Restauri delle antichità con prodotti della modernità
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Prima il cemento, poi l’acciaio e, di seguito, le fibre rinforzate e i solventi chimici per la pulizia delle facciate. Tutto è avvenuto contemporaneamente con quanto stava accadendo nell’edificazione ex-novo dominata dalla seconda guerra mondiale a oggi dal calcestruzzo armato per le costruzioni ordinarie e il metallo nei capannoni, mentre i tessuti fibrosi ormai vengono impiegati pure per la riparazione degli edifici in conglomerato cementizio.
Il cemento fin dai primi decenni del secolo scorso la fa da padrona sia nel campo delle nuove edificazioni, è inutile dirlo, sia nel restauro, un’attività che, in verità, prende piede proprio in quel periodo. Per quanto riguarda quest’ultimo le azioni restaurative al principio hanno riguardato essenzialmente i beni archeologici e gli esempi più significativi sono le due porte urbiche di Altilia, la porta Bojano e la porta Benevento che sono state rimontate con l’impiego, molto maggiore nella seconda, di questo materiale.
Stiamo in questi due casi nell’immediato secondo dopoguerra, mentre è degli anni 70 la ricostruzione, con un cordolo in calcestruzzo dalle linee stilizzate per far capire che si tratta di un intervento moderno, del podio del tempio A di Pietrabbondante. L’uso del conglomerato cementizio prende piede nel medesimo decennio anche nelle architetture storiche, mascherato o meno e non dipende dal fatto che ci troviamo nello spazio interno dell’opera oppure all’esterno e quali esempi prendiamo per il mascheramento le capriate in c.a. della cattedrale di Larino che sono state colorate per assomigliare al legno, dunque dentro il manufatto, e la trave in cemento armato di coronamento di un lato della facciata della chiesa a Castelpetroso di S. Giuseppe, dunque fuori.
Col cemento nel campo del patrimonio culturale si è agito anche in maniera più pesante come è successo ad Agnone nel palazzo Tirone, sede della Comunità Montana, il quale occupa una porzione del sito un tempo occupato dalla residenza feudale. Qui è accaduto che per sostenere la sala consiliare all’ultimo livello si è creato un telaio in c.a. accostato alle pareti murarie. La medesima fortuna tra le tecnologie emerse nel XIX secolo non ha avuto l’acciaio che qui da noi negli edifici ex-novo, salvo che in quelli prefabbricati, è stato utilizzato unicamente nel capoluogo regionale e unicamente nel cosiddetto palazzo di vetro, del resto la casa, per così dire, degli ingegneri in quanto ospita il Provveditorato alle Opere Pubbliche, i quali vi esibiscono le proprie conoscenze ingegneristiche avanzate, per quei tempi; la medesima cosa succede nel mondo del restauro dove esso viene impiegato solo per le coperture in ferro di resti archeologici, a volte di valore artistico e si cita la pensilina metallica che protegge gli scavi, poco più che saggi di scavo, nell’area antistante l’ospedale di Isernia.
Successivamente a questa fase primordiale si prende, per certi versi, confidenza con il materiale e sfruttando le potenzialità di assemblaggio delle aste metalliche, si è riprodotta la sagoma di un arco trionfale nel foro di Saepinum e, quindi, siamo nel settore dell’archeologia, mentre nel comparto delle costruzioni nuove l’uso dell’acciaio, puro o abbinato con il vetro, si diffonde anche in realtà minori, prendi il fornaio di Casacalenda, sì, quel panificio che ha il fronte inclinato, l’albergo Pleyadis a Boiano rivestito con pannelli in metallo e così via.
In epoca più vicina a noi a questi materiali, ormai divenuti, in qualche modo, tradizionali, si vanno affiancando nella riparazione tanto di fabbricati storici quanto di organismi costruttivi recenti, prodotti innovativi costituiti da fibre di vetro, di carbonio, ecc. tenute insieme da una matrice, una specie di legante, composta di resina epossidica. Se ne sono fatti passi in avanti da quando, eravamo nel 1984, a seguito del sisma che colpì l’alto Molise, le case dei centri storici ricadenti in tale comprensorio vennero in maniera inesorabile impacchettate da reti metalliche con sovrastante betoncino, placcaggio che, poi, se non inefficiente è stato addirittura considerato dannoso per la risposta sismica delle fabbriche e non è stato riproposto nei paesi rientranti nel “cratere” del triste terremoto di S. Giuliano.
Oggi si opera con le fasce fibrose sia nel restauro sia nel consolidamento, l’uno, è ovvio, riguardante i “monumenti” (a Campobasso, S. Maria della Libera), l’altro l’edilizia corrente, pure quella contemporanea qualora si siano manifestati danni. La ricerca scientifica sulle fibre rinforzate è stata sviluppata dall’industria automobilistica e, poi, trasferita al comparto edile imponendo un aggiornamento profondo delle abilità alle imprese artigiane.
È da considerare, comunque, che gli operatori di questo ramo economico sono ormai, da un centinaio di anni in qua, abituati al rinnovamento dei loro saperi, in conseguenza delle innovazioni tecniche, il cemento, l’acciaio, le fibre, ma anche i composti chimici adatti a contrastare la risalita dell’umidità nei muri o a cementarli, consolidarli, tramite iniezioni; sono successi più cambiamenti in questi ultimi 100 anni del millennio trascorso di quanti ne siano avvenuti nei millenni precedenti. Per tali materiali della, diciamo, modernità rimane, però, il dubbio sulla loro durabilità in quanto, evidentemente, non sono stati sperimentati dal trascorrere del tempo.
La scienza si è applicata, appunto scienza applicata, pure al miglioramento delle modalità costruttive della tradizione, non solo, dunque, alla loro sostituzione, inventando, è il verbo giusto, sistemi di precompressione dei maschi murari ai quali, nati per resistere unicamente agli sforzi di compressione, viene conferita anche la capacità di sopportare quelli di trazione in maniera analoga alle strutture dotate di elasticità (acciaio e c.a.); lavori di questo tipo sono stati effettuati in un’ala della scuola di Vinchiaturo e nel liceo Fascitelli di Isernia.
Infine, gli scienziati, adesso non della statica dei fabbricati, bensì appartenenti alle discipline biologiche, mineralogiche, fisiche e naturali, stanno fornendo un apporto sostanziale alla individuazione dei metodi di trattamento (in alternativa o in aggiunta alle sabbiature e ai getti di aria compressa) delle superfici dei prospetti di manufatti architettonici antichi sui due versanti, da un lato, della pulitura dalle incrostazioni dovute al deposito sulle loro facce esteriori di sostanze acide o di licheni o, semplicemente, sporche e, dall’altro lato, della prevenzione, mediante speciali impacchi, al formarsi di tali croste.
Nella situazione molisana dove l’inquinamento atmosferico è generalmente contenuto si riscontra, specie dove il monumento è inserito in un contesto ambientale “troppo” integro, che le epatiche che insediano la pietra dei fronti corrodendoli sono causate dalla vegetazione che sta al contorno. Può apparire paradossale, ma è proprio così a S. Maria della Strada a Matrice. Gli esperti scientifici non devono in nessun modo, ad ogni modo, prendere il sopravvento sugli architetti nel momento di decidere quale sia l’operazione da compiere.
Ancora si ricordano le critiche mosse da Vittorio Sgarbi alla pulizia effettuata sulla facciata di S. Giorgio Martire a Petrella Tifernina, la quale, secondo il critico, aveva cancellato la «patina del tempo» rendendola eccessivamente linda il che le fa perdere di autenticità. La decisione su quali siano le azioni opportune spetta, perciò, al progettista architettonico del restauro coadiuvato, comunque, dagli specialisti in biologia, petrografia, ecologia. Lo stesso vale per gli intonaci quando si distacca la pellicola della tinteggiatura.
Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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