Evgeny Morozov ci ha raccontato come The Syllabus vuole cambiare l’informazione
L’ultimo progetto del sociologo non è un giornale e funziona grazie all’intelligenza artificiale, ma potrebbe essere un antidoto al modo problematico in cui le informazioni vengono diffuse e scoperte
di Francesco Tedeschi da Wired.it
Alcune settimane fa un giovane studente d’informatica di Berkley ha fatto parlare di sé quando ha deciso di aprire un blog e anziché scrivere i post di suo pugno, li ha fatti scrivere a un’intelligenza artificiale. A rendere eclatante l’esperimento è stata la semplicità con cui il blog ha iniziato ad accumulare visualizzazioni e apprezzamenti, lasciando spiazzati i lettori una volta che è venuta fuori la verità. La questione quindi ha nuovamente messo al centro il dibattito intorno all’uso dell’intelligenza artificiale all’interno delle redazioni, imperniato su una domanda: è vero che i robot possono sostituire i giornalisti?
A ben vedere è una questione mal posta. Sono già diverse le testate internazionali che usano l’intelligenza artificiale come supporto al lavoro dei giornalisti. Tuttavia questa non sembra essere la soluzione alla crisi generalizzata dei media. Le entrate pubblicitarie, infatti, sono in calo ovunque; si sta correndo ai ripari con gli abbonamenti, ma anche qui: pagare per l’informazione migliore quando quella peggiore è gratis potrebbe inevitabilmente portare le persone che non possono permettersi o non vogliono pagare un abbonamento a non leggere notizie e approfondimenti affidabili. Il che porterebbe ad un’altro problema, soprattutto in mezzo ad una pandemia globale: la disinformazione.
La prima volta che Evgeny Morozov ha pensato ad un metodo alternativo per indicizzare le informazioni, quello che sostanzialmente fa Google, era a Cambridge in una stanza piena di libri. Aveva l’ansia. L’ansia di non poterli leggere tutti, scrive The Correspondent che ha seguito la messa online del progetto inaugurato dal critico più eminente della Silicon Valley.
Il progetto si chiama The Syllabus e sembra una newsletter, anche se non lo è, ha precisato Morozov a Wired. “Non conosco nessuna newsletter che ogni giorno analizzi in modo scientifico e sistematico dai 50mila agli 80mila contenuti, fra cui articoli accademici, podcast e video”.
Era il 2013, Morozov stava scrivendo il suo nuovo libro, e si trovava ad Harvard per completare il dottorato. Era diventato famoso solo alcuni anni prima con il suo libro Internet non salverà il mondo, in cui dimostrava come le tecnologie digitali non fossero l’estensione idealizzata di una nuova era, quanto piuttosto l’estensione dei sistemi esistenti: società quotate in borsa che hanno bisogno di presentare maggiori profitti ogni trimestre ai loro azionisti. Ad Harvard voleva scrivere una storia intellettuale di internet, ma trovava i suoi libri troppo semplicistici, troppo mainstream e ha iniziato a leggere altro. Dalla teoria dell’informazione all’architettura, dalla psicoanalisi al design il suo prossimo libro sarebbe stato su tutto, così decise. Un compendio in tre volumi, che avrebbe raccolto gli argomenti più disparati.
Ma aveva bisogno di un metodo. Se puoi scegliere tra così tanti libri, devi essere selettivo perché non puoi sceglierli tutti. Ma soprattutto, come poteva sapere cosa non leggere? Così ha pensato a un metodo per capirne la rilevanza. “Dovevo organizzarli, classificarli in base ai miei interessi”. Questo è il principio, che poi è stato implementato e trasformato in quello che, oggi, è The Syllabus. “L’idea era quello di dare la possibilità alle persone di ricevere il meglio delle informazioni prodotte su un determinato argomento. E farlo al di fuori di ogni logica social o che fosse legata alla pubblicità”. Guardando al progetto e al suo creatore verrebbe da pensare che l’obiettivo sia infrangere il sistema che regola l’economia dell’attenzione, e il modo in cui le informazioni e la conoscenza vengono scoperte e diffuse online, sulla base di clic, condivisioni e mi piace. In poche parole: sulla popolarità. Perché The Syllabus determina la rilevanza delle informazioni in modo nuovo, un modo che potrebbe anche essere migliore di Google. Eppure dice Morozov, “non stiamo cercando di costruire un’alternativa all’economia di mercato qui”. The Syllabus non è un giornale, ma potrebbe essere un antidoto al modo problematico in cui le informazioni vengono diffuse e scoperte. Il fatto che le maggiori società di informazione dipendono completamente dalla pubblicità, determina che un certo tipo di contenuto venga ricompensato, e un altro no. Molto spesso infatti le notizie più popolari non sono quelle più utili.
The Syllabus aggrega contenuti sulla base di un punteggio, che un algoritmo assegna automaticamente a ogni contenuto. In questo modo classifica le informazioni più rilevanti, il tutto partendo dalle fonti che Morozov e il suo team editoriale ritengono più affidabili (editori scientifici, università, ecc.), e lo fa per 60 temi. Da “Energia ed estrattivismo” a “Soldi, economia e democrazia” e da “Post Fascismo e populismo di estrema destra” a “Mobilità e Smart Cities”. L’idea alla base del processo è che i contenuti di qualità siano già ci sono, bisogna solo scoprili. A The Syllabus viene fatto un largo usa dell’intelligenza artificiale, o più semplicemente del machine learning, per raccogliere e analizzare tutte le informazioni. Ma è solo la punta dell’iceberg . La categorizzazione e il punteggio che viene dato ai contenuti sono solo una prima valutazione. Il tutto viene revisionato più volte da Morozov e dai suoi assistenti, ottenendo una selezione degli articoli, video e podcast più rilevanti apparsi durante la settimana, ordinati per tema. “In sostanza l’intelligenza artificiale permette agli editor umani di lavorare di più sui contenuti, in modo tale da verificarne la qualità e spendere così un tempo maggiore per scoprire e consigliare nuovi contenuti”.
A questo punto si potrebbe obiettare che la selezione sia viziata, che a livello algoritmico o umano ci possano essere dei bias. “Tuttavia non esiste un algoritmo non viziato da bias”, spiega Morozov, “nel nostro caso poi non parliamo di bias, ma di soggettività. Il nostro modo di lavorare è talmente manifesto e trasparente da essere evidente: per intenderci, non facciamo endorsement al pensiero liberale del libero mercato”.
Nonostante ci sia la voglia di rompere con un determinato tipo di idea di internet e digitale The Syllabus è un progetto che si regge su molti dei servizi offerti da Google e Amazon. E come tutti gli altri, anche il critico più accanito della Silicon Valley si ritrova a galleggiare sulla superficie della digital economy. Certo, vorrebbe che il suo progetto non fosse commerciale, che fosse messo al servizio dell’umanità, ma come tutti gli altri deve pagare le bollette. “Siamo prigionieri dei servizi offerti, che ci obbligano ad essere profittevoli. Ma immagina le potenzialità di un’infrastruttura digitale completamente aperta e gratuita”.
Certo “noi siamo comunque un’eccezione e non so quanto spazio ci sia per progetti simili al nostro, perché quello che vale per noi, non è detto che valga per il resto delle agenzia di media” spiega. Il fatto però rimane, e può essere un buon metodo anche per le maggiori agenzie di stampa: le informazioni migliori infatti non possono rimanere inaccessibili. “I grandi editori scientifici non sono interessati a divulgare le ricerche, anche se sono pagate con i soldi delle tasse”. E questo è assurdo. “Immagina che le persone vedano quali ricerche siano state effettuate con i soldi dei contribuenti. Potrebbero chiedere che questa conoscenza sia resa pubblica gratuitamente”. Insomma a cambiare non dovrebbero essere solo le redazioni, secondo Morozov, ma il modo in cui viene distribuita l’informazione.
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