo all’università, ribadisco la mia idea, già espressa in qualche altra occasione, della opportunità per l’Unimol di tracciare un bilancio della sua ultratrentennale presenza sul territorio.

Chiudo queste note con l’auspicio di recare un contributo che alimenti ulteriormente il dibattito in corso sulle prospettive della nostra regione.

0 Comments

Lascia un commento

Login

Welcome! Login in to your account

Remember me Lost your password?

Lost Password