Passato, presente e futuro della biblioteca Albino

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Nell’era attuale, quella dell’informatica, diventano sempre più obsolete le biblioteche tradizionali. Bisognerà cominciare ad attrezzarsi per la digitalizzazione dei volumi e per la costruzione di moderni cataloghi ragionati. Si era già cominciato, tempo fa, con la microfilmatura dei periodici molisani. C’è pure però un problema di salvaguardia dei testi originali molisani dei quali l’Albino è un’autentica miniera, per il loro valore in sé (si pensi solo ai caratteri tipografici).

La Biblioteca Provinciale e il Museo Sannitico erano collocati fino a molti decenni fa nel medesimo edificio, l’Istituto per Geometri e Ragioneria, occupando il piano terra, uno in un lato l’altro in quello opposto, dunque entrambi non in sede propria; solo pochi (adesso) decenni fa hanno ricevuto una collocazione in immobili a sé stanti, uno per ciascuno, non più ospiti, così, di nessuno.

L’ampiezza degli spazi a disposizione per assolvere la propria funzione, per il primo quella di conservazione del patrimonio librario, messo a disposizione del pubblico per la consultazione, e per il secondo quella connessa all’esposizione museale degli oggetti storici, oltre che alla preservazione degli stessi oggetti, aumenta, di tanto, ed essi hanno modo di acquisire una rilevanza superiore. Siamo pronti, dopo questo preambolo, a vedere più da vicino le due location partendo dal museo, avvertendo, comunque, che la comparazione in corso è finalizzata a mettere in luce, per contrasto, le peculiarità della nostra biblioteca, il tema, lo sveliamo, che ci si è proposti di trattare.

Il Sannitico trova posto nel palazzo Mazzarotta, che è di sufficiente grandezza, per una duplice ragione: è un edificio antico il quale per la sua vetustà e per trovarsi nel centro storico ben si addice ad accogliere “cose di interesse culturale”, la definizione di legge, e, viceversa, la destinazione d’uso che viene attribuita ad esso è funzionale a valorizzarlo, ad incrementare il valore e anche questo è un obiettivo della politica di salvaguardia.

Come si vede sono motivazioni che si supportano a vicenda, avvantaggiandosi del fatto che rientrano ambedue nelle mission della Soprintendenza la quale è preposta tanto all’archeologia quanto all’architettura di pregio. Questa della qualità del contenitore architettonico è un requisito che sicuramente è stato richiesto alla progettista, arch. Travaglini, della nuova Biblioteca P. Albino. Se è vero che dal punto di vista della stretta funzionalità degli spazi sarebbe stato possibile adattare a questo scopo qualcuno dei diversi fabbricati sottoutilizzati presenti in città, prendi il Distretto Militare, ci si sarebbe trovati a dover scegliere tra entità edilizie con ambienti poco stimolanti e la lettura, come nel caso della Medioteca che si è, gioco forza, accontentata della Casa della Scuola, al loro interno sarebbe stata, in qualche modo, tediosa.

Nel progetto della Biblioteca Albino dalla sala di lettura si vede il giardino pensile creato al di sopra dell’annesso auditorium e questa, quella della veduta di un angolo di verde, è una caratteristica immancabile nelle biblioteche della tradizione francese e americana. Aiuta a non annoiarsi nel tempo passato sui libri; non costituisce affatto un motivo di distrazione perché lo sguardo è limitato, quasi fosse un chiostro, e claustrale è un aggettivo che si adopera per i luoghi destinati al silenzio e alla meditazione, posti separati dal mondo, con una circoscritta supericie vegetata.

Non vi è un’apertura visuale sul paesaggio che non è consentita dalle palazzine che presidiano l’intorno della biblioteca. Viene da pensare, a tale proposito, che il terrazzo trattato a verde che è la copertura della sala convegni (o auditorium che dir si voglia) sia servito pure a far accettare alle persone che vivono lì questa “intrusione” nel quartiere (più difficile sarebbe stato accettare il peso volumetrico derivante dal suo ampliamento la cui progettazione è stata oggetto di un concorso nazionale, finora non attuato). In definitiva la biblioteca è entrata in punta di piedi nel contesto cittadino, peraltro in una sua zona centrale e perciò già densamente costruita.

Essa si preoccupa di non farsi troppo notare, scalettata com’è e dotata di vegetazione, quasi fosse per un pezzo, quello corrispondente alla sala conferenze (o convegni o auditorium, per dire che è un locale multifunzionale), un appezzamento, appunto, di terra ancora allo stato naturale. La biblioteca dal lato superiore, cioè da via Garibaldi, non è neanche percepibile perché lo stabile dell’ASREM lo occulta alla vista; esso viene a costituire una vera e propria maschera sovrapposta al fronte corto della biblioteca nel quale vi è l’ingresso ad essa.

È di sicuro, la proprietà dell’azienda sanitaria, per i suoi caratteri ricercati, un bell’esemplare di architettura ufficiale dell’Italia umbertina, e non ci sarebbe niente di male, di offensivo se qualcuno la confondesse con la facciata della biblioteca, se non fosse che essa, lo si è visto, tende a nascondersi. Ben diverso è l’atteggiamento, serve il raffronto, dell’altra biblioteca pubblica presente a Campobasso, quella universitaria. Mentre la Biblioteca Provinciale cerca di non dare troppo nell’occhio, quella dell’Università con il suo tetto addirittura sfacciato per la lunghezza della falda, al contrario, non fa mistero di volersi imporre all’attenzione della collettività.

Quest’ultima ha un rapporto con il contorno paesaggistico completamente opposto a quello di quella della Provincia: la biblioteca dell’ateneo intende candidarsi ad essere un motore del rinnovamento dei quadri panoramici i quali da ora in poi, in un consistente raggio dell’insediamento urbano, la avranno quale fulcro percettivo (si ricorda che la percezione oltre che fisica è mentale), una sorta di Landmark, in ciò distinguendosi in maniera netta dalla Albino che, invece, con la gradonatura della sagoma conferma l’andamento del suolo e, di conseguenza, ha uno scarso impatto sui lineamenti dell’immagine urbanistica.

Passiamo, proseguendo con l’analisi comparata, alla questione della facciata che nella Provinciale in nessun modo c’è, osservando che quella della Biblioteca dell’Università è, in definitiva, il prospetto dell’Università nel suo insieme, perché è l’interfaccia del lungo complesso architettonico dell’ateneo con la città, il fronte del Rettorato essendo discosto dalla viabilità principale.

Infine, ovvero il punto finale di questa disamina in parallelo dei due istituti bibliotecari, è relativo alle loro raccolte librarie che in quella universitaria consiste nei testi attinenti alle materie di insegnamento nei vari Dipartimenti, quando nella Provinciale è di impronta generalista; ciò si giustifica in quanto la prima è destinata agli studenti, la seconda alla popolazione nella sua generalità e ciò giustifica, inoltre, il fatto che la prima è in periferia, nella zonizzazione del PRG un’area specializzata per l’istruzione, la seconda nel cuore dell’abitato. In ultimo, veramente in ultimo, anche se non per l’importanza dell’argomento, si aggiunge che se è fattibile la transizione al digitale dei volumi scientifici, quelli della Biblioteca dell’Università, non lo è altrettanto il reparto delle pubblicazioni storiche dell’Albino le quali hanno valore pure per la carica semantica che si portano dietro i documenti cartacei del passato. La Albino è lo scrigno della memoria del Molise e va preservato.

Francesco Manfredi Selvaggi633 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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