Dal Vecchio al Nuovo Romagnoli, l’evoluzione della specie

Si è trasformato completamente il campo da calcio campobassano, da centrale a periferico, da semplice terreno di gioco a “macchina” da spettacolo sportivo. È iniziato ogni cosa quando il Campobasso fu promosso in serie B. È necessario che tutto cambi perché tutto rimanga com’è e così è nello sport se si vuole che l’epopea della squadra cittadina possa continuare.

Per parlare del nuovo stadio conviene iniziare con il parlare del vecchio, o meglio iniziare con la comparazione fra i due la quale farà emergere, per differenza, le peculiarità del nuovo. Rende legittima tale operazione la loro comune intitolazione alla Medaglia d’Oro Romagnoli preceduta dal predicato, rispettivamente, di vecchio e nuovo. Procediamo, dunque, con il confronto rispetto ad alcuni temi significativi precisando che l’ordine con cui si susseguono è casuale.

Innanzitutto conviene far rilevare che il vecchio Romagnoli era destinato tanto allo sport praticato, oggigiorno si è aggiunto il rugby, quanto alle manifestazioni sportive come gli incontri del campionato di calcio, mentre il nuovo è adibito esclusivamente a queste ultime. Piuttosto che un’Attrezzatura Sportiva, in senso urbanistico, è un manufatto per l’intrattenimento con manifestazioni sportive principalmente, ma non solo. In entrambi i casi, comunque, quelli extra calcistici sono eventi che hanno un carattere di eccezionalità; nel vecchio Romagnoli si è tenuto il raduno dei fedeli per celebrare la storica visita del Papa nel Molise, al nuovo si svolse un concerto di musica leggera.

Sono esibizioni queste per le quali esso si è attrezzato con la realizzazione di quattro torri metalliche, una per ogni angolo dello stadio, che sorreggono i fari, essendo l’illuminazione artificiale indispensabile per eventi simili i quali, è d’obbligo, avvengono in notturna (è ovvio che lo scopo primo è il pallone). Il vecchio Romagnoli non è poi tanto diverso da altri campi di calcio, quelli che sono dotati di tribunetta per gli spettatori e sono abbastanza, da Boiano a Trivento, Vastogirardi, ecc., a differenza del nuovo stadio che, invece, è unico nel panorama regionale.

In comune, vecchio e nuovo, hanno la presenza delle “curve”, in verità 4 nel nuovo, angolo mitico dello spazio per il pubblico intorno al terreno di gioco, in cui, in genere, si collocano i tifosi più, diciamo, rumorosi, che incitano con maggiore forza la propria squadra del cuore. In ambedue le strutture sportive la curva non occupa (è una sola nel vecchio, le persone di mezza età lo ricordano) una superficie notevole del loro perimetro perché si tratta di impianti calcistici rettangolari e, quindi, rappresentano semplici smussature dei vertici del rettangolo, non, per capirci, archi di cerchio come negli impianti ovali; è bene far notare che si ha, gioco forza, l’ovalizzazione della struttura quando il campo di calcio è contornato dalla pista di atletica leggera la quale nella nostra città sta separata tanto dall’uno quanto dall’altro Romagnoli avendo dedicata ad essa un’apposita infrastruttura, il Campo Scuola.

È pressoché accidentale il fatto che nel Romagnoli storico vi sia una curva poiché nel resto dei campi di calcio coevi della regione non la si trova e ciò deriva dalla particolare morfologia del suolo di una parte, angolare, della fascia circostante il terreno di gioco riservata agli spettatori, che è in pendenza nei due versi che convergono sul “corner”.

È interessante, si ritiene, osservare che qui è l’orografia a dare lo spunto alla sistemazione quale settore per il pubblico della curva, predisponendo file di posti a forma di ventaglio; al contrario nello stadio nuovo, e ciò vale per l’insieme degli spalti, il piano di campagna piatto che è la quota del rettangolo di gioco è sormontato in ognuno dei quattro, lati da un rilevato in terra, opera antropica del tutto; tale “cordigliera” è una specie di basamento su cui si erge l’impalcato in cemento armato che sostiene le solette gradonate con le postazioni per gli spettatori; la sua elevazione è notevole ed è evidente che pure quella delle curve lo è.

In altri termini, se in pianta una curva del nuovo stadio può avere il medesimo sviluppo di quella del vecchio Romagnoli, in altezza essa è molto più estesa. L’assenza della pista di atletica, la quale altrove si interpone tra il campo di calcio e gli spalti, fa sì che gli spettatori stiano assai vicini ai giocatori e ciò giova all’incitamento delle squadre in competizione, accrescendo il pathos della gara, l’attrattiva dello spettacolo. Le curve sono il settore popolare dello stadio dove il tifo ha un carattere accentuatamente popolaresco. Lo stadio è un po’ lo specchio della società: dalle curve che sono il segmento in cui si collocano le persone con minori disponibilità economiche perché il prezzo del biglietto è inferiore si passa ai “distinti” e, infine, alle tribune dove si siedono individui con superiore capacità di spesa. Prendere posto in tribuna significa, anche non volendo, una esibizione di status.

Lo stadio è, perciò, il luogo delle città, insieme al teatro Savoia forse, in cui chiaramente si legge l’articolazione sociale della realtà sociale cittadina anche in situazioni come a Campobasso dove la popolazione, in prevalenza impiegata nel terziario, statisticamente appartiene in larga maggioranza alla classe media. Per osservare il nuovo stadio guardandolo adesso dall’esterno, non più dall’interno, l’organizzazione degli spalti, adottiamo 2 punti di vista diversi, differenti per la distanza differente da cui lo si vede. Il più lontano è quello del Castello Monforte da cui appare per la sua sagoma bombata come un gigantesco disco volante planato sulla piana di Selva, appunto, Piana che in questa ottica funge da pista di atterraggio.

Viceversa, è scontato, ma si ritiene di doverlo far notare, dai sedili delle ultime file di posti si riesce ad ammirare l’antico maniero, piacevole visione che compensa, in qualche modo, la penalizzazione che si ha da qui nel seguire la sfida tra le squadre in campo per via della lontananza dal terreno di gioco, misurata sia in verticale che in orizzontale (poiché gli spalti sono, evidentemente, inclinati). Avvicinandoci, la visione non è più dall’alto, bensì frontale. Se prima a colpire è stata la planimetria che assomiglia a quella di un’astronave spaziale dei film di fantascienza, ora è l’elevato a stupire in quanto opera di ingegneria avanzata.

La struttura in cemento armato, è completamente in vista, non c’è alcun paravento a mascherarla, come potrebbe essere un muro di cinta, qui sostituito da un recinzione metallica la quale serve a delimitare una fascia-filtro per gli ingressi degli spettatori, una sorta di area di pre-selezione. Dal di fuori, è stimolante, attraverso alcune sottili fessure della costruzione è possibile scorgere il didentro. Lo stadio non sta in un’apposita Zona urbanistica destinata allo sport, non vi sono in prossimità attrezzature per l’attività fisica, salvo un campetto, e la ragione principale per cui sta in quel sito, oltre all’essere pianeggiante, analogamente alla contigua area fieristica, è la vicinanza con uno svincolo della tangenziale il che permette ai tifosi di poterlo raggiungere senza attraversare la città (da tener conto che lo stadio è proporzionato sugli abitanti dell’intera regione, non solo sui campobassani).

Pure i campobassani devono utilizzare l’auto propria per recarsi ad assistere alle partite e ciò spiega l’ampiezza del parcheggio antistante. Lo stadio che conosciamo oggi non è lo stesso di quello delle origini poiché è stato oggetto in questo trentennio, pressappoco, di vita di vari interventi di trasformazione; è in programma il suo ingrandimento con la realizzazione di un ulteriore anello degli spalti il che ne farà cambiare il volto. Infine, si evidenzia che esso non è stato finora capace di attrarre intorno a sé servizi ristorativi, parchi giochi per bambini, ecc. che sarebbero da spunto per la gita domenicale delle famiglie dei frequentatori dello stadio, magari con tutti i membri, adulti e piccini, insieme sugli spalti assicurando un’atmosfera familiare la quale serve a contrastare il fenomeno del tifo violento che è sempre in agguato.

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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