Modernariato a Campobasso: S. Antonio di Padova, S. Giuseppe Artigiano
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Sono le architetture religiose più antiche tra quelle, con un giro di parole, più moderne della città. Sono stati i primi edifici di culto realizzati nelle zone di espansione di questo insediamento a servizio della popolazione che negli Anni 60 e 70 si andava inurbando.
Le chiese medioevali del capoluogo, se non fosse per la facciata cuspidata in quella di S. Giorgio, si assomigliano, o, comunque, hanno qualcosa in comune, prendi il portale con lunetta sovrapposta all’architrave, tipica, peraltro, dell’architettura religiosa molisana, oppure il rosone mentre gli edifici di culto moderni sono diversi l’uno dall’altro. Non solo per le riforme apportate al rito dal Concilio Ecumenico Vaticano II, sostanzialmente l’eliminazione della divisione tra l’assemblea e il celebrante la Messa ottenuta riducendo il numero di gradini che portano alla zona presbiterale e la scomparsa della balaustra che separa, di nuovo, il presbiterio dalla sala.
Si conserva ancora nelle strutture ecclesiastiche post-conciliari l’impianto basilicale, cioè con navate, salvo che nella Mater Ecclesiae la quale, invece, è a pianta circolare e, parzialmente, nella chiesa di S. Antonio di Padova (una delle due delle quali vorremmo parlare) dove piuttosto che di navate si tratta di deambulatori, sia perché stretti sia perché rialzati rispetto all’aula che, da molti, viene scambiata per navata centrale.
Ci soffermiamo sulla particolarità appena evidenziata in quanto merita una spiegazione che è quella di essere una chiesa Francescana, annessa al convento dei Frati Minori, Ordine monastico che vuole il raccoglimento dei fedeli in un unico spazio, più efficace rappresentazione della comunità dei Figli di Dio di quella della suddivisione in navate all’interno della chiesa.
Proseguendo su questo aspetto, per completezza di discorso, si rileva che a S. Antonio di Padova non vi sono cappelle laterali, così come non vi sono navate laterali, ma semplici incavi nei quali trovano posto raffigurazioni sacre piuttosto che altari; in verità, tale caratteristica, quella dell’assenza di altarini sulla parete, si accentua nella chiesa di S. Giuseppe Artigiano in cui i muri sono per gran parte lisci, presentando, esclusivamente in un lato, solo tre protuberanze che servono per posizionarvi statue di Santi, ben evidenti all’esterno per la loro forma bombata che contrasta con quella “a squadro” del resto del fabbricato.
La mancanza di cappelle fa pensare alle chiese primitive connotate dall’unidirezionalità dello spazio, tutto diretto verso l’altare maggiore; a quest’ultimo riguardo è da aggiungere che solamente nella Mater Ecclesiae non è presente, proprio per la sua circolarità, tale effetto spaziale che, pure se sembra superfluo sottolinearlo in quanto è comune, riferito ai campobassani, la consapevolezza di ciò, non si riscontra in nessuna chiesa della città perché nessuna ha cappelle ai lati. Non si può tralasciare, inoltre, di dire, visto che se ne è parlato per S. Giuseppe Artigiano, assicurando, ad ogni modo, che è l’ultima cosa che si dice sulle pareti laterali, che anche a S. Antonio di Padova le nicchie che qui sono in continuità lungo l’intero muro, seppure un po’ distanziate fra loro, sono sporgenti al di fuori.
Abbiamo detto, da qualche parte, che parleremo, cosa che in effetti stiamo facendo, delle chiese di S. Antonio di Padova e S. Giuseppe Artigiano per mostrare, pur essendo solo due casi, come l’architettura moderna sia capace di produrre esiti nel campo dell’edilizia di culto assai diversi fra loro, a differenza di quella del passato in cui le variazioni tra gli impianti religiosi sono minime (beninteso, tra gli esemplari appartenenti allo stesso stile e, quindi, alla stessa epoca, perché, invece, vi sono sostanziali differenze tra le opere ecclesiastiche di stile gotico, romanico è così via, è addirittura pleonastico dirlo).
Abbiamo visto le distanze fra le due chiese per quanto concerne la planimetria e passiamo al tema della facciata, particolarmente importante perché le sedi cultuali sono riconoscibili, innanzitutto, in base al loro fronte. Ambedue le strutture religiose, nonostante la modernità che per il resto invocano, hanno facciate con rimandi stilistici alla tradizione architettonica. Ognuna si è scelta un proprio riferimento formale nella storia dell’arte e ciò che è singolare è che le “citazioni” pur tratte, per entrambe, dal romanico richiamano l’una, S. Antonio di Padova, il romanico pisano e l’altra quello abruzzese.
Non è nel Molise una novità quella della coesistenza di tali stili nella medesima area, quella, appunto molisana, come dimostra l’esistenza di chiese nelle quali riecheggia l’architettura romanica pisana, prendi la cattedrale di Termoli, e di altre che hanno assunto i modi stilistici del romanico abruzzese (S. Bartolomeo sulla Collina Monforte), è solo che ciò non si verifica nello stesso centro. È pisana la facciata di S. Antonio di Padova per quella batteria di asole che occupa la sua parte mediana, un po’ loggetta collocata nell’identica fascia del fronte che si è diffusa da Pisa un po’ ovunque nella Penisola; abruzzese è il coronamento orizzontale del fronte che si ritrova in S. Giuseppe Artigiano, ma anche a S. Bartolomeo, sui “monti”.
È influenza dell’architettura dell’Abruzzo il quale partecipa strettamente a quanto avviene nel resto dell’Italia centrale, la Toscana e il Lazio fanno storia a sé, anche l’assenza di ripartizioni nella facciata, né in senso verticale, mettiamo tramite delle paraste, o lesene, né orizzontalmente. Anche per tale aspetto S. Giuseppe Artigiano rivela la sua adesione, almeno nell’immagine esteriore, a questa corrente artistica. Al contrario S. Antonio di Padova ha sia la sua facciata sia i muri laterali divisi in fasce che seguono la linea dell’orizzonte.
Parlando del fronte abbiamo qui una partizione in tre della facciata: una prima è quella dove vi è l’ingresso principale, il quale ha un’altezza grosso modo equivalente a questa parte più bassa, e le due porte che, simmetricamente, lo affiancano, più piccole, la seconda è quella del nastro delle bucature strette e lunghe, verticalmente di cui si è detto e, infine, c’è il timpano.
Questa tripartizione della parete diventa bipartizione sui fianchi a meno che non si voglia aggiungere il piano basamentale, quello su cui poggia la chiesa, dove il bugnato in pietra che lo riveste fa pensare a qualcosa di appartenente, nel medesimo tempo, al suolo e all’elevato; in S. Giuseppe Artigiano per il prospetto lungo (solo uno perché all’altro è addossato il corpo dei servizi parrocchiali) non ci si può riferire a livelli, nel modo come si è fatto per l’altro edificio di culto, presentando la superficie qua e là, senza un ordine definito, cioè senza allineamento fra di loro, volumi che fuoriescono da essa, tondeggianti o a parallelepipedo e, perciò, configurando una faccia irregolare.
Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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