I numeri della Azzolina non nascondono una scuola nel caos

(a cura dell’associazione Forche Caudine – settore Scuola)

Il ritornello di una canzone di metà degli anni Settanta, cantata da Ombretta Colli, recitava “Facciamo finta che tutto va ben”. Crediamo che ben si addica alle continue uscite “normalizzatrici” della ministra Azzolina sulla scuola.

In sostanza la titolare del dicastero ritiene che la scuola abbia avuto finora un impatto “residuale” sul contagio e per sostenerlo, un po’ furbescamente, cita le percentuali dei casi sul numero globale di studenti, personale scolastico docente e non docente. È chiaro che su dieci milioni di individui, i circa duemila contagiati – ma i dati si riferiscono al 26 settembre, con moltissime scuole ancora chiuse – sono “quisquillie e pinzillacchere”.

È come sostenere, analogamente, che in Italia il Covid-19 abbia colpito poco perché il rapporto tra contagi e popolazione è appena dello 0,54 per cento.

In realtà, la situazione che stanno vivendo le scuole italiane è particolarmente complessa e faticosa. E la situazione non può essere semplificata attraverso una fredda percentuale. I problemi, che si aggiungono ai già immensi adempimenti amministrativi, sono immensi. Ed il rischio primario è che si determini un’assuefazione a questa condizione, di fatto, di “non funzionamento” della scuola, specie di quella superiore. A questo punto è preferibile una didattica a distanza funzionante che non una “normalità” in presenza, che tanto normalità non è.

I nodi sono tanti. Mancano professori e quelli che ci sono vengono falcidiati dalle crescenti quarantene. Perché bastano un paio di casi di Covid-19 per mandare a casa una quindicina di docenti. E i professori in quarantena, per una norma molto discutibile, non possono insegnare. Forse la ministra farebbe bene a fornire i dati con i numeri crescenti delle assenze dei professori, molti anziani e con il legittimo desiderio – di fronte a questo caos – di mettersi a riposo.

La didattica a distanza, che in molti istituti integra tra il 20 e il 25 per cento quella in presenza, mostra spesso problemi tecnici perché strumentazioni e reti non sono all’altezza, specie nel Mezzogiorno.

I casi di Covid-19 determinano complessi iter burocratici, che vanno dai rapporti con le Asl alla difficile individuazione dei contatti, dai rapporti con famiglie sempre più disarticolate fino alla sanificazione degli ambienti. Grevi incombenze e pesanti oneri, anche economici.

A tutto ciò si aggiungono le ansie dei genitori: se all’inizio dell’anno scolastico il clima edulcorato dei “rientri” ha smussato in parte le preoccupazioni, oggi sono centinaia le telefonate e le mail che un istituto scolastico riceve da genitori sempre più ansiosi, anche perché i contagi in ambito familiare sono all’ordine del giorno.

A tutto ciò vanno aggiunti i cosiddetti “falsi allarmi” nelle classi, determinati da tossi e starnuti, che con la brutta stagione alimenteranno i disagi: basta un solo caso per mandare in tilt un’intera classe.

Insomma, i numeri – in questo caso – servono davvero a poco rispetto a realtà quotidiane che si presentano ormai analoghe in sempre più istituti. I focolai presso l’Istituto superiore “Principessa Maria Pia” di Taranto con 18 studenti positivi e quello presso il liceo “Russell” di Roma con 16 studenti e un bidello potrebbero costituire un fuoco sotto la cenere. Il Molise, già con una decina di casi, non è esente dalle preoccupazioni.

Il problema di fondo è soprattutto politico. La realtà è stretta tra un esecutivo che non vuole mollare su questa “trionfale” (a parole) gestione francamente difficile dell’emergenza nel mondo dell’istruzione – per lo più caricata sulle spalle dei dirigenti scolastici e del personale ausiliario – della “ripartenza” e un’opposizione pronta a dare battaglia in caso di cambi di passo. In mezzo, però, ci sono le famiglie, a cui la scuola sta assicurando molta ansia a fronte della poca e confusa didattica ai figli.

Il governo dovrebbe prendere atto di questa situazione. E prima che i focolai si moltiplichino, dovrebbe puntare alla didattica a distanza almeno per le scuole superiori, attenuando i problemi dei trasporti e la mole dei contatti per tre milioni di persone, lasciando eventualmente in presenza le interrogazioni. Basilare, anziché puntare sui banchi, rafforzare le nuove tecnologie per l’apprendimento in remoto e assicurare, più delle mascherine, le visiere, che in un ambiente con pochi occhiali coprono tutti e tre gli organi di possibile penetrazione del virus.

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