Sulla diserzione della fotografia prodiga
di Pino Bertelli
Saggio sulla mostra fotografica “Jazz & Co.”
La fotografia è un pugnale nella carne o il respiro libertario dell’irragionevolezza che non imita il pensiero ma ne detta la coscienza!… è impossibile vedere la fotografia di una star (al di là del valore artistico reale o attribuito) senza non pensare che è un fenomeno da baraccone… un artista è un avvenimento solo per gli affari che promette! e ciascuno, a proprio modo, crea la propria leggenda, diceva quello che lo impiccarono per mancanza di fede in tutto!
I cani da riporto (giornalisti, storici, produttori, manager, addetti stampa)… descrivono le gesta del mito per depositarlo sugli scaffali dell’intrattenimento… l’adorazione delle folle fa il resto! La provocazione, l’insubordinazione, l’eccentricità fanno parte del pacchetto da vendere… il falso è a corredo del paesaggio artistico, quale che sia, e dopo l’eccesso e le grida, non restano che piccoli uomini e donne che si fanno un buco in più e se ne vanno da una vita ricca, quanto stupida o insopportabile… ma è solo un altro modo per consegnarsi alle stesse formule commerciali che li promuovono a santi!
La messe di fotografi che implora, sottrae o incensa le star della musica… si spreca… fotografano il mito, mai l’uomo! certo, il mito vende, l’uomo è spesso la copia sfocata di quello che appare sul palco… è vero, anche il genio è solo un uomo per il suo cameriere, diceva Goethe o Hegel o quel clochard che ha forza di studiare Dante e insegnarlo all’università, aveva capito che la realtà è nella strada e da nessuna parte! Lo stile è l’arte delle ricette e non ci può essere nessun stile nell’euforia, nell’ottimismo o nella piaggeria… avere uno stile significa conoscere la prodigalità del linguaggio affinato nell’inconcepibile!
Walter Whitman, Ezra Pound o Pier Paolo Pasolini, ne dettano le riserve di bile, d’amicizia o d’amore!… In epoche sincere… si poteva fare a meno del pane, del vino e della tristezza, poiché non c’era nulla da spiegare di ciò che non si sapeva… la gloria era considerata appannaggio di tarati mentali in cerca di medaglie e pubblici cippi… gli eroi, i martiri e i beati di guerre o stadi ricolmi d’approvazione, rappresentano un passo in avanti verso il trionfo dell’insignificanza!
Di tanto in tanto escono dal bosco delle disillusioni, poeti non sovvenzionati dagli assegni familiari… si fanno compagni di strada di sentimenti e passioni sfrontate e senza farsi discepoli di nessuno scoprono l’arte, facendola! Il portolano d’immagini che il giovane molisano Michele Montano ha scattato a personaggi, più o meno importanti — dello scenario musicale italiano —, come si dice al bar o nelle cene tra amici dove si fa cultura (specie di sinistra, quella al caviale), esposti in mostra (Jazz & Co.)… riporta la fotografia a quello che è o dovrebbe essere… un atto di bellezza o di criminalità accettate, che sono la medesima cosa… Montano s’appoggia alla bellezza… sa che quando il “saggio” smette di riflettere, il folle comincia!
Così imbraccia la fotocamera e ritaglia l’artista nell’amorevolezza del momento… non lo celebra né lo depone nello spettacolo che dà di sé… lo raffigura al suo meglio, anche se il divo non lo sa! La volgarità, come il successo, sono contagiosi! la tenerezza per le proprie miserie, mai!
A nostro disdoro dobbiamo dire che la nostra ignobile e incomprensibile ignoranza della cultura musicale è da disadattati… si ferma a “Woody” Guthrie, Georges Brassens, Jacques Brel, Fabrizio De André o alle romanze di Giacomo Puccini e “Bella ciao”… le cover dei Beatles e dei Rolling Stone le usiamo per il cesso dei gatti, ma le gradiscono poco anche loro… è la pretesa d’eternità degli scarafaggi e dei ciarlatani della linguaccia che dissertano sulla libertà dai castelli, che ci rende furenti!
Meglio grattarsi i pidocchi che frequentare imbecilli di questo livello… come Dio non parlano che di se stessi! e nemmeno sanno spararsi un colpo in bocca, così tanto per aumentare il fatturato del merchandise inzuppato nella lacrime degli adoratori di Miti… sono davvero rammaricato di non aver potuto, come altri, prenderli a pugni o a calci in culo nell’ora del tè.
Le immagini prodighe di Montano, dicevamo… mostrano che la fotografia è finita quando smette di generare eresie… i neri intensi, i bianchi forti, la composizione tenuta al limitare dello sguardo… colgono frammenti autentici della star (evitiamo di fare i nomi, poiché alcuni sono così famosi da fare invidia a un killer con serie intenzioni di destituirli dai loro imperi)… l’accolgono nella bellezza della loro fragilità di uomini, prima che di artisti!… cazzo!
Allora si può fotografare anche Dio! come è successo ad Auschwitz con i mucchi di corpi accatastati a monito dell’eternità del male! certo… basta che dietro la fotocamera ci sia un poeta e non un coglione da calendario Pirelli!
Darei tutti gli artisti più fulgidi in cambio di un solo bambino scampato alla forca del consenso o per un verso d’amore di Emily Dickinson!
Così, d’infilata, Montano imperla una catenaria fotografica di notevole eleganza autoriale… ha la scortesia d’essere profondo… gl’importa poco o quanto basta dell’artista che ha di fronte… non ha l’ossessione del mito quanto dello sconosciuto… esegue una partitura visuale austera e ne avverte le illusioni, quanto le alienazioni, riesce a cogliere la realtà spingendosi al di là della realtà… il ventaglio creativo del fotografo s’accosta al linguaggio del corpo… ne ripercorre i valori, le sfumature emozionali, i piccoli atteggiamenti che molti non vedono… è una sorta di umanesimo restituito alla verità… che sovente anche ai fotografati sfugge…
A Montano non interessa la religiosità del concerto, dell’evento o del valore deputato all“artista”… sembra cercare la ciascunità, l’origine o la finitudine dell’uomo quasi sempre cancellato dal mito che ne consegue…
La discontinuità delle composizioni riflette la forza interiore del fotografo… mira all’essenziale e lo materializza attraverso una patristica ereticale della verità minore… quella più celata, quasi anamorfica… sembra sapere che quando la verità non distrugge la creatività né consegna le spoglie alla storia.
La ritrattistica di Montano è un linguaggio fotografico in evoluzione… il fotografo sembra avvertire che la fotografia sarebbe abominevole se non fosse già condannata dalle banalità del mercato… così cerca di affabulare un’architettura visiva, anche un po’ incerta (specie nei tagli del negativo), che supera la riconciliazione col nemico e s’invola nei sentieri accidentati dell’utopia dove s’impara a vivere, come a morire, alla confluenza dei sogni!… Un’opera d’arte è viva, è vera, è buona non solo se è una protesta… ma quando si comprende che appena sono comparsi i miti sono comparse le ghigliottine… e specie quando si cade nella maniera che si scontano le pene d’essere compresi!
L’iconografia prodiga di Montano, non solo in Jazz & Co., rifugge da estetismi e infantilismi da ribalta… riluce di un’estetica immediata, tesa tra luci e ombre che cercano i valori etici che la suggeriscono… è una poetica disincarnata dalle compromissioni col fascino del potere… una sorta d’immaginario libertario che cerca le origini del “bello” e coincide con il bene comune… nelle sue fotografie Montano chiama a raccolta la giustizia della vita e la bellezza che essa può offrire… ci sembra… sulla soglia della fotografia prodiga Montano non condanna la presenza dell’uomo, della donna nella civiltà dello spettacolo, raffigura il dolore secolare che la riscatta!… sa che è impossibile vivere nella fotografia mercatale e farci bella figura!
La fotografia prodiga, va detto… è una diserzione dalla schiavitù dell’imitazione… è la situazione ricostruita e la ricontestualizzazione di ciò che si fotografa… restituisce l’immaginario a ciò che tende a divenire reale… è una concezione dinamica dell’intuizione fotografica che organizza gli influssi culturali in estremismi più seri dei semplici attentati al buon gusto della società, Guy Debord, diceva… uno spaesamento strutturale della domesticazione sociale… è qualcosa che a che vedere con il libero sguinzagliamento delle passioni e il gran gioco deliberatamente scelto per reinventare la vita quotidiana! Anche la fotografia, quando non è una promessa di felicità, dev’essere distrutta!
Le belle avventure non finiscono mai! specie se hanno scaturigine dal ricatto dell’utilità, destituito!… l’inizio di un’epoca è tutto qui! La fotografia è una sommatoria di adulazioni o crimini impuniti… una categoria di scimuniti (professionisti e amatori è la stessa cosa) che ispirano fama, indulgenza e commiserazione… e almeno per noi che stiamo bene in compagnia di dissoluti, libertini e ubriaconi… non saremmo dispiaciuti ad assistere alla sua totale liquidazione!…
Occorre scendere il più in basso possibile per abbeverarsi alle fonti dello stupore e della meraviglia della fotografia!… si tratta di profanare il linguaggio sacrale che impone, alterarne i valori, dirottare gli insegnamenti… fare a brandelli le definizioni!… finché resterà in piedi un solo padrone dell’immaginario, il compito del fotografo non sarà finito. La fotografia in utopia, come l’amore, non si concede, ci si prende.
Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 6 volte febbraio, 2021
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