Falansteri made in Campobasso
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Il palazzo INCIS, la «nave» ovvero il palazzo Di Penta, il «grattacielo» sono tre immobili a destinazione residenziale di grande dimensione, capaci di condizionare l’immagine della città. Poi vennero, ma è un’altra storia, l’edificio di via Monte Grappa dello IACP e le Cooperative edilizie.
Il primo edificio per appartamenti è quello denominato INCIS in piazza, adesso Falcone e Borsellino, il quale rimane ancora il più grande dopo quello realizzato negli anni ’90 in via Monte Grappa dallo IACP. È utile la comparazione fra i due che hanno in comune la consistente dimensione, al fine di metterne in luce alcune peculiarità. Iniziamo dalla collocazione che per entrambi è periferica o, almeno, lo era quando fu costruito per l’INCIS. Se ciò, la scelta dell’ubicazione, li accomuna, li differenzia, invece, il rapporto che essi instaurano con la città.
Il fabbricato IACP, progettato dall’arch. Maria Luisa Benevento, sembra volutamente distaccarsi dal contesto urbano essendo fuori scala rispetto all’edificato circostante; in qualche modo, esso colloquia piuttosto che con il suo intorno con l’intero agglomerato edilizio ponendosi quale possente muraglia che delimita i confini cittadini. Al contrario il palazzo dell’INCIS ha uno stretto legame con l’impianto urbanistico collocandosi al vertice di quell’ideale triangolo formato per due lati dagli assi viari che provengono dal «borgo murattiano», viale Elena e via Petrella, chiudendo la prospettiva che si apre da essi. È un vero intervento di town design, un elemento ordinatore della maglia insediativa.
L’intervento dell’Istituto Autonomo delle Case Popolari con la sua forma che accenna, essendo leggermente concava, al ferro di cavallo condiziona il suo immediato spazio esterno concepito come area a verde e parcheggi di pertinenza delle abitazioni, mentre l’architettura dell’INCIS sembra volersi curare o addirittura prendersi carico dell’immagine di questa parte di Campobasso, conferendo all’ampia superficie vuota sulla quale prospetta i caratteri di una piazza.
Va evidenziato, per comprendere meglio tale differenza di impostazione architettonica, che l’immobile dello IACP deve rispettare il cosiddetto rapporto di copertura per cui ad un tot di volumetria deve corrispondere una determinata percentuale di terreno libero, vincolo che non esisteva al tempo dell’edificazione dell’INCIS il quale occupa totalmente la particella catastale assegnata.
Infatti ad eccezione di poche decine di metri quadri destinati a corte semiaperta che volge verso il lato posteriore della struttura edilizia, il quale sicuramente può essere letto alla stregua di un «retro», l’INCIS, la sua impronta, coincide totalmente con il lotto su cui si insedia; a questo proposito si vuole aggiungere che nonostante che il suolo su cui si situa sia piano, il che avrebbe consentito la massima libertà compositiva, il palazzo dell’Istituto Nazionale per le Case degli Impiegati Statali, ha una pianta trapezoidale che è, di certo, più un adattamento della tipologia che una scelta.
La predetta planimetria, in altri termini, che è un trapezio irregolare è frutto del condizionamento della maglia viaria che la circonda; alla stessa maniera, la gerarchia dei fronti, quello prospettante verso la strada di comunicazione extraurbana, all’epoca, il meno interessante. Un altro grande edificio che contrassegna il panorama cittadino, pur esso a scopo residenziale, è il palazzo Di Penta (dal nome del costruttore) che sta a cavallo tra piazza della Vittoria e quella della Repubblica e tale posizione determina una diversa rilevanza dei prospetti perché prima questa seconda piazza su cui affaccia il fronte secondario era uno slargo che è stato reso accessibile dal centro solo più tardi mediante la demolizione di un piccolo manufatto il sedime del quale coincide con l’attuale braccio stradale collegante con la zona ovest dell’abitato.
Il suo impianto volumetrico allungato ha un qualche sapore navale per cui viene identificato generalmente come nave o transatlantico. Le navi sono, però, dei manufatti funzionalisticamente compiuti che, pertanto, non possono essere oggetto di accrescimenti, cosa che può avvenire in un edificio «in linea» al quale è consentito aggiungere un ulteriore blocco servito da un’ulteriore scala. I transatlantici sono non solo delle navi di stazza maggiore, bensì degli organismi assai più complessi, delle autentiche città galleggianti con alloggi di varia taglia, comprese le cabine, servizi, locali per il tempo libero, niente a che vedere con il nostro immobile che è una semplice sommatoria di appartamenti.
Neanche a piano terra, salvo che per un bar, sono previsti magazzini, attività commerciali o altro; sarà perché non intendeva istituire relazioni con il vicinato, per così dire, ponendosi quasi isolata nell’insieme abitativo quest’opera doveva apparire quale naviglio ancorato nella rada, le aiuole fronteggianti la facciata principale ricordando, in infinitesimo, uno specchio d’acqua, verde e non azzurro. Questo è un palazzo, a differenza del resto delle iniziative immobiliari di quei primi decenni del secondo dopoguerra, che si concretizzano in palazzine.
Tali ultime differiscono da questo (sono sempre utili i confronti per far emergere le singolarità), oltre che volumetricamente, per il legame strettissimo che hanno con il disegno della trama urbanistica; per esemplificare, si prende via Mons. Bologna in cui l’espansione abitativa lungo un lato della stessa è avvenuto con la ripetizione del medesimo modulo, palazzina singola e strade tutt’intorno che è ciò che si chiama isolato, il minimo denominatore multiplo della città. Ne deriva, considerazione scontata, una città a misura di palazzine.
Infine tra le masse volumetriche più imponenti del capoluogo regionale, sicuramente la più sviluppata in altezza, anch’essa destinata ad ospitare residenze, vi è il «grattacielo». Esso è un’alta torre che sorge in un sito centralissimo, all’angolo tra viale Elena e corso Bucci, e proprio per tale posizione viene a configurarsi alla stregua di una cerniera visiva a scala urbana e non unicamente del quartiere in cui ricade. Il grattacielo nostrano ha un forte significato simbolico volendo rendere evidente il processo di modernizzazione in corso nella realtà molisana e, in particolare, nella “capitale” della Provincia, unica fino al 1972, che si stava apprestando a trasformarsi in Regione, cosa davvero non da poco, in cui si nutrivano tante speranze.
Francesco Manfredi Selvaggi633 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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