L’imputata e il craxiano alla corte di Beppe e Travaglio

di Andrea Carugati

Fino a qualche settimana fa nessuno ci avrebbe creduto: il governo voluto e sostenuto da quasi tre anni da Beppe Grillo e Marco Travaglio è stato salvato da Riccardo Nencini, «ultimo dei craxiani» per sua stessa definizione, e da Maria Rosaria Rossi, che non è una senatrice qualunque di Forza Italia, un’anima liberale errante in cerca di casa, ma è stata per anni l’ombra di Silvio Berlusconi nella fase del tardo impero, tesoriera del partito, factotum ad Arcore e Palazzo Grazioli, presenza costante e «annoiata» alle cene eleganti, ancora a processo nel Ruby ter a Milano con l’accusa di falsa testimonianza, insieme ad alcune «olgettine».

Insomma, uno spauracchio al cui confronto Sandra Mastella pare una badessa del culto grillino. 
Di più: il voto di Rossi non è stato occasionale. Già martedì sera è stata avvistata a palazzo Chigi, le cronache raccontano che avrà un ruolo nel progetto politico del premier, nella costruzione della nuova gamba liberale della maggioranza.

In questa legislatura, con l’abbraccio tra Pd e 5 stelle, e il primo premier di un governo sovranista che in pochi giorni si fa guida di un governo progressista, era già successo l’impossibile. E se il craxiano Nencini, eletto grazie ai voti del Pd, era già dal 2019 parte della maggioranza giallorossa pur sotto le insegne comuni con Renzi, il colpo di scena è rappresentato proprio da lei, la senatrice Rossi, amica di Francesca Pascale, balzata agli onori delle cronache nell’estate 2010 come «lady Tor Crescenza» in quanto organizzatrice delle cene del Cavaliere nel castello vicino Roma. Poi, da qualche anno, sempre più emarginata: dalla famiglia di Berlusconi, dal partito, dal “nuovo corso” di Arcore.

Se la mossa di imbarcarla l’avesse fatta un altro premier, il M5S e il Fatto l’avrebbero crocifisso. Oggi invece l’Armata Brancaleone con Grillo, i craxiani, l’avvocato del popolo, gli espulsi dal movimento perché non restituivano lo stipendio, l’«imputata» per le cene eleganti, Di Battista che aveva il suo ubi consistam nel gridare «onestà, onestà», marcia compatta nel tentativo di sopravvivere, a dispetto delle «incompatibilità ambientali».

Se non fosse improprio scomodare i grandi, si potrebbe parlare di un piccolo “compromesso storico”, giustizialisti e imputati, antiberlusconiani d’acciaio e grillini che accolgono a braccia aperte l’ex factotum ripudiata dal Caimano. E questa forse è la chiave umana del salto di una Scilipoti in direzione contraria, dai “cattivi” verso i “buoni”e per questo sottratta al tribunale mediatico. Ma anche all’esame del curriculum giudiziario, pilastro dei vaffa Day, quando per essere eletti contava solo la fedina penale immacolata. Ora basta salire a bordo.

Fonte: il manifesto

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