Andare a teatro ad Altilia

Francesco Manfredi-Selvaggi

Ha una funzionalità senza tempo tanto che pure in epoca recente vi si sono tenute rappresentazioni, anche di testi drammatici contemporanei. Qui si affrontano questioni soprattutto urbanistiche, quindi connesse alla sua ubicazione in seno all’impianto urbano di Saepinum.

Le questioni che le diverse evidenze archeologiche in cui ci si imbatte passeggiando per Altilia pongono sono tante e allora bisogna saper ponderare bene il tempo che si ha a disposizione. I temi che i suoi monumenti sollevano sono variegati e allora occorre fare in modo che la propria attenzione non venga assorbita esclusivamente da uno di questi. Di certo, l’area che colpisce di più è il teatro, ma attenzione a che la visita non sia troppo lunga, la tentazione c’è, perché ci sono molte altre cose da vedere oltre questa. Strutture teatrali come la presente che solo in parte è scavata, la gran parte è fuori terra, sono tra le poche testimonianze in alzato sopravvenute dall’età antica.

È più frequente trovare teatri le cui gradinate sono interamente ricavate nel terreno, un esempio a Venafro, sfruttando la collocazione su un pendio, che qui , però, non c’è trattandosi Altilia di un sito, pianeggiante. A tale proposito e rimanendo alla comparazione con Venafrum dove l’anfiteatro, il Verlasce (in comune con il teatro sono parzialmente, il nome e le attività di intrattenimento) è fuori città ci si potrebbe chiedere perché il teatro a Saepinum non sia stato realizzato extramoenia, alla base del rilievo su cui sorge il tempio di S. Pietro in Cantoni, appoggiandosi al suo fianco.

Una risposta possibile è che gli anfiteatri per via degli spettacoli cruenti che ospitava, le lotte di gladiatori e i combattimenti tra animali, con il frastuono conseguente, prodotto pure dalle grida di incitamento degli spettatori, avrebbe causato disturbo alla tranquillità della cittadina. Nei teatri, invece, ad eccezione delle pantomime le quali suscitano ilarità e, tutt’al più, schiamazzi del pubblico, gli spettacoli erano. diciamo oggi, di tipo culturale, che non creano problemi all’ordine urbano.

C’è un ulteriore aspetto da considerare il quale di sicuro è stato determinante nella localizzazione all’esterno delle mura dell’anfiteatro ed è che si tratta di attrezzature di grandi dimensioni, peraltro di “dimensione conforme”, definizione lecorbusiana, cioè che ha una grandezza prestabilita, non modulabile, almeno lo spazio scenico, in relazione alla “taglia” della città; poiché esso non era stato previsto nel momento della fondazione dell’abitato, né poteva esserlo essendosi diffusi in età imperiale, non trovava spazio all’interno del circuito murario.

Una cosa analoga succedeva per il teatro ad Altilia il quale pure sia nasce dopo la fine della Repubblica sia ha l’orchestra di misure prefissate. La sua ubicazione a ridosso della murazione urbica, quindi all’estremo dell’abitato e, soprattutto, in una fascia, quella del pomerio che va lasciata libera da costruzioni proprio perché vicina alle mura, in cui c’era il, rischio di essere colpiti da oggetti contundenti lanciati dagli assedianti, è motivata dal processo di saturazione delle superfici urbanistiche. Se la scelta del sito qui appare come un ripiego, si hanno, comunque, risvolti vantaggiosi, essenzialmente quello di consentire l’apertura di un varco nel perimetro murario in corrispondenza del teatro, la portella, per l’accesso diretto delle persone provenienti dall’esterno della città, magari dai centri vicini, la stessa Bojano, per assistere alle rappresentazioni.

Così non si intralciava la vita urbana. Affiancate al teatro vi sono le terme, pure esse, per così dire, in prima fila rispetto alla cerchia (in verità, ad Altilia è un rettangolo!) muraria e alle sue spalle vi è un’area per gli esercizi ginnici e piscina: tutte e tre coeve, di epoca augustea, e occupazioni ludiche come si vede e, perciò, forse, raggruppate insieme. Stanno insieme pure perché al divertimento, dello spirito, il teatro, e alla cura del corpo sono, nella prima fase di Altilia, più austera com’era la civiltà romana arcaica, si teneva meno non si teneva conto delle esigenze di evasione e la vita era più spartana.

Vanno notate, per completezza, due cose delle quali la prima è che il teatro volge, letteralmente, le spalle alle mura, ma ciò non perché sarebbe stato, è ironico lo si capirà, scortese mostrare le terga alla città; la ragione è che coloro che entravano dalla portella, cosa che comunque doveva fare ogni partecipante all’evento teatrale attraverso i percorsi che si diramano da i due tetrapili, raggiungevano i posti a sedere assegnati mediante i diversi vomitori ai quali si accede dal muro posteriore del teatro. La seconda delle due cose di cui sopra è che in cima alla cavea, nella summa cavea dunque, si sono rinvenute tracce di un tempietto, il che non è infrequente, e ciò conferisce, in qualche modo, un’aura sacra a quanto si svolgeva sulla scena richiamata la sacralità da quel deus ex machina nel finale delle opere drammaturgiche.

Il dio è costantemente presente, abita in città per i Romani, non sta più relegato nei santuari rurali dei Sanniti e il templio nel teatro è una giustificazione del posizionamento di quest’ultimo nel contesto insediativo aggiuntiva alla motivazione esposta precedentemente (la quale era, in fin dei conti, che non c’erano motivi per metterlo in campagna). È il momento anche per un ulteriore specificazione, avendo assolto al compito di illustrare per grandi linee i connotati del teatro, di affinamento, della lettura del manufatto.

Esso consiste nell’osservazione che una parete semicircolare qual è quella che sorregge gli spalti mal si sarebbe inserita nel disegno di un isolato edilizio poiché nelle planimetrie di una città romana i lotti sono rettangolari, di norma e ciò può essere alla base della realizzazione del teatro al limitare dell’agglomerato edilizio. La pianta, quella di questa struttura con un lato a semicerchio è, si insiste, la meno consona (vale pure per l’anfiteatro che è emicircolare e, però, non pone problemi essendo posto nell’agro) per un insieme urbanistico che segue lo schema ippodameno impostato sull’ortogonalità e, pertanto, refrattario alle forme curve, e, ciò nonostante il teatro è l’impianto architettonico della città che più di tutti si è conservato quantomeno in elevazione.

Tanto il teatro di Altilia quanto il Verlasce si sono rivelati, a dispetto delle loro tipologie al massimo grado specialistiche, unicamente determinate dalla funzione che la costruzione era chiamata a svolgere, adattabili ai nuovi usi, rispettivamente abitativo e di deposito agricolo. Il che ha permesso loro di sopravvivere fino all’era attuale. Stiamo riannodando le fila, lo si è inteso, di vari discorsi intrapresi qualche rigo fa e tra questi vi è quello al quale vogliamo passare ora, il carattere ricreativo, di luogo della ricreazione, del teatro per cui, essendo un’opera voluttuosa essa è superflua.

Nell’affermare ciò si trascura di considerare che l’arte dà prestigio ad una società. Al posto di essere una struttura inutile, poiché dal punto di vista pratico non essenziale, esso è il segno del livello di civilizzazione raggiunto da una comunità; il teatro che è rimasto in piedi, seppure trasformato, in bella evidenza è uno dei monumenti più significativi di Altilia, ammirato dai turisti alla pari della basilica, del foro e di porta Bojano. Non è un inserimento casuale nel testo di queste emergenze monumentali e alla cui visita accurata si è piacevolmente e inevitabilmente obbligati durante la permanenza nell’antica Saepinum, chissà quante cose da raccontarci ognuna di esse ha.

Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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