Accavallamento tra disboscamento e rinselvatichimento
di Francesco Manfredi-Selvaggi
I tratturi sono l’esempio più evidente di tale fenomeno: prima si sono aperte le piste per l’effettuazione della transumanza e, poi, dalla fine di quest’ultima esse si vanno poco alla volta richiudendo. Una crescita spontanea di piante la si ha pure su quei terreni ai quali si era tolto il bosco per impiantarvi coltivazioni destinate a sfamare una popolazione in forte aumento tra 1700 e 1800 e che oggi per via dello spopolamento stanno subendo un rimboschimento spontaneo (ma c’è anche quello artificiale).
È plausibile che all’origine la superficie del nostro territorio, ad eccezione delle emergenze rocciose e degli stagni i quali dovevano essere numerosi ed ampi nella fascia costiera e dei corsi d’acqua, fosse, come d’altro canto il resto d’Italia salvo le cime alpine, coperto da bosco interamente. Una copertura boschiva, vale la pena precisarlo, continua, ma nello stesso tempo differenziata con le specie arboree che si distinguono in relazione alla posizione geografica, cioè a seconda se si è nella zona litoranea che subisce gli influssi marini o se si è all’interno della regione, dunque in senso orizzontale, all’altitudine, se collinare o montana, perciò in senso verticale, e al substrato, in qualche modo nel senso della profondità, in quanto le formazioni geologiche, argillose (medio Molise), calcaree (Appennino), arenacee (alto Molise) o sabbiose (basso Molise), che sono il sottosuolo condizionano il tipo di soprassuolo. Non si poteva fare a meno di questo inciso dovendo parlare di paesaggio. Non vale solo la geografia a spiegare le caratteristiche del paesaggio boscato molisano, perché ha un peso pure la storia.
Si è iniziato accennando alla situazione all’anno zero quando l’uomo era ancora cacciatore e raccoglitore e non ancora agricoltore. Le forme di agricoltura praticate in età remota erano primitive; non essendo capaci i nostri progenitori a favorire il rinnovamento della fertilità dei campi essi nel constatare la sopravvenuta improduttività dei terreni procedevano disboscando altre superfici in cui impiantare colture. Per quel che qui ci interessa si ha più che una riduzione, progressiva, della superficie forestale, una sua trasformazione in quanto sugli appezzamenti di terra in precedenza coltivati e in seguito abbandonati si ha nel tempo una ripresa spontanea della vegetazione che evolve man mano da arbustiva in arborea.
Il risultato è che la foresta primigenia scompare sostituita da un bosco, per così dire, di seconda mano che ha evidentemente connotati differenti dalla prima. L’assetto paesaggistico che, come ben si sa, è un insieme di natura e cultura, comincia a cambiare, da una distesa pressoché uniforme di foreste quando la popolazione era dedita esclusivamente alla caccia e alla raccolta dei frutti spontanei, si passa alla comparsa al loro interno di oasi coltivate e, di conseguenza, di villaggi “contadini”.
Sia le une che i secondi, a seguito di quelle, sono destinate, nel giro di qualche decennio, a scomparire, lo si è detto sopra, per il trasferimento delle famiglie altrove e ciò spiega perché a noi non sono sopravvenuti resti di nessun abitato, il pagus, le cui abitazioni dovevano essere intese quali temporanee e perciò costruite con materiali deperibili. Il passaggio alla stanzialità, mai effettivamente concluso dai Sanniti, è lungo, siamo ancora nell’era del seminomadismo connesso, da un lato, a tale modo di coltivare, dall’altro lato, alla adozione della pratica della pastorizia transumante.
Pure quest’ultima ha contribuito ad erodere il patrimonio forestale, tanto per aprire e mantenere la striscia tratturale quanto nelle zone di montagna dove si conducono le greggi in alpeggio nel periodo estivo per ricavare pascoli. Qui, ci riferiamo al Matese per proseguire con i Sanniti, alle praterie “primarie” (risalenti alla notte dei tempi) pur assai vaste, i vari Campi, Campitello, Campo dell’Arco, Campo delle Ortiche e così via, date le cospicue dimensioni del fenomeno della transumanza, si vanno aggiungendo praterie “secondarie” frutto del pascolamento delle bestie del cotico erboso, lo strato basale dell’ecosistema forestale danneggiato il quale si ha, a catena, il danneggiamento e poi il deperimento e poi la scomparsa del bosco.
Il pabulamento eccessivo delle pecore ha scoperto, lasciato scoperta tutta la parte sommitale dei monti matesini anche di quelli che non raggiungono i 2.000 metri di quota. È questo il limite altitudinale del faggio che è nella dorsale appenninica, come del resto, nel complesso in ogni areale del nostro continente, l’essenza botanica a foglia caduca maggiormente diffusa. Non c’è solo l’equivalenza tra latifoglie e latitudine poiché essa si estende a qualsiasi tipo di alberatura, pure a quelle aghiformi: procedendo dall’equatore verso i poli si abbassa progressivamente, riducendosi la temperatura media, l’altezza che può raggiungere il bosco la quale nel Matese, cioè all’incirca a metà strada, è, appunto, un paio di migliaia di metri.
La riduzione del manto boschivo per via della diminuzione dei capi di bestiame al pascolo libero, in zootecnia prevale ora la stabulazione fissa, vale a dire in stalla, si è arrestata ed è in corso una tendenza inversa, quella dell’aumento della percentuale di territorio boscato, sono i dati del Censimento dell’Agricoltura.
I prati si restringono, anche se in proporzione si assottigliano, verbo appropriato, essendo delle superfici lineari, di più i tratturi e la spiegazione è questa: lo sviluppo dei margini di una figura tendente al rettangolare quelle in cui, in geometria, un asse è prevalente sull’asse ortogonalmente opposto, molto prevalente, peraltro, nelle piste tratturali (111 metri di larghezza contro oltre 100 chilometri di lunghezza, 1 a 10.000) a parità di metri quadri racchiusi nel perimetro è superiore a quello di un poligono iscritto in un quadrato se non in un cerchio, che tenda, detto diversamente, a questo qual è una prateria.
I canali con pavimentazione erbacea della transumanza vengono rosicchiati, nel momento in cui attraversano ambiti boschivi e ciò succede di frequente nel comprensorio altomolisano, da ambedue i lati rischiando di scomparire perdendosi così un importante segno culturale e un vitale corridoio ecologico. Il disboscamento finora descritto è avvenuto lentissimamente per cui c’è stato il tempo per un assestamento, graduale del sistema ambientale alla nuova configurazione assunta dagli spazi aperti rispetto a quelli chiusi, lo si ripete, la matrice originaria delle terre emerse, almeno nel nostro parallelo.
Molto più veloce, invece, è stata la distruzione dei boschi, lamentata da Vincenzo Cuoco, nel finire del XVIII secolo per far fronte alla fame di terreno da coltivare per, a sua volta, soddisfare la fame, non metaforica bensì vera e propria, e acuta soprattutto, della popolazione che in quell’epoca era in consistente crescita. Non c’è stato il tempo per l’assestamento di cui sopra per cui le frane. Ciò succedeva nelle colline del medio Molise e bisognerà attendere un secolo perché la scomparsa delle formazioni boschive si verifichi pure in pianura con le grandi opere tese a bonificare innanzitutto dagli acquitrini, il basso Molise che ha mutato, letteralmente, il suo volto.
Il bosco, lì è rimasto solo in qualche toponimo come Bosco Tanasso nel Larinate. Al Fascismo si deve l’intensificazione, sotto lo slogan la redenzione delle terre, dell’azione di bonifica e, per fortuna, che è durato solo un Ventennio, la faccenda dell’arco temporale breve. Si sono perse le foreste planiziali, diventate assai rare da noi, anche perché rare le zone pianeggianti nel Molise. L’erosione successiva, pertanto in età contemporanea, del patrimonio forestale è un tema che viaggia insieme con quello del Consumo di Suolo a causa della crescita dell’urbanizzazione e dell’incremento delle infrastrutture.
Francesco Manfredi Selvaggi633 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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