Il Savoia, teatro di prosa, non più anche lirico

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Nato durante il regno dei Savoia è stato reinaugurato, dopo i lavori di restauro, dal Presidente della Repubblica Ciampi nel 1993. Non è solo un fatto di celebrazioni, perché nell’attuale configurazione della parte scenica per voler rappresentare la svolta democratica è stato eliminato lo spazio per l’orchestra forse ritenendo, ma sbagliando, che l’opera lirica sia appannaggio dell’èlite e non dell’intero popolo.

È vero che il Molise è sempre in ritardo, ma non tanto nelle strutture teatrali. Così come altrove in Italia anche da noi vi è uno iato tra i teatri di età antica e quelli della fase moderna che qui, forse, è un po’ più ampio se si considera che in alcune località del centro-settentrione cominciarono a comparire edifici appositamente progettati come teatri già nel XVIII secolo (esperimenti ve ne sono stati pure in quello che lo precede) mentre a Campobasso si è avuto il primo teatro solo alla fine del XIX, il, Teatro Gammieri; la differenza di un paio di centinaia d’anni non è poi tanta se confrontata con i quasi 2.000 che intercorrono tra i teatri romani e quelli successivi.

Ci possiamo accontentare, mentre c’è poco da accontentarsi relativamente a quelli contemporanei che non ce ne sono, lo si dice, per inciso. Il teatro molisano più remoto è quello di Pietrabbondante il quale risale al periodo sannita, cui segue come datazione il teatro di Altilia voluto dai Romani (testimonianze di un teatro vi sono anche a Venafro) ed entrambi sono caratterizzati dall’impianto semicircolare con gradinate; le soluzioni architettoniche che si adottano dopo sono, invece, connotate dalla presenza di una serie di palchetti che cingono uno spazio piano, conservando del vecchio schema del teatro solo la pianta a semicerchio, approssimativamente.

La variante, dunque, sono i palchi al posto delle gradonate. In verità, l’antecedente del teatro come lo conosciamo oggi non è giusto ricercarlo tanto indietro nel tempo, quanto piuttosto nei saloni in cui avevano luogo rappresentazioni sceniche. Il precedente vero del Savoia, che fra poco festeggia il suo centenario, l’unico teatro propriamente detto del capoluogo e dell’intera regione ancora oggi, è il Teatro del Genio che stava nel Fondaco della Farina e non i resti di quello di Sepino. La ragione è che entrambi sono ambienti coperti, al contrario dei teatri dell’antichità.

Il Teatro del Genio in cui si svolse uno spettacolo drammaturgico in onore del futuro Francesco II di Borbone, dunque a inizio dell’800, è l’antenato diretto per questo riguardo, cioè la copertura del Savoia, anche se pure i teatri di epoca archeologica possono rivendicare un qualche diritto di paternità per la loro forma curvilinea sul Savoia. Questo verdetto salomonico si giustifica ulteriormente tenuto conto che la “linea di sangue” tra il Savoia e le architetture teatrali della classicità (forzatamente ricomprendiamo in tale termine l’ellenismo che riguarda Pietrabbondante) è rafforzata dalla presenza in tutti di una superficie destinata all’accompagnamento sonoro delle voci degli attori che recitano.

Essa sta tra la scena, diventata palcoscenico, e la cavea diventata platea, rispettivamente la buca dell’orchestra e il coro; con il recente restauro del Savoia, però, l’arco sottostante il palco (sotto non davanti come il coro) dove si situano gli orchestranti è stata eliminato, allentantosi il legame di consanguineità di cui sopra. Ci sono, comunque, due cose rispetto alle quali teatri come il Savoia sono differenti da ogni altro tipo di teatro dei tempi andati e le vediamo di seguito. La prima è relativa al palcoscenico che è nettamente diverso dalla semplice scena, con o meno parasceni, una sorta di evoluzione della specie, dei teatri costruiti negli altri momenti storici, tanto lontani quanto vicini.

Il palco ha una profondità ben maggiore della pedana destinata alla recitazione delle strutture teatrali di prima. Ciò, ovvero lo spessore superiore dell’area in cui si muovono i protagonisti dell’opera teatrale rende più realistica la narrazione drammaturgica. Uno dei motivi, se non il principale, di tale rivoluzione sono le innovazioni nel campo della scenotecnica intervenute tra ‘700 e ‘800 che hanno permesso il rapido cambiamento dei fondali fra un atto e l’altro della commedia ovverosia dramma. Si tratta di macchinari azionati dall’alto che, però, hanno necessità di occupare una parte della superficie scenica senza, comunque, essere visibili.

I lavori eseguiti al Savoia ai principi dell’ultimo decennio del secolo scorso sono consistiti anche in un aggiornamento tecnologico di questi apparati. È da dire che se tali novità sono indubbiamente positive esse, ad ogni modo, hanno un risultato negativo allontanando, in conseguenza della separazione netta del luogo dello svolgimento delle vicende narrate, il palcoscenico dalla platea; rimane solo il proscenio il quale sta innanzi al sipario ad essere a contatto stretto con il pubblico, a favorire il superamento della distanza tra realtà e finzione.

Esso è anche il luogo dove si svolgono conferenze, si tengono convegni, ecc. Il “teatro totale” delle Avanguardie Artistiche del Movimento Moderno prolungando il palco, mediante qualcosa di simile ad una passerella così come si fa nelle sfilate di moda, puntava ad un coinvolgimento degli spettatori con quanto era in corso sulla pedana. Una riflessione in tal senso, sul consentire una più stretta partecipazione delle persone agli eventi drammaturgici senza necessariamente porsi come modello il “teatro di strada”, un’esperienza unica, potrebbe essere utile nella definizione di un nuovo “contenitore” teatrale che si affianchi in città al Savoia, al passo con l’era attuale.

La seconda delle cose che si diceva sopra concernenti l’indipendenza del Savoia da un rapporto di filiazione con le tipologie pregresse di teatro è quella dell’altezza. Lo stabile (non nel senso di teatro stabile, un obiettivo cui mirare nel futuro) campobassano può essere definito pluripiano per via dei 4 livelli di palchetti, in verità 3 l’ultimo è il loggione, presenti, a differenza dei tipi di teatri che si sono affermati in altre fasi temporali i quali sono sempre ad un piano solo. Essere alti significa aumentare il volume e, va da sé, la capienza.

Non è che si possa crescere indefinitivamente e già 4 ordini di, assimilando il fabbricato per teatro a quello per residenza, balconate (non a sbalzo!) che fino al terzo impalcato sono piuttosto dei balconi essendo tenuti distinti l’un l’altro dalle colonne che sostengono l’impalcato, sono abbastanza se non si vuole che chi assiste allo spettacolo ne abbia una visione schiacciata. Pure la dimensione planimetrica non può andare oltre certi limiti, scavalcati i quali gli spettatori non riescono a sentire e a vedere distintamente ciò che va in scena.

Non è solamente a scopo descrittivo che si dice ciò, ma pure per invitare a non lamentarci o, addirittura, a ritenere che sminuisca il prestigio della cittadina il fatto che il “suo” teatro non sia della stessa taglia di quelli dei centri grandi, perché, se le misure, lo si è già evidenziato, si dilatano troppo l’udito e la vista del pubblico rimarranno penalizzati. E poi c’è la soluzione, se l’audience è elevata, al posto di incrementare la stazza del teatro (o di togliere l’orchestra per avere posti a sedere) che è quella di organizzare delle repliche degli spettacoli più apprezzati. In ultimo, brevissimamente, si coglie in teatri come il Savoia una natura insieme a quella di tipo culturale di natura sociale e Sociale, infatti, si è chiamato per un tempo, forse per l’attenzione dedicata al foyer quale punto di incontro.

Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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