GIL, international style in qualche modo
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Costruita nel periodo dell’Autarchia adotta ancora tecniche tradizionali. L’aspetto, pertanto, non è quello di una architettura pienamente moderna. È innovativa, però, per le funzioni che ospita, palestra e sala per rappresentazioni, mai viste insieme, né prima, né dopo.
Non c‘è nessuna attrezzatura simile alla quale il palazzo della Gioventù Italiana del Littorio si sarebbe potuto ispirare: c’erano, sì, le palestre come c’erano le sale per spettacoli, ma non esisteva prima di allora alcun edificio che le comprendesse entrambe. Bisogna sottolineare per evitare equivoci che è vero che nelle scuole possono essere comprese sia l’una che l’altra nel medesimo tempo, ma qui esse hanno un ruolo sussidiario, mentre nella GIL le stesse rappresentano l’elemento centrale, in verità due, della costruzione.
Si vuole dire che in un istituto scolastico (di ogni ordine e grado) si va per frequentare il corso di studi nel quale sono previste pure l’ora di ginnastica e le esercitazioni sceniche magari nel doposcuola poiché non curriculari, da svolgersi in spazi dedicati, al contrario che nella sede della GIL istituzionalmente preposta allo svolgimento di esercizi fisici e alle rappresentazioni teatrali (prevalentemente dilettantesche). Mancava una tipologia architettonica definita e, bisogna ammettere, manca tuttora; negli ultimi tempi sono comparsi in diversi centri molisani manufatti destinati a centri sociali, prendi Lupara e Trivento (a Colle S. Giovanni), presi ad esempio perché l’uno parrocchiale, l’altro comunale, che hanno poco in comune tra loro tanto per dimensioni quanto per attività svolte, il che non permette di individuare l’affermazione di criteri tipologici condivisi.
Il processo che si è compiuto a cavallo tra seconda metà del XIX e prima metà del XX secolo di messa a punto di modelli di fabbricati per le nuove funzioni urbane, dalla stazione ferroviaria al macello, non ha interessato iniziative analoghe a quella della GIL che si muovono nel campo della ricreazione, della cura del corpo e della cultura (la GIL, però, manca della biblioteca). Forse, per trovare qualcosa di simile come finalità istituzionali a quelle della GIL bisognerebbe risalire alla civiltà greca in cui era presente il “ginnasio” con i giovani nella cui formazione è coinvolto tanto lo spirito quanto il fisico.
In definitiva, dal punto di vista compositivo, la GIL va considerata un’opera sperimentale perché lo schema distributivo degli spazi da essa adottato ha i caratteri dell’originalità, non avendo a disposizione niente da copiare o meglio da replicare. A differenza dei centri sociali, pure di quelli ricavati in architetture esistenti, dalla Casa Casaccia fuori del nucleo storico di Riccia alla ex scuola rurale di località Taverna a Cantalupo, la GIL si colloca in una posizione preminente dell’abitato di Campobasso, all’interno della prima zona di espansione residenziale, perché essa non vuole essere il luogo della “distrazione”, di un dopolavorismo contrapposto ai momenti della vita ordinaria, del tran tran quotidiano, quanto piuttosto esprime la volontà di essere integrata nella comunità, di partecipare allo svolgimento dell’esistenza di tutti i giorni.
Lo sport e le manifestazioni culturali devono occupare una parte sostanziale della nostra giornata e, dunque, il posto destinato ad esse deve essere baricentrico rispetto al quartiere abitativo. È significativa, poi, la contiguità della GIL con la sede dell’OMNI, Opera Maternità e Infanzia, in quanto così si viene a costituire un polo di aggregazione comunitario di maggiore attrattività rispetto alle stesse strutture del partito fascista. La GIL e l’OMNI sono organizzazioni in grado di rivaleggiare pure con l’associazionismo cattolico il quale durante il regime continua ad avere presa sui giovani (nel Ventennio non è presente lo scoutismo).
Inoltre si rileva la vicinanza con la Casa della Scuola pur non potendo considerare la missione della GIL integrativa a quella del mondo dell’istruzione, avendo essa un rapporto con l’universo giovanile nel suo complesso. In precedenza abbiamo parlato del fatto se la GIL è o meno tipologicamente un’architettura innovativa e non siamo giunti a nessuna reale conclusione, di seguito si cercherà, sperando in un miglior esito, di mettere in luce in che modo la sua caratterizzazione formale è rispondente al ruolo di riferimento per il contesto sociale, in specifico per la gioventù, che è chiamata a svolgere.
Innanzitutto è necessario dire che il fascismo non ha espresso un univoco stile architettonico, i suoi edifici presentando a volte caratteri stilistici richiamanti la tradizione monumentale, altre volte adottando quale codice linguistico quello razionalista. Siamo ai due opposti, da un lato la retorica neoclassica, dal secondo lato il linguaggio del funzionalismo. Non si tratta di dissociazione mentale, potendo intravedere in tale duplicità di atteggiamento verso l’architettura una precisa logica. Per i palazzi del potere è opportuno che si scelga uno stile aulico, vedi le semicolonne ad ordine gigante del coevo Tribunale che non è molto lontano, mentre la matrice legata al Movimento dell’Architettura Moderna informa la composizione dell’edificio della GIL.
Sicuramente, è un inciso, nell’ambiente provinciale della Campobasso dell’epoca suscitò scandalo tale ultima opera non avendo mai visto i suoi abitanti niente di simile. L’architettura è chiamata a rappresentare la società, ragion per cui non c’è nulla che si addica meglio quale veste formale ad un edificio per i giovani, i quali, in ogni fase storica, hanno per valore la modernità, degli stili modernisti che connotano l’immagine della GIL.
La grammatica moderna assunta a guida della progettazione rende la sede della GIL ben riconoscibile dalle “palazzine” per abitazioni, pur rapportabili per dimensione ad essa in particolare quando presentano la tipologia “in linea”, cosa che succede a via Milano e dintorni; l’imprenditoria privata riceverà un impulso verso la strada della modernizzazione proprio da questa realizzazione che rimane a lungo l’unico esempio di international style qui da noi. Di necessità, data l’Autarchia, un international style in salsa nostrana poiché, essendo il ferro un materiale d’importazione e l’importazione é impedita, non si può fare ricorso nella costruzione alla tecnica del cemento armato, se non parzialmente, per cui essa è realizzata con murature portanti, riducendosi, di conseguenza, le possibilità espressive.
Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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