A Loch Ness il drago, nel Liscione il ponte di Annibale

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Il lago di Guardialfiera presenta molteplici aspetti che possono stimolare l’interesse turistico, da quello paesaggistico a quello naturalistico a quello storico per la presenza, visibile solo in certi momenti, del ponte detto di Annibale o della Reginella che sembra quasi uscito da un romanzo gotico.

Il Molise è una terra nei suoi lati corti, essendo riconducibile la sua forma ad un parallelogramma, che sono la fascia appenninica e il litorale, oltre che in quella specie di protuberanza che è l’alto Molise, connotata da eccezionali valenze ambientali, dal Matese alle Mainarde, entrambi parchi nazionali, alla montagna di Capracotta oggetto di una proposta di parco regionale. La parte collinare della regione compresa tra tali emergenze naturalistiche e i bacini del Trigno e del Fortore, i quali sono i lati lunghi, non ha un’identica quantità di valori ecologici.

I due laghi del Liscione e di Occhito che pur artificiali si sono oggi naturalizzati cercano, in qualche modo, di colmare tale gap o, perlomeno, di ridurre le differenze in termini di pregevolezza dell’ambiente. Sul Liscione, in particolare, che è, a differenza di Occhito, interamente regionale e peraltro posto proprio al centro, collocato com’è nel tratto intermedio del corso del Biferno il quale è l’asse mediano ideale in senso longitudinale del territorio regionale, si sono riversate le aspettative maggiori per il riequilibrio qualitativo dal punto di vista ecosistemico tra i vari ambiti molisani o, quantomeno, di diminuire le distanze, ancora forti, fra di loro.

In definitiva, non potendo puntare su nient’altro, cioè su nessun elemento eclatante del sistema naturale nel medio Molise, si sono affidate le speranze agli specchi lacustri, specialmente, lo si ripete, a quello del Liscione e non solo per la sua posizione geografica all’interno della parte rettangolare della regione, ma anche perché facilmente raggiungibile tramite la Bifernina, la nostra principale arteria viaria, che lo attraversa mediante viadotti per intero.

Siamo giunti al dunque, il quale è che a questi invasi artificiali andava assegnata insieme alla destinazione irrigua, a quella potabile, quest’ultima superata dall’entrata in funzione dell’Acquedotto Molisano Centrale, e a quella, in verità successiva derivante dal «decreto Berlusconi» del 2004 relativo alla difesa idrogeologica, di laminazione delle piene, anche una ulteriore, turistica. Tale attribuzione di un ruolo per lo sviluppo del territorio venne, per primo, rivendicata, dopo poco più di un decennio dalla costruzione della diga, dal Consorzio Pro Lago, l’antesignano, per certi versi, del Contratto di Lago di cui si parla tanto oggi.

L’animatore fu l’ingegnere Vincenzo del Re e produsse mostre, convegni ed una pubblicazione curata dal docente universitario Alessandro Del Bufalo. Bisognerà aspettare molti anni, siamo agli inizi del nuovo millennio, per la redazione di progetti concreti finanziati da fondi europei per la fruibilità da parte di visitatori delle sponde del lago, in parte attuati e in parte no, quelli relativi alla sua navigabilità. È da dire che tramite queste opere si tende a cambiare le prospettive, è la parola giusta, con la quale si guarda questa realtà lacuale, che finora è stata quella degli scorci panoramici, cioè dall’alto, in specifico da Guardialfiera, il paese più vicino, una sorta di belvedere “spontaneo” per le vedute che si aprono sulla distesa acquosa in vari angoli dell’agglomerato.

Una delle immagini simbolo del Liscione è il ponte a schiena d’asino che appare e scompare a seconda del livello dell’acqua, il ponte della Reginella, ammirabile solo in alcuni periodi dell’anno, quelli di secca, e solo in talune annate. Esso è di epoca romana ed è detto pure il ponte di Annibale il quale non è escluso che passò di qui per raggiungere Canne dopo la schiacciante vittoria su Roma al Trasimeno; racconta Tito Livio che il condottiero cartaginese scelse di spostarsi verso est e di seguire la costa adriatica e ponti di sicuro non c’erano oltre questo in direzione del mare per attraversare il Biferno il quale verso la foce si impaludava.

È, perciò, questo ponte un segno storico significativo e, nello stesso tempo la sua comparsa dal fondo del lago è un’immagine dal sapore gotico (un po’ come il drago di Loch Ness in Scozia), qualcosa di fiabesco, se non stregato, che accresce l’interesse turistico. Ha una capacità attrattiva, questa volta legata all’aspetto naturalistico, il Colle Peloso con la sua lecceta e, in generale, la vegetazione del luogo. Quella tipica delle rive fluviali che doveva possedere il Biferno pure in questo tratto è ormai scomparsa poiché sommersa nella massa idrica, quindi i salici, i pioppi sulle sponde e i giunchi dei canneti dentro l’alveo, così come le formazioni boschive della fascia bassa delle pendici, ovvero roverelle, cerro, leccio e orniello, le specie arboree ricorrenti nell’agro essendo stati subissati dall’acqua invasata.

Allo stato attuale il lago ha ai suoi margini essenze vegetali che hanno poco a che fare con l’ambiente lacustre, ma piuttosto con il territorio agricolo sovrastante. Ciò che più disturba sono i rimboschimenti effettuati con conifere, piante non autoctone, per fermare lo scoscendimento del suolo nei versanti che incombono sul bacino; esse, per le quali è difficile ci sia il rinnovamento al termine del loro ciclo di vita, andrebbero sostituite da latifoglie e, in prossimità delle rive con alberi di legno dolce.

Il Liscione (e anche Occhito) rientra tra i siti Natura 2000 e la sua rilevanza in riguardo all’ecologia è dovuta insieme all’habitat, alla fauna, soprattutto avifauna che lo frequenta. Tra gli uccelli si segnala per la curiosità che suscita la presenza dei gabbiani dovuta alla vicinanza del nostro lago con il mare e all’esistenza del corridoio ecologico rappresentato dal corso del Biferno che li collega.

Si vuole spendere però una parola, prima di concludere il tema della qualità ambientale, riprendendo la questione della riforestazione a sua difesa, che seppure per le varietà arboree impiegate, lo si è detto, sia criticabile è frutto di un approccio encomiabile, nel senso che nella realizzazione di un bacino idrico è indispensabile intervenire sul bacino idrogeologico, non limitarsi a progettare semplicemente quello idrico e non è solo un gioco di parole; in chiave pure turistica è necessario che si provveda al restauro paesaggistico dei fianchi della vallata che delimita l’invaso ripristinando le colture agrarie tradizionali, recuperando i sentieri, piantando siepi tra i campi e così via.

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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