Un ricordo di Pasquale Lombardi
di Giovanni Petta
Subito dopo le prime morti per droga a Isernia, venticinque anni fa, scrissi una lettera velenosa contro politici e giornalisti e la inviai a «Il Tempo». Non conoscevo Pasquale Lombardi, non sapevo che fosse il responsabile della redazione. Lui mi chiamò e mi invitò ad andare a trovarlo. Andai da lui immediatamente, ancora più arrabbiato perché pensavo che non volesse pubblicare le cose che avevo scritto.
Invece, voleva che gli spiegassi meglio il perché di quell’attacco così violento. Mi fece parlare per una mezzoretta. Poi, tirò fuori dal cassetto della sua scrivania un contratto di collaborazione e me lo fece firmare. «Se vuoi dire queste cose – mi disse – fai il giornalista. Approfondisci e scrivi».
Nella sorpresa di una reazione così inaspettata, capii che avevo di fronte una persona di grande equilibrio, una persona mite e determinata insieme.
Nei mesi e negli anni che seguirono, ho lavorato con lui e con tantissimi altri giovani che frequentavano la redazione di via Erennio Ponzio. Ogni articolo veniva condiviso, anche quelli che poi non si scrivevano ma che ci avevano tenuti per ore in un dibattito di cui lui teneva le fila. Ascoltava tutti. E di tutti si preoccupava. Tutti quelli che hanno frequentato la sua redazione sanno che non c’era problema famigliare, delusione amorosa, difficoltà nel lavoro di cui lui non si facesse carico. E lo faceva sempre con una riservatezza inusitata. Arrivavano soluzioni o anche solo incoraggiamenti senza che lui desse mai a vedere di essere a conoscenza di ciò che chi era in difficoltà stava vivendo. Era premuroso.
Aveva una voce bellissima, roca, e modi eleganti e gentili. Con quella voce e con quei modi faceva arrivare i suoi consigli a chi era alle prime armi, senza che mai quei consigli somigliassero a ordini ma facendo spesso riferimento ai grandi giornalisti che lui aveva amato. Mai una censura, se non quando ciò che si scriveva poteva offendere una persona, una famiglia, una città.
Anche Turzo gli deve molto. Pasquale volle che scrivesse quattrocento caratteri ogni giorno sulla politica e sul costume molisani. E pretese che quella rubrica – fu lui a chiamarla “Starnuti” – venisse pubblicata in prima pagina.
Ma non voglio ricordarlo solo per questo. Lui è stato un amico e un padre per tutti noi. Per chi scriveva di cronaca e per chi scriveva di sport. Conosceva da sempre il mondo dei giovani per averlo osservato da giornalista, sapeva come porsi e come farci parlare; aveva qualche anno in più di noi e la maturità e l’esperienza per lasciarsi coinvolgere emotivamente ma senza perdere lucidità. Un pomeriggio in redazione con lui era fatto di momenti di concentrazione assoluta, di silenzi di lavoro, e poi di discorsi profondi sulle nostre vite, sul futuro del nostro territorio, sul dolore che arrivava sulle nostre scrivanie attraverso le notizie di cronaca. I bar lì vicino ci vedevano arrivare intorno alle 17:30, per un caffè, sempre offerto da lui, e lì si continuava il discorso cominciato prima con i baristi e gli avventori. E spesso si tornava in redazione con altre notizie.
Voleva ogni tanto che ci vedessimo a cena, con gli altri giornalisti di Venafro, Agnone, Termoli e Campobasso. Si divertiva tantissimo durante quelle riunioni conviviali e spesso ci voleva a casa sua, a Vasto o a Fornelli. Aveva un senso dello stare insieme raro, era un astemio che mangiava poco e che però amava stare a tavola con gli altri.
Nel decimo anniversario del terremoto di San Giuliano di Puglia, volle che tutta la redazione lo seguisse per andare a visitare quei luoghi. Volle che ognuno di noi seguisse la propria emozione e si interessasse dell’aspetto che riteneva più importante. Partimmo con due macchine e passammo tutta la giornata a San Giuliano per parlare con le autorità e le persone del posto, per visitare la scuola e il cimitero.
Insomma, per me, ma penso di poter dire per tutti i colleghi che hanno frequentato «Il Tempo», Pasquale Lombardi è stato un punto di riferimento fondamentale. La sua redazione era una casa, nel senso che lì dentro trovavi i valori che in genere si trovano in una famiglia: il rispetto, la generosità, l’aiuto reciproco, l’amicizia. Pasquale Lombardi era capace di coordinare, senza essere invadente, persino le relazioni interpersonali di noi giovani che lo frequentavamo. I contrasti, i litigi che nascevano tra noi venivano subito affrontati perché il confronto era richiesto da lui che non sopportava musi lunghi e dispetti.
Anche da pensionato non ci ha abbandonato. Ci ha cercati e ha continuato a seguire le nostre vite. Nell’ultima telefonata, invece di parlare di ciò che stava affrontando, ha voluto sapere della mia serenità, dei miei figli… Mi ha chiesto più volte «…ma… come stai?» E il mio aprirmi a lui è stato facile, come lo era stato nel periodo dei pomeriggi in redazione, perché sapevo di essere ascoltato e perché sapevo che mi voleva bene. Anch’io.
Giovanni Petta76 Posts
È nato nel 1965 in Molise. Ha pubblicato le raccolte poetiche «Sguardi» (1987), «Millennio a venire» (1998) e «A» (2016); i romanzi «Acqua» (2017), «Cinque» (2017) e «Terra» (2021) ; il saggio giornalistico «L'Italia delle regioni, il Molise dei ricorsi» (2001) e, con lo pseudonimo di Rossano Turzo, «TurzoTen« (2011) e «TurzoTime» (2016). Allievo di Mogol, ha inciso «Non crescere mai» (1993), «Trema terra trema cuore» (single, 2003), «Il bivio di Sessano» (2012). Ha diretto le testate «Piazzaregione» e «L'interruttore». Ha coordinato l'inserto molisano de «Il Tempo».
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