Città e parco, Napoli e Matese
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Le aree protette sono, a volte, delle autentiche filiazioni delle metropoli. Antropologicamente parlando rispondono ad un’unica logica, quella di separare il territorio in parti. C’è un legame tra queste due cose verificabile proprio analizzando il rapporto tra la capitale della Campania e il complesso montuoso matesino. Il Matese è, in qualche modo, sovrabbondante per il Molise data la sua scarsa densità demografica per cui senza il coinvolgimento dei napoletani questa importante risorsa ambientale sarebbe “sprecata”, non valorizzata a pieno. I suoi beni verrebbero gustati da pochi.
Esiste un indice che si chiama indice di fruizione utilizzato per analizzare l’intensità di “sfruttamento” o di utilizzazione di un’area protetta, misurato sulla base del numero di persone che la frequentano, che, appunto, ne fruiscono. È un indicatore, in verità, che non intende verificare la quantità effettiva di gente che ne usufruisce in rapporto alla sua superficie, ma quella che, potenzialmente, potrebbe essere interessata a goderne il suo patrimonio naturale e, quindi, è un indice cosiddetto potenziale.
Per quanto riguarda la nostra regione, nella quale l’area inclusa in parchi (del Matese e d’Abruzzo) e riserve (quella di Casacalenda, l’ultima arrivata, quella di Guardiaregia-Campochiaro e quella del torrente Callora) è in percentuale di estensione simile a quella delle altre regioni e nella quale, però, la popolazione rispetto al territorio è percentualmente inferiore a quella del resto delle realtà regionali, cioè la densità abitativa è minore, l’indice sopraddetto è molto basso.
Se, invece, si considera, parlando del Matese che è a confine tra Molise e Campania, il numero complessivo degli abitanti di ambedue queste regioni l’indice in questione sale, e di molto, data la elevata consistenza demografica della Campania. Riferendoci ai parchi nazionali pur se volessimo suddividere in tre quote i residenti della Campania in quanto qui vi sono tre parchi nazionali, il Vesuvio, il Cilento e il Matese, sarebbe sempre assai alto il quantitativo degli utenti teorici del massiccio matesino.
Se restringiamo la visuale e ci limitiamo alla città di Napoli, questa volta spostando l’attenzione sulla particolare tipologia di parchi nazionali costituita dai parchi “appenninici”, vediamo che l’offerta in un raggio di distanza non eccessivamente lungo è ristretta al Parco Nazionale d’Abruzzo e a quello, nascente, del Matese. Tra i due il più vicino al capoluogo campano è il secondo per cui è da ritenere che gli amanti dell’Appennino si riversino sul secondo.
In definitiva, se si fa conto solo sui molisani l’indice di fruizione ha un valore ridotto, mentre se si aggiungono i campani esso diventa in termini numerici considerevole; bisogna, comunque, aggiungere per determinare in maniera corretta tale indice anche i pugliesi, almeno quelli della provincia di Foggia, i quali non hanno alternative relativamente ai parchi montani nelle vicinanze. Ciò che ci interessa mettere in evidenza all’interno delle cose che abbiamo detto è il rapporto tra il Matese e Napoli il quale è significativo del legame che intercorre, in nuge, e che si spera si rafforzi nel futuro sempre di più, tra quanto c’è di maggiormente naturale e quanto c’è di più artificiale (è il terzo agglomerato urbano per popolosità d’Italia).
Sono il parco e la città entrambi espressioni culturali, costruzioni della civiltà umana in un determinato luogo, l’Occidente (anche l’America è a Ovest), e in una determinata data, più remota quella della nascita della polis e abbastanza recente quella dell’idea di parco. Non esistono ab origine. Fenomeni che non dobbiamo dare per scontati, neanche la città pur essendo una cosa assai datata è, ad ogni modo, la sua concezione, un fatto storico, della quale si può ricostruire l’epoca della comparsa, niente a che vedere, pertanto, con entità, modi di concepire il consorzio civile che si sono originati nella notte dei tempi, quasi fossero dei connotati intrinseci della nostra specie, connaturati con l’uomo, con il suo stare al mondo.
Medesimo discorso si può fare per il parco che risale, il primo realizzato, ad un periodo molto più vicino a noi, a meno di due secoli fa. Bene, dopo aver storicizzato queste due creazioni antropiche, la città e il parco, passiamo a metterle in relazione fra di loro. In età contemporanea alcune città, tra cui quella partenopea, sono evolute in megalopoli le quali sono fortemente contrassegnate da congestione, inquinamento e, di conseguenza, invivibilità e la formazione di parchi, specie quelli prossimi a tali realtà, appare come un tentativo di bilanciamento della qualità di vita, offrendo la possibilità di trascorrere dei momenti a contatto con ambienti incontaminati, a metropoli con l’aria sempre più irrespirabile, l’assenza di verde, l’eccessiva concentrazione di automobili causa di disturbo acustico, la produzione di rifiuti difficili da smaltire, la scarsa sicurezza pedonale.
Tra le motivazioni che devono aver spinto a istituire il parco del Matese vi è, di certo, pure quella che esso può rappresentare una valvola di sfogo, un’occasione di disintossicazione per i napoletani. Non è l’unica ragione, sicuramente, e forse non è quella decisiva, ma è ipotizzabile che sia stato il cosiddetto colpo di reni che ha permesso di vincere l’annosa lotta condotta dalle associazioni ambientaliste (specie del versante molisano) per giungere al riconoscimento del Matese quale area protetta; ciò è probabile, si insiste, che abbia avuto un peso nella decisione governativa della fondazione del parco (per ora sulla carta, ovvero sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica).
Indubbiamente, hanno influito maggiormente le questioni della tutela delle valenze naturalistiche di tale montagna e quanto si è esposto va considerato come argomentazioni aggiuntive, secondarie per certi versi e sostanziali in altri, nell’ottica della distribuzione delle funzioni urbane in un ambito territoriale di dimensione adeguata, assegnando ai comprensori montani la destinazione di zone, come si fa nella zonizzazione urbanistica, per la ricreazione.
Di qui l’attenzione che si è posta all’inizio sull’indice di fruizione il quale ci permette di capire se vi sono spazi sufficienti per la comunità insediata in una definita porzione della Nazione per la fruizione del tempo libero all’aperto in un luogo di valore ecologico qual è un parco nazionale. Abbiamo visto, riassumendo, che il predetto indice ci mostra una sovrabbondanza di terreno “vergine” utilizzabile per passeggiate, ammirazione di panorami, ecc.
nel Molise che anche in questo riguardo, si rivela una regione con standard ambientali al di sopra della media. In conclusione si sottolinea, lo si è già fatto sopra, che città e parchi sono tutte e due “invenzioni” della società e sono le componenti della civilizzazione più prossime; vanno proprio a braccetto quando gli aggregati abitativi si espandono, esplodono, richiedendo la presenza di aree protette per riequilibrare qualitativamente il sistema insediativo. Si precisa, infine, che ciò non vale per tutti i parchi, solo per quelli non molto distanti dalle realtà metropolitane.
Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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