Che clima che fa in Molise

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Il clima visto in senso sincronico, cioè le differenze climatiche tra le varie aree della regione, e in senso diacronico, cioè le mutazioni climatologiche per archi temporali lunghi con l’alternarsi di fasi fredde e calde, come quella che si preannuncia e che ci preoccupa tanto.

Oggi la questione del come fronteggiare i cambiamenti climatici è in primo piano nelle preoccupazioni della popolazione; le strategie possibili sono due, non in contrapposizione fra loro, quella della riduzione delle cause dell’innalzamento della temperatura e quella dell’adattamento della società alla mutazione del clima che è in corso. Qualcosa ci può insegnare a proposito della capacità dell’uomo di adeguarsi alla climatologia dei luoghi il fenomeno della transumanza: essa permette di sfruttare in modo complementare risorse, che sono quelle della disponibilità di pascoli, poste in zone con situazioni climatiche diverse, le montagne abruzzesi e le pianure pugliesi.

La parte centrale del Tavoliere è una delle aree della penisola italiana con il minore indice di piovosità, e, pertanto, non utilizzabile che per il pascolamento degli armenti. Le civiltà del passato tendevano a modellare il sistema agricolo in relazione al contesto ambientale e non, come si è fatto dopo, a “plasmare” quest’ultimo per i propri fini. Ci si sta riferendo a quanto avvenuto nel Basso Molise con la realizzazione della diga del Liscione che ha sopperito all’aridità naturale del terreno irrigando i campi.

A rendere il suolo secco deve aver contribuito l’eliminazione delle grandi distese boschive, vedi il bosco Tanasso, che coprivano un tempo le pianure del Basso Molise per avere campi da coltivare: l’apparato foliare delle piante favorisce l’evotraspirazione la quale è all’origine della formazione delle nubi e, quindi, della pioggia e ciò lo hanno capito bene i cinesi che stanno provvedendo ad impiantare alberi per arrestare il processo di desertificazione. Questa è stata la principale conseguenza della bonifica agraria, un vasto programma avviato già alla fine del XIX secolo e proseguito durante il fascismo con cui si è riusciti a porre rimedio all’aridità con la realizzazione degli invasi artificiali.

Peraltro, la massa d’acqua contenuta in questi bacini svolge una funzione moderatrice della temperatura nel comprensorio circostante tanto che a valle del lago di Guardialfiera si è sviluppata un’intensa produzione frutticola (l’azienda Desiderio). Il controllo degli agrosistemi è avvenuto, in maniera maggiore o minore, anche in altre aree della regione, salvo che in quelle più decisamente montane. Nella fascia collinare vera e propria vi è stata nel corso del 1800 un’autentica riconversione delle colture, ma qui non c’entra il clima, bensì l’introduzione del metodo della rotazione triennale il quale ha portato ad una accresciuta produttività delle superfici coltivate.

Essa negli ambiti sub collinari prossimi alla costa ha trovato la resistenza dei proprietari dei latifondi che erano gestiti in modo “estensivo” per i quali c’è stato bisogno della Riforma Agraria degli anni ’50 del secolo scorso che ha favorito la diffusione, conseguente alla parcellizzazione dei fondi, di nuovi indirizzi colturali. Il condizionamento climatico risulta più forte negli ambienti estremi, è scontato, dunque in montagna, così come lo era stata fino all’avvento della irrigazione permessa dagli invasi, la piana costiera.

Nelle alte quote non è cambiato niente dalle epoche precedenti, dal punto di vista dello sfruttamento zootecnico del territorio continuando a praticarsi l’alpeggio secondo modalità tradizionali; si è aggiunto, però, il turismo invernale, almeno sul Matese con la nascita di Campitello, un settore economico che è climadipendente, nel senso che se non nevica non si può sciare e le annate con scarsa nevosità sono sempre più frequenti in tempi recenti.

Neanche i cannoni per l’innevamento artificiale riescono a ridurre questa dipendenza. Soffermandoci su questo massiccio montuoso vediamo che l’unica stazione sciistica sta sul versante molisano che è il più freddo non solo perché è esposto a nord, ma pure perché dal nostro lato gli influssi marini si avvertono meno che in Campania data la distanza dal litorale adriatico superiore a quella che si ha nella regione confinante tra il Matese e il mare. Infatti la catena appenninica di cui fa parte il rilievo matesino, qui da noi è spostata ad ovest, non è nella mezzeria dello “stivale”.

Perciò la faccia campana di tale monte risente maggiormente degli effetti mitiganti dei valori termici prodotti dal mare. Ad ogni modo, seppure sbilanciati verso il Tirreno siamo il pezzo della nazione in cui l’esposizione alle correnti d’aria, le brezze, provenienti dal Mediterraneo è significativamente superiore che altrove in quanto il più sottile, da cui l’enorme interesse dimostrato per la nostra terra dall’industria eolica. Si è detto che la copertura nevosa è incostante, considerando l’ultimo arco temporale, e la stessa cosa la si coglie se allarghiamo lo sguardo ad un periodo di tempo assai più ampio, ai 2 millenni che ci separano dall’inizio dell’era cristiana.

Dal I secolo avanti Cristo al 400 dopo Cristo il pianeta ha vissuto una fase calda nella quale, di conseguenza, la quantità di neve caduta è stata limitata; ciò deve aver facilitato gli spostamenti, pure in inverno, sui valichi montani permettendo contatti frequenti tra i centri italici di Isernia, Bojano e Sepino e quelle di Telese e di Alife posti al di qua e al di là del Matese, quindi l’unità del popolo sannita.

In seguito, cioè dal V sec. a.C. all’800 d.C., la Terra si raffredda: ed è in questa fase climatica che si ha la caduta dell’impero romano e, dopo, il ripopolamento del Sannio con popolazioni barbariche le quali non migrarono (quasi fossero “migranti climatici” ante litteram) a sud per sfuggire all’inclemenza del tempo nelle regioni nord-europee d’origine, dato che l’abbassamento dei gradi centigradi avvenne in tutto il globo. Dall’800 al 1200 le temperature aumentarono e con esse il livello dei mari, come si paventa oggigiorno per i cambiamenti climatici in corso, e la serie delle fasi continua, con un’alternanza tra momenti (di durata pluricentenaria) temperati e momenti freschi (la Piccola Glaciazione che si conclude nel 1750) ciascuno dei quali ha lasciato tracce sulla crosta terrestre (circhi glaciali, ecc.) che rappresentano altrettanti moniti sulla precarietà degli equilibri ecosistemici.

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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