L’Eterno Autunno di Luca Angelo Spallone: tra mistero e quotidiano sordido

Dodici, racconti, dodici incubi di carta. Un immaginario comune fantastico e cupo. Attimi di trepidante attesa che si alternano a momenti di angoscia, stati d’animo penosi, omicidi e aggressioni. Qualcuno muore e qualcun altro si salva. E accade di assistere ad avvenimenti inspiegabili e prodigiosi. La scuola narrativa di Luca Angelo Spallone, scrittore e sceneggiatore molisano, è quella di Poe, Lovecraft, Matheson, Stephen King ecc. per non scomodare Kafka, il re dell’assurdo descrittore di incubi. Accade che i personaggi compiano scelte più o meno condivisibili, proprio come nella vita, interrogandosi su quanto sia possibile scendere a compromessi con una realtà, ben diversa da quella a cui sono abituati, senza impazzire o lasciarsi soggiogare. Insomma, Eterno Autunno, edito da Robin&sons, ha tutto quello che serve per togliervi il sonno.

Intervista con Luca Angelo Spallone

Partiamo banalmente dall’inizio, che gestazione ha avuto il libro? Un libro di racconti, rispetto ad un romanzo, possa essere anche il frutto di ispirazioni arrivate in momenti diversi della propria vita…
Infatti, se per quanto riguarda il romanzo ci relazioniamo a un’idea che nasce, nel caso dei racconti ci dobbiamo riferire a tante idee che nascono. Nello specifico quelle racchiuse in Eterno Autunno sono venute alla luce in tempi differenti e in circostanze molto lontane tra loro. Basti pensare che l’incipit di uno di questi racconti lo scrissi addirittura più di vent’anni fa, mentre ancora frequentavo il liceo. Completai tale incipit, ma una volta finito non mi piacque molto, e così lo riposi in un cassetto virtuale per moltissimo tempo. Successivamente ebbi l’intenzione di raccontare la confessione di un uomo attraverso una lettera. Infine pensai ma questo dopo un’altra manciata di anni, di unire i due spunti e dare vita a un nuovo progetto. Perciò misi insieme i due elaborati, ma non giunsi a un finale convincente. A quel punto ho lasciato perdere quello specifico racconto. Ma il tempo aggiusta tutto, e così altri anni dopo, mi ricordai di quella vecchia storia non finita. Stavo già scrivendo il mio libro e pensai che mi sarebbe potuta tornare utile. Quindi riprendo l’idea in mano, stravolgo quanto avevo già elaborato e aggiungo anche il finale. Finalmente sono soddisfatto. L’aneddoto divertente è che poi quel famoso incipit è stato una delle poche modifiche che l’editor della casa editrice mi ha invitato ad apportare.

Si vede che non era destino.
Un percorso così travagliato naturalmente non è la regola. Altre volte mi capita di scrivere quasi di getto, e di completare la prima stesura di un racconto breve in pochi giorni. Altre volte ancora so dove voglio arrivare perché magari ho già ideato un bel finale, e mi disegno una specie di mappa che mi guidi alla fine della narrazione.

Insomma, un libro che raccoglie quasi una vita intera da scrittore.
Sicuramente, se dici quasi una vita non vai lontano dalla verità.

Quali sono i tuoi modelli letterari di riferimento?
Non posso non citare i grandi maestri del fantastico, dell’orrore come Lovecraft, Poe, Stephen King e mi piacciono molto gli scrittori di fantascienza, come Philip Dick o Matheson. Quello che, però, ammiro più di tutti è sicuramente Kafka.

Questo tuo riferimento a Kafka è evidente all’interno del libro. Soprattutto nel quotidiano che fa “paura”.
Mi fa piacere perché è sicuramente un mio modello ed ammiro il suo modo di raccontare il fantastico, il mistero rapportato al quotidiano. Lui ha inventato questo modo di narrare dettagliato ma che allo stesso tempo lascia spazio anche ad altre interpretazioni, alla fantasia, quasi un dire e non dire.

Questo lo approfondiremo più avanti. Che rapporto hai con la paura?
È una bella domanda; nella mia cerchia sociale passo per essere abbastanza intrepido, ma la realtà è che penso che sia una sorta di dispercezione, in quanto la mia vita è una vita molto comune, ci sono poche occasioni in cui essere intrepidi. Forse nel nostro mondo la temerarietà è diventato quasi un valore superfluo. Forse è anche un bene. Comunque ho paura di tante cose, come tutti.

C’è da dire anche che il concetto di paura si è modificato nel tempo.
Certo, basti pensare al Covid. Per non parlare delle paure indotte dai media nell’opinione pubblica. Qui potremmo veramente scrivere dei trattati: dalla paura per gli immigrati a quella, tristemente attuale, dei vaccini. Viviamo in un’epoca molto paurosa, però la dimensione che ho voluto dare ai miei racconti non è solo questa, ma ho voluto pure rivalutare un po’ l’ignoto che c’è nella realtà.

La paura è dunque per te un elemento creativo e narrativo fondamentale.
Per ricollegarmi a quello che dicevo prima, la paura è essenziale. Anche se in parte, all’interno del libro sono riportate delle paure mie, delle persone che mi sono vicine o comunque paure che so che condividono tante persone. Posso farti l’esempio del racconto ambientato sulla spiaggia: io non so nuotare bene e ho paura di stare da solo in acqua dove non tocco. Scriverla e raccontarla ti aiuta ad esorcizzarla, ma la paura è anche una molla per farti agire in modo saggio. Tanto per risolverla con una battuta, è la paura della morte che ti fa amare la vita.

Tornando al modello kafkiano, mi ha colpito particolarmente l’utilizzo dell’elemento “comune” all’interno di Eterno Autunno: sia come ambientazione, ad esempio il bar, ma anche nelle relazioni come il rapporto con la madre, i problemi al lavoro, le sedute dallo psicologo. Sono tutti elementi che, personalmente, trovo più ansiogeni rispetto ad un possibile scenario di fantasia.
Per fare veramente “paura”, per interessare e per intrattenere il lettore, ho voluto inserire qualcosa che invadesse la sfera personale. Il filo conduttore che si può riscontrare in più racconti è proprio questo ignoto, questo meraviglioso che compare nella vita quotidiana e la sconvolge. Come si reagisce a qualcosa che sembra impossibile? Non è facile, poi, trovare un comportamento giusto e quindi mi sono divertito a immaginare diverse situazioni e reazioni nei personaggi. Ovviamente, per compiere tale operazione in maniera efficace, è necessario riferirsi a un immaginario “comune”, proprio come dici tu.

La prefazione di Amedeo Caruso, medico psicoterapeuta, lascia presagire una particolare attenzione alla natura umana, immagino sia stato un processo difficile, ma anche stimolante.
Entrambe le cose.

E infatti, la componente psicologica dei personaggi mi sembra fortemente caratterizzata, un elemento narrativo che traspare dalle scelte che i personaggi sono portati a compiere. Scelte che possono essere diverse da quelle che si adottano normalmente.
È esattamente così; mi sono concentrato nel delineare dei personaggi forti caratterialmente, nel senso di cercare di dare loro una forte connotazione attraverso le peculiarità, dei loro difetti e, anche se più raramente, dei loro pregi. Una bella sfida che ho dovuto affrontare 12 volte, ma è stato molto stimolante e sicuramente è uno degli aspetti che mi ha interessato di più perché secondo me la paura, in fondo, la narri con l’identificazione nel personaggio, anche se in alcuni racconti mi sono tenuto più sul classico, con la presenza del mostro.

Mi ha incuriosito molto la scelta di una playlist che accompagna la lettura di Eterno Autunno che hai svelato sulle pagine social.
La musica è una delle mie passioni, chiacchierando con la mia ragazza è venuta fuori l’idea di abbinare un brano ad ogni racconto.

Una specie di colonna sonora.
Esatto, partendo dalla domanda “a quale canzone pensi quando leggi questo racconto?” ci siamo confrontati e siamo arrivati alla scelta di 12 brani, come se questi costituissero la colonna sonora del libro. Ci è sembrato bello condividere con gli altri questa nostra “ricerca”.

Parlando di futuro, so che sei impegnato anche sul fronte fumettistico come sceneggiatore con l’associazione NOIRexist; pensi che ci sarà spazio in futuro per progetti in questo ambito?
Sì, sicuramente. La rivista a fumetti “Ossidiana” è una bella avventura che sto vivendo insieme a tutti gli altri membri dell’associazione. Inoltre il fumetto è stato da sempre una parte della mia vita e mi piacerebbe molto cimentarmi proprio con una graphic novel o con un fumetto seriale. Qualcosa a questo proposito bolle in pentola, ma non voglio rivelare troppo.

Bene, allora speriamo di leggere ancora i tuoi racconti in futuro. Grazie per il tempo che ci hai dedicato.
Grazie a voi.

Michele Colitti30 Posts

Nato a Campobasso nel 1985, ha studiato Media e Giornalismo presso l'Università "Cesare Alfieri" di Firenze. Collabora con la rivista "Il Bene Comune" dal 2010. Giornalista pubblicista dal 2014.

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