Stazione per lo sci, altrimenti vuota

di Francesco Manfredi-Selvaggi

È il fenomeno del pendolarismo con gli sciatori che non pernottano nella località matesina, lasciando inutilizzati i suoi immobili.

A Campitello, contrariamente a quanto pronosticato all’inizio, al momento della creazione della stazione sciistica la quale era stata pensata per un turismo residenziale, si è andato affermando nel tempo il pendolarismo. La maggioranza delle persone che frequentano questa località, sia d’inverno sia d’estate, sono pendolari, sempre meno essendo quelli che, proprietari o affittuari, soggiornano per più giorni in qualcuno dei numerosissimi appartamenti presenti nei vari residence costruiti dagli anni ’70 ai ’90. Se questo è certo, come è certo, dovrebbe essere ridotta la potenzialità edificatoria residua prevista dal Programma di Fabbricazione vigente.

Invero, va precisato, non è una volumetria residuale, correggendo così quanto detto prima, perché, al contrario, essa è ancora consistente. Dunque, è il tema del flusso turistico giornaliero quello che è diventato centrale nella gestione del centro montano, dato che si sono ormai esaurite le prospettive della stanzialità dei fruitori del sito le quali ultime sole giustificherebbero un’espansione dell’edificato. La verifica dell’impatto ambientale si deve misurare così con la questione delle permanenze di un giorno, essendo ormai fuori dalla concretezza le preoccupazioni per l’ambiente che si genererebbero dall’estensione del costruito.

I visitatori che raggiungono il polo di sport invernali matesino in giornata, usufruendone dei servizi producono sicuramente effetti sul contesto ecologico, a cominciare dai rifiuti i quali essendo “stradali” non sono differenziabili, sulla risorsa idrica, i grandi serbatoi sotterranei della nostra montagna, per via delle inevitabili esigenze fisiologiche, sull’aria, i gas di scarico delle auto. Per quanto riguarda la problematica appena citata è da aggiungere che l’inquinamento prodotto dalle tante macchine private, i pullman sono molto meno, riguarda pure la strada che congiunge con S. Massimo.

Quelli elencati sono i principali punti critici connessi all’afflusso di turisti, per così dire, mordi e fuggi, ma, è evidente, ve ne sono pure altri, dal rumore che provoca disturbo anche alla fauna selvatica alla copertura con asfalto e, quindi, impermeabilizzazione del suolo, per ricavare parcheggi. Tutte cose alle quali non si era pensato allorché si decise, eravamo nel 1967, la nascita del villaggio vacanze sulla neve.

Il progetto, o meglio il piano, o tutte e due insieme perché qui il progetto della società immobiliare viene assunto sic et simpliciter quale piano urbanistico comunale, riguardava la realizzazione di un complesso di fabbricati per alloggi, chiamati impropriamente residence, in quanto gli acquirenti ne hanno il pieno possesso senza essere obbligati, come si conviene ai residence, a ricevere alcuna prestazione da parte del soggetto che li conduce, dalla pulizia dei vani alla fornitura di lenzuola, per esempio.

Non sono, bisogna per onestà dirlo, neanche delle classiche seconde case poiché le unità abitative, sempre piccole, sono integrate con una serie di locali comuni dove svolgere attività ricreative e conviviali (un po’ quanto succede, per intenderci, nella cosiddetta edilizia sociale). La scelta che fu fatta al principio fu quella di accorpare i blocchi destinati a residenze e con i negozi in modo da minimizzare gli spostamenti. Ci si sarebbe mossi a piedi, costantemente al coperto, financo in pantofole, e ciò significa che non vi sarebbe stato traffico automobilistico, una delle conseguenze negative del pendolarismo degli sciatori.

Vale la pena soffermarsi sugli aspetti architettonici, sull’idea progettuale del primo nucleo di Campitello il quale è tuttora il corpo centrale dell’insediamento in quanto costituiscono una novità assoluta nel panorama insediativo molisano, non c’è niente da prendere ad esempio, rispetto ai quali bisognerà confrontarsi senza avere modelli di valutazione da seguire per determinare le criticità ambientali; i vantaggi, oltre che nel campo della mobilità, si intravedono nella raccolta degli scarti domestici con i contenitori, di tipo condominiale, conservati al chiuso, nella centralizzazione del riscaldamento per minimizzare i consumi energetici, nel riciclo delle acque e così via.

Non è che all’epoca, più di mezzo secolo fa, si poneva attenzione a ciò per cui l’impostazione compositiva adottata segue semplicemente logiche funzionali senza disdegnare, ad ogni modo, interesse per l’autopromozione della struttura, una specie di marketing fatto attraverso l’architettura. È la pianta ad U del Montur, a far venire in mente tale lettura, l’emiciclo essendo una forma “classica” la quale conferisce un’immagine, per certi versi e con i limiti immaginabili, nobile alla fabbrica. Campitello sembra sia in continua ricerca di elementi fisici caratterizzanti, l’altro è la piramide, un archetipo assoluto, l’involucro del palazzetto del ghiaccio.

Più di tutto, però, ad impressionare un osservatore, oggi noi ci abbiamo fatto l’abitudine, visiva, è la scala della costruzione la quale appare come un insieme unitario pur articolato in due parti distinte, l’una, il binomio Kandhar e le Verande, soprapposta all’altra, il Montur, collegate da un ascensore inclinato, un’esibizione, peraltro, di tecnologia innovativa, che aggiorna la funicolare. In definitiva è ciò che si chiama megastruttura, simile a quelle che, nel medesimo periodo, cominciano ad apparire nelle grandi città e, perciò, è un simbolo della modernità.

Il rapporto con il paesaggio è nella stessa planimetria semicircolare che richiama la concavità del circo glaciale che sta dirimpetto. Poca cosa e non sarebbe andata meglio se, perché il problema è l’ingombro dello spazio innanzitutto, invece di questo conglomerato cementizio, ammassamento di volumi, si fosse puntato su palazzine singole, cariche esteriormente di rimandi alle dimore tradizionali come fece Ridolfi un decennio prima al quartiere Tiburtino a Roma, rievocazioni che sono presenti nella operazione compiuta di recente di arredo urbano. L’ampliamento del centro turistico secondo lo strumento urbanistico, attuato sia in un modo sia nell’altro, produrrebbe inevitabilmente l’alterazione dei quadri percettivi con serie lesioni all’ambiente, intollerabili per un’area che è nel cuore del Parco Nazionale.

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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