Un canale aereo porta l’acqua al suo mulino
di Francesco Manfredi-Selvaggi
È quello sorretto da archi, una specie di acquedotto romano ad un solo ordine, che è a servizio del mulino Peluso ad Altilia. Non è l’unico nella zona di tale tipologia perché vi è anche quello Giacchi in prossimità dell’omonima taverna.
Probabilmente è scontato, ma appare interessante far rilevare che una città, tale era Saepinum, ha come contraltare una campagna intensamente coltivata in grado di rifornire di alimenti coloro che vi abitano. La fonte di nutrimento maggiore sono stati sempre i cereali dai quali si ricava la farina con cui si prepara il pane e, allora, il mulino è un’attrezzatura essenziale a servizio degli insediamenti urbani, oggi come ieri. Il mulino Peluso così vicino alla Porta Bojano visualizza bene il legame tra agglomerato residenziale e produzione agricola, anche per la sua notevole capacità lavorativa essendo dotato di due macine.
In verità, dentro Altilia, presso la fontana del Grifo, vi era un mulino, nella ricostruzione a ruota verticale, che, però, sembra insufficiente a soddisfare il fabbisogno cittadino; va precisato pure che il mulino Peluso di certo non risale all’epoca romana, anche se, lo abbiamo specificato prima, è emblematica la localizzazione di un’importante attività molitoria appena fuori le mura urbiche. Un’opera tanto impegnativa dal punto di vista costruttivo per quanto riguarda la lunga archeggiatura che sostiene il canale di adduzione, non è posizionata lì a caso poiché è possibile ubicarla in qualsiasi altro posto considerato proprio che l’acqua, tramite il canale sopraelevato, può essere fatta viaggiare in qualunque direzione e portata dal punto di prelievo a notevole distanza.
È quella proposta, la contiguità tra luogo di consumo e impianto di macinazione del grano, da sempre base della dieta, semplicemente un’immagine suggestiva valida in qualche modo per il periodo dell’antica Roma quando il tasso di urbanizzazione, vedi il Municipio di Sepino, era molto più alto di quello delle ere successive, a cominciare dal medioevo in cui si ebbe la crisi delle realtà cittadine e la ruralizzazione della società. Beninteso non è l’unica soluzione quella di avere un mulino, per così dire, a portata di mano per sfamare un aggregato insediativo potendosi reperire il cibo in un raggio più ampio di uelloquello ristretto al territorio circostante e ciò, però, richiede la presenza di una viabilità idonea per trasportare la merce e, soprattutto, a lunga gittata.
Il mulino Peluso è confinante con il tratturo Pescasseroli-Candela e neanche questa vicinanza è casuale ancora per il discorso che il flusso idrico mediante la canalizzazione artificiale di cui si è detto può essere condotto ovunque. Se sulla pista tratturale si usavano gli animali da soma, sulla strada Sannitica cui è adiacente il mulino Giacchi, il quale in comune con il nostro ha la condotta di derivazione estesa, da un lato, e sorretta da archi, dall’altro, si impiegavano i carri; occorre segnalare che il raffronto con quest’ultimo mulino è diventata l’unica maniera per, allo stato delle cose, riuscire a comprendere come sia fatto il canale di derivazione del mulino Peluso, la struttura essendo non visibile perché completamente avvolta da vegetazione.
Le analogie tra i due mulini si limitano al sistema di canalizzazione presentando, invece, una sostanziale diversità per quanto riguarda l’edificio, cioè il mulino vero e proprio. Le comparazioni in ogni campo sono essenziali per, evidenziando le differenze, far risaltare le peculiarità di ciascuno: andava detto. Il mulino Giacchi che è a un piano si presenta come un manufatto produttivo “puro”, mentre il Peluso è a due livelli, quello superiore destinato all’alloggio del mugnaio, e, perciò, dalla forma pressoché simile a quella delle case rurali ordinarie.
Nel tratto di Sannitica in cui ricade il mulino Giacchi non vi sono, prospicienti all’arteria viaria, fabbricati ad uso abitativo salvo il fabbricato situato nel quadrivio ospitante a p.t. un locale per ristoro, mentre per il resto si tratta di architetture specialistiche destinate a taverne. Nel mulino Peluso il conduttore vi risiede stabilmente, tutto l’anno, non solo nei periodi durante i quali si effettua la molitura. In definitiva, il mulino si associa necessariamente ad un percorso stradale e, al limite, se questo non c’è ne va realizzato uno. Finora si sono esposte due motivazioni per giustificare il tracciato della canalizzazione funzionale al mulino, l’avvicinamento agli insediamenti umani e il raggiungere una via, e, adesso, passiamo ad una ulteriore, non secondaria affatto.
Essa è quella che occorre ottenere un salto dell’acqua in ingresso che sia in grado di far girare la ruota collegata alla macina, compatibilmente, è logico, con l’esigenza di contenimento della lunghezza del canale per minimizzare i costi di costruzione. Non è una singolarità dei canali rialzati da terra quella della divaricazione della percorrenza dell’asta fluviale dalla direttrice che seguono a partire dalla sezione dove avviene il prelievo della risorsa idrica; infatti, è tipico degli opifici che adoperano come forza motrice l’energia idraulica di posizionarsi a “distanza di sicurezza” dall’alveo per proteggersi dalle piene e da qui il bisogno di canali.
Per tale aspetto è indifferente che il canale si sviluppi a qualche metro dal suolo oppure che sia scavato nel terreno. Quella appena citata è indubbiamente la soluzione più semplice poiché più facile da realizzare con l’avvertenza, comunque, che pure il disegno di questo tipo di canalizzazione richiede sapere tecnico. La vista di un mulino, anche nella sua versione elementare, quella della canaletta in terra, suscita interesse in quanto testimonianza dell’ingegno dell’uomo; la tendenza è di ascrivere queste strutture alla categoria dell’archeologia industriale ponendo meno attenzione alle valenze paesaggistiche le quali si impongono con forza nell’osservatore allorché il canale è un artefatto architettonico.
Esso si impone nei quadri visivi con perentorietà per essere un fuori-scala rispetto all’edilizia tradizionale, per la sua linearità che contrasta con l’andamento mosso, generalmente, del suolo, per la direzionalità, a seguito della rettilineità, che imprime all’insieme panoramico, per gli effetti chiaroscurali dovuti all’alternanza di pieni, i pilastri, e di vuoti, l’incavo degli archi, al senso di straneamente che infonde per la sua somiglianza con gli acquedotti romani che nelle rappresentazioni pittoriche (sette-ottocentesche) sono ripresi nell’agro, di frequente quali sfondo di scene pastorali, il che li fa confondere con i canali che stiamo trattando. Non è che si voglia dire che in questi canali vi sia un’intenzionalità estetica (mancano tracce di modanature), nello stesso tempo si rileva il loro carattere pittoresco che ne fa ornamento del paesaggio.
Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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