Scienziati in TV: possiamo fidarci?
di William Mussini
Non sono uno studioso di fisica ma ho letto, per mera curiosità, i libri di Planck e Heisenberg, giungendo a personalissime conclusioni riguardo al mondo della ricerca quantistica, delle teorizzazioni inerenti al funzionamento del nostro universo, approfondendo poi le mie conoscenze seguendo gli studi ad esempio di Nassim Haramein, di Carlo Rovelli e Corrado Malanga.
Decisi tempo fa (senza l’ausilio di formule e algoritmi matematici) di intraprendere un viaggio conoscitivo, partendo dalla mera osservazione empirica degli eventi, che mi conducesse nella migliore delle ipotesi, il più possibile vicino alla probabile spiegazione di ciò che chiamiamo realtà.
Alla prima stazione, quand’ero poco più che adolescente, acquistai un biglietto sul quale c’era scritta la parola “intermediarismo” (vedi “the book of the damned” di Charles Fort), ciò mi consentì di relativizzare l’origine e la natura di ogni cosa, cioè di ipotizzare che tutto fosse intermedio, che ogni elemento poggiasse su qualche altra cosa, che ogni parte fosse una porzione di un altro elemento, a sua volta, interconnesso col tutto, in una infinita rete frattale.
Approdai così alle stazioni successive, nelle quali, cominciai a considerare le cose apparentemente reali, come appartenenti ad un tutto onnicomprensivo, legato imprescindibilmente al secondo principio della termodinamica, in moto perenne ed irreversibile verso l’entropia.
Da quel momento non ho più trovato un motivo valido per considerare diversi, ad esempio, un cucchiaio di metallo da una gallina, oppure un tavolo di legno da un tonno. Mi chiedo tuttora: se tutta la materia “visibile” è costituita dagli stessi mattoni, forse i mattoni, sono essi stessi divisibili all’infinito? (quindi se ogni unità è divisibile per se stessa, forse non esiste l’unità assoluta, uno + uno non fa due?) Due è il prodotto di un compromesso?
Potrebbe essere (e qui mi perdonerete tutti) che all’ultima stazione che visiterò, vedrò che: la stessa psiche umana, cioè l’intelletto, l’intelligenza del ricercatore che scaturisce da energie cerebrali, prodotto dalla chimica, dalla materia quindi, è essa stessa elemento intermedio e per questo impossibilitata a raggiungere delle conclusioni assolute, oppure semplicemente esaustive, ma soltanto relative alla condizione di un ricercatore che è egli stesso, allo stesso tempo “osservatore” e “evento”.
Il limite del genio umano quindi, consiste nel fatto che, esso stesso, sarebbe un elemento intermedio e non indipendente dal mondo che lo circonda. Per questo motivo l’oggettività dell’uomo che osserva, non sarebbe attendibile in nessun caso, neanche quando ci si affida alla tecnologia (vedi a tal proposito il paradosso del gatto di Schrödinger).
Sono quasi sicuro che anche quando riusciremo a registrare e dimostrare la presenza del bosone di Higgs, o di fantomatiche particelle di Dio, ci accorgeremo che mancheranno all’appello altri elementi e altri mattoni che giustifichino in maniera esaustiva il perché dell’esistenza del tutto.
Il limite dell’uomo è dunque insito nella sua natura di creatura cosciente, intermedia al tutto. L’uomo è certamente un pilastro universale di energia e psiche, sul quale poggiano meravigliose teorie e pseudo verità, ma la struttura di cui fa parte quel pilastro è infinitamente elusiva. Con ciò suppongo che un probabile esito della ricerca scientifica, sia quello di durare all’infinito e di non arrivare mai a una conclusione, ad un ultimo punto esclamativo o ad una verità assoluta e Deiforme. Preciso che le mie empiriche provocazioni quali: “L’unità che si divide per se stessa all’infinito”, “l’intermediarismo” o altre, sono il frutto di pericolose elucubrazioni che, quindi, non hanno pretesa alcuna di assurgere allo stato di certezza.
Immagino che: per capire e spiegare un evento o un oggetto conosciuto perché visibile e verificabile, per rispondere ai perché, l’uomo abbia inventato il mezzo che ha poi chiamato scienza, ed è stata la cosa più tangibile che l’umanità abbia mai prodotto, per crescere, per superare le superstizioni e le ataviche paure dell’ignoto. Ma quanti scienziati conoscono e spiegano la natura (non la sua manifestazione) per esempio dell’energia gravitazionale, oppure quanti sanno cosa sia effettivamente ciò che chiamiamo luce, o elettromagnetismo.
La questione è che nonostante il metro della sperimentazione, del confronto e della conferma sia sicuramente un aspetto positivo, io dubito che, in una realtà che ci contiene come ogni altra cosa, noi siamo in grado di capire e definire quella realtà in modo oggettivo. Penso che la scienza abbia il proprio limite nel cercare di confermare in fondo se stessa.
Immagino anche che tutti i progressi tecnologici e scientifici siano comunque basati all’incirca su delle approssimazioni, oppure, se vogliamo, dei compromessi senza i quali l’uomo non avrebbe mai potuto sviluppare alcun progetto ingegneristico, architettonico, tecnologico. Vorrei anche dire che nonostante io sia un olistico impenitente, credo e sostengo la scienza non compromessa con il capitale e tutti quegli uomini che, con disincanto, si adoperano per il miglioramento delle condizioni umane.
Il mio approccio critico nei confronti del mondo scientifico è certamente empirico e per questo contestabile. Sono perfettamente consapevole del mio limite tecnico e conoscitivo e per questo chiedo venia se certe mie considerazioni appariranno semplicistiche. Non voglio fare un processo alla scienza o agli scienziati, né contrapporre la scienza alla filosofia, anzi, la mia posizione è quella di un comune mortale che, conscio della sua ignoranza, manifesta un pensiero-sentimento, non di diffidenza, ma di amore-odio, nei confronti di un mondo complesso, non privo di contraddizioni etiche e alquanto difficile da comprendere.
Pur con tutti questi miei limiti, da libero pensatore, riesco comunque ad utilizzare dignitosamente l’ordigno cerebrale, sino al punto di avere la presunzione di commentare alcuni aspetti della scienza ortodossa e soprattutto di quella che non accetta contraddittorio; come accade in questo periodo, ad esempio, in cui vediamo una scienza medica che vorrebbe imporre, a tutti i costi, cure miracolose sperimentali e panacee vaccinali contro il virus artificiale di Whuan.
Mi permetto di criticare lo scientismo dei nostri mezzibusti da talkshow, soprattutto in considerazione del fatto che, i cambiamenti che la scienza ufficiale ha prodotto e continua a proporre, purtroppo, sappiamo tutti che non sempre sono stati forieri di positività. Certo: l’uomo che sgancia l’atomica non è lo stesso che ha avuto l’arguzia di inventarla ma, è verissimo anche che, se non ci fosse stato lo scienziato inventore (il colpevole primario), gli USA non si sarebbero macchiati di un delitto imperdonabile e adesso, noi uomini contemporanei, non saremmo minacciati da un arsenale atomico mondiale, potenzialmente in grado di distruggere dieci mondi.
Esiste, volendo banalizzare il discorso, come per tutte le cose di questo mondo, una scienza buona e una cattiva?
Nel momento in cui, anche inconsapevolmente, lo scienziato (ben retribuito da soggetti interessati), approda dalla volontà di ricerca, ad uno stato consapevole di dominio scientista, il rischio che si corre è quello di vedere le originarie e meritevoli vocazioni, cedere il passo ad una sorta di presunzione tecnocratica, corrotta dall’interesse economico.
Ne consegue che, quando scienza e Religione diventano la medesima cosa, quando si sceglie di credere fideisticamente all’esistenza di Dei, come all’efficacia assoluta di un medicinale, in modo acritico, si svende la propria intelligenza al compromesso.
William Mussini76 Posts
Creativo, autore, regista cinematografico e teatrale. Libertario responsabile e attivista del pensiero critico. Ha all'attivo un lungometraggio, numerosi cortometraggi premiati in festival Internazionali, diversi documentari inerenti problematiche storiche, sociali e di promozione culturale. Da sempre appassionato di filosofia, cinema e letteratura. Attualmente impegnato come regista nella società cinematografica e teatrale INCAS produzioni di Campobasso.
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