Divide et impera
di William Mussini
L’esperimento carcerario di Stanford (prima parte)
Lo psicologo americano Philip Zimbardo, nel 1971, decise di fare une sperimento che mostrò, imprevedibilmente, aspetti deprecabili quanto incontrollabili della natura umana, occupando di fatto un posto fondamentale nella storia della psicologia. L’esperimento carcerario promosso da Zimbardo e sposato da alcuni colleghi si svolse nell’università di Standford e aveva come obiettivo quello di indagare il comportamento delle persone in base al proprio gruppo di appartenenza.
L’esperimento è uno dei più conosciuti a livello accademico ed ha ispirato anche diverse pellicole, tra cui il film del 2010 The Experiment di Scheuring che consiglio vivamente di vedere in quanto fedele ricostruzione dei fatti realmente accaduti.
L’esperimento consisteva nel ricreare una prigione finta nel seminterrato dell’edificio della facoltà di psicologia della Standford University e nel selezionare 24 studenti universitari per attribuire loro i ruoli di secondini e carcerati.
Allo scopo di escludere i soggetti con problemi psicologici, di dipendenza da droghe o con crimini alle spalle, tutti i partecipanti furono selezionati da un gruppo più ampio di 70 volontari dopo accurati esami e test di personalità.
L’esperimento di Standford che, nelle intenzioni dei ricercatori, doveva durare due settimane fu interrotto dopo appena sei giorni con il verificarsi di gravi episodi di violenza. Qualcosa di maligno ed imprevisto aveva preso il sopravvento sulla psiche di quei soggetti sani, appartenenti alla classe media, istruiti e apparentemente privi di qualsiasi squilibrio comportamentale.
Dopo appena due giorni, i finti detenuti iniziarono a protestare per la loro condizione, strappandosi i vestiti e rinchiudendosi nelle loro celle.
Le guardie iniziarono da subito, per far rispettare il proprio ruolo, a praticare nei loro confronti forme sempre più violente di repressione fisica e psicologica. I carcerati furono costretti a cantare canzoncine, a defecare in secchi che non potevano vuotare, a pulire a mani nude le latrine.
“I prigionieri reagirono in vari modi al loro senso di frustrazione e impotenza. All’inizio, alcuni si ribellarono lottando contro le guardie. Quattro prigionieri ebbero delle crisi emotive come modalità di fuga dalla situazione. Un altro sviluppò in tutto il corpo un’eruzione cutanea di origine psicosomatica quando seppe che la sua richiesta di rilascio era stata bocciata. Altri ancora provarono a fronteggiare il tutto comportandosi da prigionieri modello, obbedendo sempre alle richieste delle guardie. Uno di loro venne addirittura soprannominato ‘Sarge’ per la sua maniera militare di eseguire gli ordini”.
I partecipanti, chi più, chi meno, cominciarono a mostrare seri segni di dissociazione dalla realtà, disturbi psicologici, fragilità e sadismo a seconda dei casi. Dopo un tentativo di evasione da parte dei detenuti represso con durezza, gli ideatori dell’esperimento furono costretti a concludere la farsa.
Il Prof. Zimbardo definì il comportamento degenerato dei partecipanti come effetto
Lucifero: fu evidente che ambiente e istituzioni influenzarono in maniera determinante il
comportamento di ogni singolo individuo a prescindere dalla loro “qualità” psicologica e razionale.
“L’esperimento, secondo lo psicologo, dimostrò che l’assunzione di un ruolo istituzionale porta l’individuo a comportarsi senza paura, vergogna, pietà che in condizioni normali ne regolano le azioni, mentre l’osservanza delle regole conduce un soggetto a non avere più alcuna autonomia comportamentale, ma ad uniformarsi al volere collettivo del gruppo”.
Il famoso motto latino “divide et impera”, che pare sia stato proferito per la prima volta già 330 anni prima di Cristo dal Re Filippo II il Macedone (padre di Alessandro Magno), rappresenta oggi più che mai la pietra angolare che sorregge l’intero apparato psicosocio-antropologico contemporaneo.
Il motto divenuto “archetipo” sintetizza magnificamente l’intero pensiero e agire elitario che ha consentito da sempre alle classi dominanti del pianeta di manipolare le masse per conquistare potere, terre, ricchezze e beni, consensi e adepti d’ogni genere. La potenza di questo archetipo è evidente a tutti ma ignorato da troppi! La storia ci insegna che abbiamo vissuto e viviamo tutta la nostra esistenza all’insegna della competizione e del conflitto fra categorie; l’effetto Lucifero istituzionalizzato come strumento di controllo delle masse?
Ecco che anche oggi, sempre più subdolamente, si ripropongono modelli dualistici ultra collaudati di fazioni opposte come strumenti di manipolazione per dividere e per la conservazione ed il potenziamento del potere.
Dunque ci hanno insegnato che la necessità dei conflitti fra umani fosse l’inevitabile conseguenza di una sostanziale contrapposizione tra i sostenitori del bene e quelli del male. I buoni ed i cattivi, bene e male, bianchi e neri, belli e brutti. A turno e a seconda dei punti di vista, i buoni erano i buoni che poi erano anche i cattivi visti dalla parte dei cattivi che a loro volta si ritenevano quelli buoni secondo il loro personale giudizio. Pensiamo ai soldati nelle trincee della prima guerra mondiale: i buoni/cattivi italici pregavano il loro Dio cristiano mentre i buoni/cattivi austriaci pregavano sempre lo stesso Dio cristiano per lo stesso, ma nel contempo opposto, identico motivo.
Immagino l’imbarazzo del Dio chiamato in causa da entrambi gli eserciti di credenti bellicosi e desiderosi di vittoria e salvezza, entrambi convinti di essere dalla parte giusta e quindi degni di essere accontentati. Di fatto, mentre i soldati dei due schieramenti morivano e soffrivano pene atroci, qualcuno nell’ombra brindava per l’ottimo risultato: banchieri, industriali, uomini di stato e dell’alta finanza, lecchini e parassiti di regime, becchini. Pensiamo alle religioni ed alle sette di ogni sorta, tutti tolleranti con tutti sin quando in gioco non v’è un territorio, il primato di un insediamento, la veridicità d’una sacra scrittura, un pozzo di petrolio, il consenso di un popolo.
I popoli continuano a cadere nel tranello ormai da millenni, il modello competitivo/conflittuale permea la nostra società a tutti i livelli: dallo sport al gioco, dalla politica all’istruzione, dalle arti alla scienza. Le categorie contrapposte sono praticamente infinite e la maggioranza sgomita per riuscire ad affermare la propria appartenenza o militanza in una o nell’altra opposta categoria. Comunisti contro fascisti, indiani contro cowboys, juventini contro interisti, sovranisti contro globalisti, razzisti contro antirazzisti, pisani contro livornesi, guelfi contro ghibellini, figli contro genitori, sino ad arrivare alle neo etichette come pro vax contro no vax, “negazionisti” contro “affermazionisti”; insomma, sono riusciti a mettere contro persino la realtà con la realtà presunta come quando, ad esempio, un dpcm qualunque impone l’uso obbligatorio della mascherina all’aperto anche se isolati, in spregio ad ogni logica medico-scientifica.
Ed intanto, da qualche parte nell’ombra, qualcuno brinda, magari rinfrancato nel vedere che il vecchio trucco funziona sempre e comunque. A questo punto del ragionamento, i “professori” del pensiero politicamente corretto potrebbero certamente obiettare ripetendo il mantra conformista che vorrebbe etichettare come cospirazionisti o complottisti (altre due belle etichette qualunquiste) tutti quelli che provano a confutare le pseudo certezze dei padroni del discorso, di quelli cioè che combattono le bufale sul web, degli autoproclamati professionisti dell’informazione che non osano mai contraddire gli ordini dall’alto, che seguono pedissequamente i dettami della nuova (quasi tutta) classe politica filo globalista, opportunista e fintamente democratica. Sono questi i nuovi fascisti doppiopesisti camuffati da democratici buonisti che si scagliano contro tutto ciò che non è conforme alla loro ipocrisia che danza alla luce del sole, sul feretro della coerenza.
Nel frattempo, il popolo vanitoso e permaloso dei social si scatena per esercitare il proprio diritto ad esistere individualmente anche come “avatar”in quanto persone interconnesse telematicamente. Persone che per l’algoritmo onnipresente e bacchettone dei padroni sono paradossalmente meno importanti del loro stesso alter ego. Ecco che tutti diventano la pubblicità di se stessi, tutti vendono il proprio prodotto e la propria esistenza pubblicizzandola con fotografie, video, post, commenti, like; un tutto pro e contro un altro tutto uguale e contrario. Quindi accade che la giostra dei contrari perpetua l’ignoranza e la sudditanza delle masse, ingozza il gargarozzo del Mercato, riempie le saccocce di giornalisti servi, rende i ricchi sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri, accompagna l’umanità verso la sua rinnovata decadenza fatta passare per progresso liberale e tecnologico, imbottita di botoxe incipriata per coprire le rughe millenarie.
William Mussini76 Posts
Creativo, autore, regista cinematografico e teatrale. Libertario responsabile e attivista del pensiero critico. Ha all'attivo un lungometraggio, numerosi cortometraggi premiati in festival Internazionali, diversi documentari inerenti problematiche storiche, sociali e di promozione culturale. Da sempre appassionato di filosofia, cinema e letteratura. Attualmente impegnato come regista nella società cinematografica e teatrale INCAS produzioni di Campobasso.
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