In piazza, ma anche sul corso, ad Isernia
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Vi sono una serie di piazze lungo i 2 corsi principali della città, l’uno prosecuzione dell’altro, corso Marcelli e corso Garibaldi, a formare una sequenza serrata. La principale piazza, quella della cattedrale, insiste lì dove vi era il foro del municipio romano.
Da corso Marcelli che, in definitiva, è poco più di un vicolo, tanto è stretto si sbuca sia provenendo da un capo sia dall’altro del centro storico all’improvviso nella ariosa piazza del Mercato. Vi è un forte contrasto tra l’ombra che, salvo a mezzodì, caratterizza questo percorso viario per via delle schiere edilizie che lo delimitano disposte l’una a oriente, in direzione della Strada Orientale, e l’altra ad occidente, verso la Strada occidentale, con la luce che riempie il vuoto della predetta piazza.
Sarebbe una vera sorpresa se non uno choc quella di imbattersi senza preavviso, per così dire, in questo spazio aperto se non fosse che la sua presenza viene annunziata da lontano dal campanile di S. Pietro che è perfettamente in asse con il corso. La torre campanaria proprio per la sua assialità con il corso Marcelli è un passaggio obbligato costringendo chi lo percorre a transitare sotto l’arco che lo sorregge. Non vi sono percorrenze alternative per evitare di attraversare la piazza. Il campanile è posto lì per scavalcare la strada e per congiungere la cattedrale cui è affiancato l’episcopio con il seminario (trasformato tanto tempo dopo in sede universitaria).
Quest’ultimo rappresenta, figurativamente, l’allargamento dell’insula ecclesiastica dal momento che il Concilio di Trento rese obbligatori i seminari, pur se lo stabile è preesistente a tale riforma. Data la consistenza e la pregnanza architettonica delle opere religiose che occupano tutto un lato della piazza essa appare subordinata a queste, un po’ come un sagrato, però, assai grande. Non era così in età antica perché il foro, sul cui sedime insiste l’attuale piazza, aveva una valenza autonoma rispetto al templio che vi prospetta e sul cui podio, rimasto ben visibile da un lato, poggia la cattedrale.
A bilanciare l’immagine della piazza, altrimenti tropo sbilanciata a favore della istituzione religiosa, assumendo un carattere troppo, per così dire, curiale, è stato costruito nel II dopoguerra, eliminando un edificio danneggiato dal bombardamento, la sede del Genio Civile, un’istituzione laica, che occupa un fronte corto della piazza (da quello opposto è possibile ammirare la catena delle Mainarde, un vero e proprio belvedere). In definitiva la presenza di un luogo di preghiera in questa piazza è fondamentale, confermando una continuità di culto che è millenaria (messa in luce da ricerche di archeologia urbana), ma questo non significa, di certo, che tale luogo è un corredo della chiesa.
C’è una continuità pure nella sua destinazione a mercato essendo il foro dedicato anche agli scambi commerciali oltre che all’incontro. La cattedrale prospetta sulla piazza, la quale si chiama significativamente piazza Mercato, con un protiro, un portico neoclassico nel nostro caso, questo sì spazio sacro, funzionale alle celebrazioni religiose, che si contrappone allo spazio “profano”, quello delle bancarelle (la sua presenza inibisce gli schiamazzi dei frequentatori, peraltro).
Il distanziamento è ottenuto anche tramite alcuni gradini che separano il piano della pavimentazione della cattedrale da quello della piazza; altri gradini sono quelli che congiungono la piazza con il portico del Genio Civile il quale anch’esso tramite la gradonata vuole assicurare la propria dignità impedendo che venga scambiato per uno di quei porticati al di sotto dei quali si espongono merci nei giorni di mercato. Questa piazza descritta lungamente, perché è la più importante, non è, è evidente, l’unica di Isernia.
La precedono partendo dall’inizio di corso Marcelli che è, se si esclude l’ospedale e una piccola frangia periferica, il limite inferiore (nel senso di più basso) dell’abitato alcuni slarghi adiacenti a strutture conventuali. Appena fuori del perimetro del nucleo antico vi era quello di S. Pietro Celestino e, a salire, quello di S. Maria delle Monache, quindi femminile, e poi di S. Francesco, complementare all’altra perché maschile. Questi conventi sono collegati a chiese affacciate all’esterno e specialmente quelle annesse agli ultimi due sono di particolare rilievo architettonico.
La potenza non solo spirituale di queste congregazioni ecclesiastiche, la quale la si coglie dalle stesse dimensioni dei monasteri, condiziona la configurazione dello spazio urbano nei loro pressi imponendo la presenza di una piazza incentrata sull’edificio cultuale di pertinenza. I Celestiniani e i Francescani (traslocati nell’ultimo dopoguerra nella zona di espansione urbanistica novecentesca perché la sede originaria oggi ospita il Comune) sono ordini mendicanti e quindi si mantengono chiedendo la beneficenza per cui devono trovare posto dentro agglomerati urbani popolosi, di solito in periferia come succede qui.
Le monache di S. Maria, appunto, delle Monache, sono Benedettine, ma a differenza dei confratelli di S. Vincenzo al Volturno non si occupano della coltivazione della terra secondo la Regola di S. Benedetto «ora et labora», perché al loro sostentamento provvede la “dote” ricevuta dalle proprie famiglie, in genere benestanti; ciò fa sì che esse possano risiedere in città e non nell’agro “alle fonti del Volturno”, in località De Iumento Albo di Civitanova del S. , o a Canneto sul greto del Trigno, posti scelti per l’insediamento monastico proprio perché inospitali.
Per inciso, tanti più monasteri una città ha tanto più essa è florida. Non vi sono, ad ogni modo, solo slarghi connotati dalla presenza religiosa in quanto ve ne sono pure alcuni di natura per così dire civile e cioè quello antistante il palazzo D’Avalos, i feudatari di un tempo e la piazza X Settembre, un “vuoto” urbano prodotto dai bombardamenti della II Guerra Mondiale. Proseguendo si incontra piazza Concezione dove sta la Fontana Fraterna e lì finisce il centro storico, ma non l’axis urbis, la direttrice viaria che ha generato la colonia romana e che è l’unico elemento che lega il borgo originario, confinato lateralmente dalle profonde incisioni del Sordo e del Carpino, al territorio.
Un asse stradale che viene da lontano e che diventa il decumano della città antica dalla quale esce “indenne” proseguendo verso l’alto conservando sempre la rettilineità. Si riproduce anche fuori delle mura urbiche la sequenza percorso-slarghi e così, ancora salendo, seguendo il corso Garibaldi, questa è la denominazione adesso della strada, si incontra la villa comunale e poi la piazza della Stazione.
Poco prima è terminata la salita e si comincia a camminare in piano e ciò fa sì che tale tratto del nastro stradale presenti i requisiti, l’essere diritto, pianeggiante e lungo, per diventare il luogo del passeggio serale, nonostante non sia pedonalizzato e non abbia alberature continue ai fianchi come i boulevard. In passato era pure l’arteria dello shopping che oggi per la chiusura di tanti negozi nel centro cittadino si è trasferito in un altro centro, quello commerciale, uno slargo, però, coperto inserito nella fascia di sviluppo che è lineare dell’insediamento, rispettoso, pertanto, della sequenza percorso-piazza descritta.
Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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